Lo scorso 12 gennaio c’è stata l’attesissima riapertura del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, rimasto chiuso per oltre dieci anni a causa di un incendio avvenuto nell’agosto del 2013. La riapertura è stata molto lunga e travagliata e lavori di ricostruzione hanno richiesto un investimento di oltre 8,3 milioni di euro, con una parte considerevole di finanziamenti stanziati però solo a partire dal 2020.
Anche ora che il museo ha riaperto, però, sono solo 2.000 i metri quadri (sui 9.000 complessivi) a essere visitabili. Torinesi e non si chiedono quindi quali saranno i prossimi step e le tempistiche che restituiranno alla città uno dei più importanti musei scientifico-naturalistici italiani e non solo. Di questo e molto altro ne abbiamo parlato con l’ingegner Marco Fino, neo direttore dell'istituzione museale.
Direttore, come sta andando con la riapertura?
C’è stata una risposta di pubblico molto importante e possiamo dire che sta andando davvero molto bene. In questi giorni ci sono sempre code, abbiamo già oltre 10mila prenotazioni e tutti i prossimi weekend sono già full. Era quello che volevamo e che soprattutto voleva la città.
Come mai ci è voluto così tanto tempo per riaprire?
L'incidente del 2013 è stato sicuramente importante, ma in realtà è servito soprattutto a scoperchiare molti altri problemi strutturali e impiantistici che hanno complicato le cose. CI si è quindi resi conto che i lavori da fare erano e sono ancora tanti. È stato quindi molto complesso decidere come procedere e c’erano idee contrastanti che hanno contribuito ad allungare i tempi.
Anche la burocrazia non ha aiutato e nella sostanza i lavori principali sono cominciati solo tre anni fa. Quando sono arrivato io, nel maggio scorso, avevamo due possibilità: riaprire tutto, ma questo avrebbe richiesto molti altri fondi e tempo, oppure riaprire gradualmente e procedere per step, un lotto per volta. E personalmente condivido la scelta di seguire questa seconda opzione.
Quali sono gli spazi visitabili oggi?
Lo spazio espositivo visitabile al momento è di circa 2.000 metri quadri ed è composto da tre sale principali. La prima è quella “storica di zoologia”, dove abbiamo recuperato ed esposto la collezione zoologica principale in stile ottocento, per ricordare un po’ le nostre origini. La seconda sala la chiamiamo “l’Arca delle Esplorazioni", ed è dove raccontiamo la storia delle esplorazioni e degli esploratori che hanno permesso al museo di ottenere tutti i reperti delle nostre preziose collezioni sin dall’800.
La terza, invece, è la “Sala delle Meraviglie”, dove troviamo le collezioni di entomologia, botanica, paleontologia, mineralogia e molto altro. Dai giganteschi mastodonti, ai piccolissimi insetti. La “Meraviglia” è declinata attraverso tutta la diversità delle forme della natura.
Una delle star del museo è sicuramente l’elefante indiano Fritz
Di storie e reperti unici ce ne sono tanti ma è sicuramente Fritz l’icona. Fu donato dal viceré d'Egitto ai Savoia nel 1827 e venne allevato per anni nel serraglio della Palazzina di Caccia di Stupinigi. Era amato da tutti i torinesi, perché era molto docile. Aveva un legame molto stretto e particolare col suo guardiano, che però a un certo punto morì. Quando arrivò quello nuovo lui però si ribellò e lo uccise. Fritz fu condannato a morte nel 1852 e Savoia lo donarono al museo. Ora la sua pelle e il suo scheletro si trovano al centro del museo di zoologia.
E poi mi piace anche ricordare la storia della tigre che ispirò Emilio Salgari. Lui non aveva mai viaggiato nelle regioni del mondo descritte nei suoi romanzi. Veniva però spesso al museo e abbiamo la tigre della Malesia che ha ispirato le sue avventure.
Il museo ha un storia antica e importante, ma in che modo si proietta al futuro?
Tra le novità già a disposizione del pubblico ci sono due videomapping e un totem dotato di Intelligenza Artificiale. Il nuovo percorso espositivo, infatti, è stato arricchito da installazioni multimediali e immersive. C’è uno schermo gigante e circolare di 15×6 metri che riproduce per esempio gli ambienti naturali. Ora abbiamo ricostruito il mondo marino ma i contenuti cambieranno nel tempo.
C’è poi totem all’interno del quale si trova l’avatar di grande naturalista Alfred Russel Wallace, il padre della biogeografia con cui l’ospite potrà dialogare. Abbiamo scelto di partire con lui perché si sono appena celebrati i 200 anni dalla sua nascita.
E per quanto riguarda le attività di ricerca?
Le attività di ricerca non si sono mai fermate in realtà. Abbiamo tanti esperti di settore di livello internazionale, come l’erpetologo Franco Andreone che studia gli anfibi del Madagascar, che hanno continuato e continuano con il loro lavoro. Il problema di questa lunga chiusura è stato però anche questo. Un museo chiuso non è attrattivo per altri ricercatori e progetti. Anche per questo abbiamo scelto di riaprire prima possibile, per attrarre nuove partnership.
Il museo deve rilanciarsi anche da questo punto vista e presto partiranno nuove collaborazioni con l’Università di Torino, altri enti e istituzioni e chiunque voglia collaborare con noi
La domanda che molti torinesi si fanno è: quali saranno quindi i prossimi passi per la riapertura completa?
I lavori stanno continuando e abbiamo individuato 5 step principali. Il primo, già in corso, è riaprire presto il secondo lotto e ampliare gli spazi espositivi; Il secondo sarà riqualificare il piano terra, recuperando altri 1500 metri quadri di esposizione. Tutto questo ci auguriamo di farlo entro il 2025; Il terzo step sarà invece recuperare i cortili e il piano interrato, altre aree del museo molto importanti.
Il quarto prevede poi il recupero del secondo piano, uno spazio stupendo che era dedicato alle mostre temporanee; Quinto e ultimo step sarà integrare la chiesa di San Giovanni che abbiamo acquisito solo di recente. Questi cinque step ci permetteranno di riaprire tutti gli spazi e ci auguriamo di completarli tutti entro il 2030.
Direttore, grazie mille e in bocca al lupo
Ci tengo in fine a precisare che tutto quello realizzato fino a oggi non è solo merito mio, ma di tutta la squadra che compone la struttura del museo, formata da persone eccezionali, che amano il museo e che in questi 10 anni hanno affrontato una vera e propria traversata nel deserto lavorando e impegnandosi ogni giorno, ognuno per le proprie competenze. Io sono solo il capitano della nave il merito principale va a loro e a tutti quelli che c’erano da prima che arrivassi io.