Il valore in termini economici-ambientali della caccia in Italia è di 8,5 miliardi di euro. È questo che emerge dallo studio "Il valore dell'attività venatoria in Italia" realizzato dall'istituto Nomisma e presentato oggi nel corso di un incontro organizzato da Federcaccia al il Senato della Repubblica a Palazzo della Minerva.
Secondo la ricerca, la caccia è in grado di generare 708 milioni di euro di valore naturale grazie alle attività esercitate per il mantenimento delle aree umide e degli habitat e, in particolare, verso la tutela delle aree naturali protette rese possibili grazie ai finanziamenti del mondo venatorio.
Sono invece 75 milioni di euro i risparmi che derivano dalla riduzione dell'impronta ecologica e idrica prodotte dalla filiera della carne grazie alla sostituzione della carne da allevamento intensivo con selvaggina cacciata. Il valore socio-sanitario del comparto, che corrisponde in termini monetari al danno evitato per minori ospedalizzazioni e decessi legati agli effetti degli antibiotici nelle carni d'allevamento o per incidenti con le specie invasive, è invece stimato da Nomisma in 124 milioni di euro.
Infine, considerando il valore economico correlato al settore armiero e alla domanda di prodotti per l'esercizio dell'attività venatoria, dalla ricognizione della letteratura di settore emerge un valore pari a 7,5 miliardi di euro.
Ai dati economici elaborati da Nomisma si affianca una indagine sulla percezione del cacciatore e dell'attività venatoria legale tra i cittadini. Dati dai quali emerge chiaramente come più di 23 milioni di persone sia contraria alla caccia, pari al 48% degli intervistati.
Durante la presentazione dei dati il presidente della Federazione dei cacciatori Massimo Buconi ha insistito sulla necessità di riabilitare la figura del cacciatore nell'opinione pubblica: «Vogliamo chiudere la stagione degli scontri ideologici. I risultati della ricerca testimoniano il nostro potenziale ruolo di attori nel processo di transizione ecologica e mostrano un sistema importante già in essere. Ma al contempo evidenziano alcune aree di miglioramento, su cui strutturare un percorso di confronto con fruitori, stakeholders e istituzioni».
E le istituzioni al confronto con Federcaccia sono state presenti, e attraverso le parole del sottosegretario al ministero dell'Agricoltura, Giacomo La Pietra, hanno dimostrato di accoglierne le istanze: «La fauna selvatica impatta sull'agricoltura e la politica deve affrontare il problema. Questa ricerca mette nero su bianco alcuni aspetti, il più importante è che c'è una nuova consapevolezza da parte della politica di intervenire su questo settore. Prima non c'era da parte della politica la volontà di metterci la faccia, indipendentemente dalle posizioni ideologiche».
Poi, il Sottosegretario è passato al punto crociale su cui si intersecano gli interessi della politica e quelli del mondo venatorio: «Non voglio un "Far West della caccia", ma fino a quando non porteremo i numeri di cinghiali presenti sul territorio a una quota sostenibile non risolveremo mai nulla. Sterilizzazioni e catture sono soluzioni legittime, ma potremo usarle solo quando il numero della popolazione sarà gestibile. Il problema non sono solo i cinghiali, dobbiamo guardare al resto degli ungulati come cervi, caprioli, nutrie, cormorani, lupi. Dobbiamo vere il coraggio di parlarne e trovare le giuste soluzioni. I lupi nelle aree periferiche stanno provocando disastri all'interno degli allevamenti».
Alla tavola rotonda seguita alla presentazione dei dati è intervenuto anche Antonio Morabito, responsabile nazionale fauna e benessere animale Legambiente, il quale ha rilevato che «La ricerca evidenzia criticità rispetto ai desiderata di Federcaccia, soprattutto per quanto riguarda la percezione del cacciatore. Se si vuole fugare questa percezione uno dei primi elementi è quello di intervenire più severamente nei confronti di chi si muove nell'illegalità». Sfruttando la presenza al tavolo dei rappresentanti del Gioverno, Morabito ha chiesto un'inasprimento delle pene per i bracconieri: «La legge contempla solo semplici contravvenzioni per chi fa danni alla fauna selvatica illegalmente. Si tratta di misure irrisorie per chi non rispetta le regole».
Di segno opposto l'intervento del presidente della Coldiretti, Ettore Prandini: «Oggi dobbiamo ripartire da una questione culturale: il cacciatore è stato demonizzato per troppo tempo. Sembrava che le soluzioni ai problemi di carattere ambientale sarebbero arrivate solo con la scomparsa dei cacciatori, mentre quando si è ridotta la loro presenza abbiamo perso preziose sentinelle ambientali. Bisogna quindi creare una cultura, a partire dalle scuole primarie, sul ruolo del cacciatore per le nostre attività produttive».
La presenza di anime diverse come la Confederazione degli agricoltori, Legambiente, e del Ministero è il primo segnale di quel superamento ideologico richiesto in apertura dell'evento dal numero uno di Federcaccia. Una strategia indicata dalla ricerca, secondo cui il 60% degli intervistati individua gli enti pubblici come realtà autorevole e adeguata a fornire informazioni sulla realtà venatoria.