Il Papa continua a paragonare il calo delle nascite con l'adozione degli animali. Non è più una notizia, è un dato di fatto. Come Agatha Christie ci ha insegnato: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». E solo su Kodami ne abbiamo già parlato tre volte, ovvero nelle ultime occasioni, appunto tre, in cui Francesco ha espresso chiaramente la sua opinione sul fatto che le persone dovrebbero pensare a fare figli piuttosto che prendere animali in casa. Abbiamo preso posizione, prima con una lettera aperta al Santo Padre, poi sottolineando come le sue parole toccavano anche quell'aspetto intimo e sacro della maternità con toni patriarcali e arcaici e infine riportando – per dovere di cronaca – anche l'ultimo episodio accaduto durante gli Stati Generali della Natalità a Roma durante il quale il Pontefice è tornato sull'argomento.
Questa volta, però, la riflessione da fare dal nostro punto di vista è diversa, perché il focus dovrebbe essere puntato non tanto sull'opinione che il Papa ha già chiarito più volte su quella che per lui è una relazione di causa e effetto, ma su quel cane che spunta dalla borsetta e sulla signora che chiede la protezione del Santo Padre.
La descrizione stessa di Bergoglio può servire a darci la misura di quanto ci sia un aspetto sul quale il Papa ha in parte ragione, sebbene lo decontestualizzi dal problema reale e lo associ appunto al calo di natalità. Francesco racconta: «Una signora mi si è avvicinata con una borsa, l'ha aperta mostrandomi un cagnolino e dicendomi: "me lo benedice il mio bambino?"». Poi aggiunge: «L'ho sgridata e ho risposto: "signora tanti bambini hanno fame e lei col cagnolino"». Fermiamoci sulla prima parte e riflettiamo: una persona sente il bisogno di "custodire" un essere vivente dentro una borsa, di andare dal Pontefice per farlo benedire e lo chiama "bambino".
Ci sono in questi tre passaggi tutti gli elementi per capire la deriva che la nostra relazione con i cani ha preso e quanta difficoltà ci sia in noi sapiens nel non trasformare l'altro da sé in un surrogato di ciò che desideriamo e che per qualche ragione abbiamo riversato non su un altro umano ma su un essere vivente di un'altra specie. L'amore a volte è davvero pericoloso: quando diventa ossessione, quando si realizza nel controllo dell'altro, quando non è espressione di azioni che sono improntate al rispetto, prima di tutto, di chiunque si abbia di fronte.
Queste parole, però, non sono un "processo" alla signora, a differenza della "sentenza" di Francesco che sicuramente avrà colpito al cuore la donna. Nessuno, Papa soprattutto compreso, dovrebbe permettersi di usare le parole per ferire qualcun altro: non conosciamo cosa la signora abbia vissuto, quale sia la sua storia, perché e se poi davvero pensi che un cane possa sostituire un figlio. Ma usiamo quel momento diventato pubblico – che il Papa stesso, del resto, ha fatto sì che diventasse noto a tutti – per provare a condividere un'idea diversa. Per far sapere che tutti i cani, incredibilmente anche quelli di taglia piccola, hanno quattro zampe, sanno camminare e hanno come noi desideri e bisogni da soddisfare. E a coloro ai quali piace dire che "gli manca solo la parola" vorremmo far sapere che invece ce l'hanno, ma a modo loro e esprimono ciò che pensano attraverso posture, vocalizzazioni (ringhi, abbai…), sguardi e marcature (cacca e pipì non sono solo funzioni biologiche da espletare).
C'è un mondo da scoprire nella relazione con il cane. Un universo di emozioni altrui da guardare, ascoltare e vivere insieme per rendere chi abbiamo scelto davvero "membro della famiglia", per dargli il ruolo che gli spetta che non può essere limitato a quella immagine di "peluche strappabaci" da mettere persino nei carrozzini, come sempre più spesso si vede nelle nostre città.
Se immagino dunque la scena descritta dal Papa che ancora una volta ha causato fiumi di parole su questo inutile e dannoso messaggio di non pensare alle adozioni di animali ma di fare più figli, questa volta rimango a pensare a quell'individuo infilato dentro una borsa e che viene chiamato "bambino". E arrivo a percepire poi quanto così sia facile che le persone arrivino a dare ragione a Francesco se si rimane sulla superficialità di quanto accaduto e non si affronta un discorso più profondo che riguarda il nostro modo di amare e come ognuno lo esprime.
Il cane della signora è stato a pochi metri dal Papa: un'emozione che solo chi è credente può capire quanto sia d'impatto e che va rispettata ma… quel soggetto cosa se ne importa? Cosa se ne fa della benedizione? Se pensiamo a lui, a quello che potrebbe essere invece davvero importante per renderlo felice, non è più bello immaginarlo mentre corre su un prato? Mentre si butta in una pozzanghera di fango, mentre rotola su qualche bellissimo odore per lui, orribile per noi, e vederlo così fiero e soddisfatto? Non è questo il vero senso della parola amore, in fondo?
Vedere l'altro felice, contribuire a renderlo tale, si può condensare in questa affermazione: «Forse l’amore è il processo con il quale ti riconduco dolcemente a te stesso. Non a ciò che io voglio che tu sia, ma a ciò che sei». Lo ha scritto Leo Buscaglia ed ho scelto questa citazione perché è una delle più diffuse sui social, in quegli status che tante persone amano aggiornare con delle massime che vogliono trasmettere messaggi universali e che riempiono tante bacheche. L'ideale però sarebbe che dal virtuale lo mettessimo in pratica, tutti, e non solo nei confronti degli animali ma anche delle persone che ci stanno accanto.
Un cane non è un figlio. Anche questa frase non è la prima volta che appare sulle nostre pagine ma non ci stancheremo mai di ribadirlo. E' un compagno di vita, è un membro della famiglia e sì: se ci piace dargli un appellativo che abbia senso per noi umani non c'è dubbio che in tante, tantissime famiglie italiane ci sia una mamma che lo considera come un figlio e figli che lo trattano come un fratello o una sorella. Ma nel momento stesso in cui diamo al sinonimo di "bambino" il significato di un essere che non è capace di avere cognizioni ed emozioni stiamo paragonando il cane ad un perenne neonato, ad un individuo che non cresce mai, che non avrà mai la possibilità di definire il suo carattere e dunque che non ha "diritto di voto" in una relazione ma che si trova solo in un perenne stato di dipendenza da noi.
I cani che adottiamo indubbiamente sono sotto la nostra responsabilità e una relazione sana porta con sé l'obbligo della tutela per tutta la durata della vita. Ma la "promessa del per sempre" non vuol dire solo amore incondizionato ma rispetto dell'etologia, ovvero la conoscenza del comportamento di qualcuno che è di una specie diversa da noi e che ci accompagna da migliaia di anni nel corso della nostra evoluzione. Anzi, nel corso di quella che può essere definita senza alcun dubbio una co evoluzione: siamo "cresciuti" su questo Pianeta insieme, cani e umani, e siamo stati bambini insieme nella notte dei tempi, accompagnandoci nel cammino della vita su "sei zampe". Ora l'albero intricato della Storia ci dice che siamo tutti adulti e che è tempo di pensare che siamo cresciuti noi e così anche loro.
E in natura, del resto, mai si è visto un cane o qualsiasi altro animale vivere dentro una borsa (canguri a parte, ma appunto solo nella fase infantile…).