Dall'alto somigliano a grandi aquiloni con forme bizzarre, ma in realtà sono lunghe file di pietre ammassate che possono estendersi per chilometri e sono presenti in diversi deserti del mondo, dal Medio Oriente al Nord Africa, fino all'Asia centrale e l'Arabia. Un mistero paragonabile a quello delle pietre di Stonehenge, forme bizzarre che sono state datate a più di 9000 mila anni fa. Recenti studi, però, hanno portato a una svolta conclusiva nelle indagini archeologiche su di loro svelando finalmente la loro funzione: sono mega-trappole utilizzate per la caccia, il primo vero esempio di rimodellamento del paesaggio da parte dell'uomo.
Una scoperta del genere pone l'ingegno umano e la sua pericolosità sotto tutto un'altra prospettiva. Non possiamo sapere se in quei deserti, dove giacciono quelle lunghe file di pietre nella polvere secca, un tempo esistevano fiumi e distese verdeggianti. Quel che conosciamo oggi però, grazie a uno studio di un team francese di ricercatori della Università di Lione pubblicato su Journal of World Prehistory, è che 9000 anni fa Homo sapiens era già in grado di modellare il paesaggio a suo piacimento ed evidenze scientifiche dimostrano come proprio queste tecniche di caccia siano la possibile causa di diverse estinzioni della fauna selvatica.
Cosa sono gli aquiloni del deserto
Studi archeologici simili hanno un potere eccezionale: riescono a farci viaggiare per migliaia di anni indietro nel tempo. Ci troviamo circa nel 7000 a. C. e sul nostro pianeta in questo momento ci sono poco meno di 10 milioni di individui, un bazzecola in confronto agli 8 miliardi di oggi. È ancora presto per notarlo, ma fra circa 1000 anni i primi uomini inizieranno a stanziarsi in gruppi sedentari e abbandoneranno la vita nomade.
Proprio in questo momento della storia dell'uomo alcuni gruppi di cacciatori hanno iniziato a costruire delle particolari strutture che si estendono per chilometri interminabili. Ammassano le pietre una in fila all'alta e formano muretti di altezza inferiori a un metro. Vi sono spesso delle anse nelle linee lasciate dai costruttori che serpeggiano in modo particolare. Saliamo su una piccola rupe sabbiosa e il cielo terzo e secco ci offre una vista alquanto inusuale: dall'alto i muretti formano uno strano disegno che somiglia a un aquilone. I muretti di pietra convergono in un singolo slargo finale, come una sorta di grande V che converge in un recinto.
Veniamo a sapere da viandanti di tribù lontane che differenti regioni hanno tipi di aquiloni diversi e che in tutto il mondo se ne contano circa 6.000. A rendere ancor più particolare queste costruzioni sono i luoghi in cui sono situati. Spesso il terreno all'interno dell'aquilone è molto più aperto del terreno esterno, privo di vegetazione e rocce e pare sia una caratteristica intenzionale della loro costruzione. Le estremità e gli ingressi degli aquiloni, poi, spesso coincidono con zone in cui la pendenza cambia rapidamente.
Torniamo al tempo presente carichi di informazioni e una volta sgrullata da dosso la polvere del deserto realizziamo esattamente ciò che anche i ricercatori francesi hanno scoperto, ovvero ogni singolo aspetto della costruzione è attentamente studiato con un unico scopo: catturare degli animali.
A cosa servivano gli aquiloni del deserto e cosa centrano con l'estinzione di alcuni animali
Dunque, nonostante 9.000 anni fa Homo sapiens fosse piuttosto lontano da coltivare i primi campi e insediarsi stabilmente, comunque ha trovato un modo per plasmare il mondo in torno a se, con importanti effetti sugli ecosistemi del tempo.
La ricerca dell'università di Lione, infatti, ha identificato diversi pozzi profondi presenti ai margini di alcune rientranze dei muretti di pietra che sono stati interpretati come trappole e fosse di abbattimento. Gli aquiloni racchiudono aree di superficie che in media raggiungono anche i 10.000 metri quadrati e la peculiare forma a V, dunque, serviva a convogliare per chilometri e chilometri numerosi animali in un punto cieco per poi farli cadere nelle fosse.
Non c'è quasi nessuna prova di ciò che è accaduto agli animali dopo che sono stati intrappolati, ma alcune analisi etnografiche pubblicate nello stesso studio indicano che le principali vittime degli aquiloni erano ungulati come le gazzelle. Creare pareti basse era fondamentale per gli uomini impegnati in questa particolare tecnica di caccia: muri troppo alti avrebbero spaventato gli animali e richiesto molte più ore di lavoro. I muretti, infatti, avevano soltanto il compito di guidare gli animali verso i pozzi e la scarsa visibilità data da rocce e alberi all'esterno dell'aquilone permetteva agli astuti cacciatori di mimetizzare la trappola alla perfezione.
Spiegando l'uso che gli antichi esseri umani facevano di queste strutture gli autori sottolineano qualcosa di estremamente importante. Data la grande diffusione e l'estensione di ogni aquilone è seriamente possibile che una caccia di questo tipo abbia avuto un impatto significativo sugli animali selvatici. Infatti il periodo di costruzione di queste strutture risalgono circa al tardo Olocene, un periodo tristemente famoso per quella che viene definita "sesta estinzione di massa" o "estinzione dell'Antropocene".
Proprio da quando l'uomo ha iniziato a influenzare gli ecosistemi intorno a lui su vasta scala molte specie animali hanno iniziato a sparire per colpa della sua attività. L'estinzioni incluse in questo gigantesco evento comprendono numerose famiglie di batteri, funghi, piante e animali e affondano le proprie radici proprio in quell'epoca in cui gli esseri umani si sono uniti per creare queste lunghe file di pietre nel deserto.
Quelli che abbiamo davanti ai nostri occhi, dunque, potrebbero proprio essere i primi segni tangibili di come, addirittura prima che l'uomo si insediasse stabilmente in un luogo, gli esseri umani avessero iniziato a estinguere la fauna selvatica. Gli aquiloni sono figure leggiadre simbolo di libertà, ma da oggi acquistano un altro amaro significato.