Una delle teorie più note che spiegano come mai si sono estinti i dinosauri è quella che ne addebita la scomparsa a causa dell'impatto sulla Terra di un meteorite fra i 66 e i 65 milioni di anni fa. L'evento avrebbe arrecato un danno talmente consistente all'atmosfera tanto da cambiarne anche la composizione. Una tale potenza, inoltre, che ha oscurato il cielo per decenni ed è stata in grado di uccidere tutta la fauna vivente all'epoca dalla stazza superiore a quella di un metro.
Questo cataclisma, inoltre, secondo recenti studi ha causato «lo tsunami più grande mai visto degli ultimi 200 milioni di anni con onde grandi anche oltre 4,5 km e che a seconda dei luoghi riuscì a penetrare dentro la terraferma per centinaia di chilometri». Un evento collaterale che si ritiene abbia sterminato da solo il 75% delle specie animali e vegetali della Terra.
Recentemente, infatti, diversi gruppi di scienziati si sono interessati nel proporre dei modelli che potessero spiegare il comportamento dei fluidi degli oceani durante i momenti successivi all'impatto e in particolare se ne sono occupate l'Università del Michigan e i ricercatori del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) americano che è l'ente più importante relativo agli studi metereologici, oceanici, geologici e atmosferici di tutto il mondo.
Queste due equipe hanno lavorato autonomamente con algoritmi e processi diversi per proporre una simulazione di quello che accadde dopo l'impatto del meteorite con la Terra, interessandosi principalmente al movimento dell'acqua provocato dall'urto in relazione dell'antica distribuzione e posizione paleogeologica dei continenti.
Il primo studio, pubblicato nell'ottobre scorso sulla rivista Advancing earth and space science, ha preso in considerazione la documentazione geologica di oltre 100 siti in tutto il mondo e dall'estrapolazione dei dati ha prodotto un modello che ha delineato la potenza e il percorso dello tsunami che iniziò nell'attuale stato dello Yucatan, in Messico, luogo in cui avvenne l'impatto. Di preciso, gli scienziati hanno esaminato le "sezioni di confine" che sono sedimenti marini depositati poco prima e subito dopo l'evento di Chicxulub (come è altresì noto l'impatto del meteorite che pose fine al Cretaceo).
Relativamente a questo studio, gli autori hanno asserito che secondo il loro modello lo tsunami fu così forte da erodere i sedimenti nei bacini oceanici di mezzo mondo, lasciando una lacuna nei registri sedimentari più antichi. Ed una delle prove geologiche più significative che confermato tale modello è aver trovato a 12.000 km dallo Yucatan, nei pressi della Nuova Zelanda, sedimenti fortemente disturbati chiamati depositi olistostromali. In precedenza questi depositi si credeva fossero il prodotto dell'attività tettonica locale o di qualche antica eruzione sottomarine ma ora si è compreso che in realtà sono il prodotto del rimescolamento dei sedimenti prodotto proprio dall'enorme tsunami.
Dalle grafiche pubblicate insieme a questo articolo si può arrivare a capire quanto i sedimenti oceanici siano stati spinti con estrema violenza ai due lati del cratere che si osserva nel Messico. Da una parte abbiamo infatti il giovane oceano Atlantico, che dispone di un rimescolamento complesso dei sedimenti, a causa della vicinanza dei continenti che ha impedito allo tsunami di spingere ancora più lontano le sue ondate distruttrici. Nell'Oceano Pacifico invece è possibile vedere come lo tsunami ha attraversato mezzo globo, trascinando con sé i sedimenti, fino ad arrivare al parallelo dell'Australia e del moderno Giappone.
Il secondo studio, che è uscito due settimane fa e che è stato accompagnato dal video che abbiamo messo in evidenza, ha invece realizzato la simulazione di un impatto di uguale entità e l'ha incrociata con l'analisi dei record geologici sempre in relazione allo tsunami.
«L'analisi numerica dell'evento ha utilizzato tre diversi modelli per riprodurre la generazione e la propagazione dello tsunami. Abbiamo sviluppato così un programma che modella i dettagli di flussi di fluidi complessi, chiamato idrocodice, che ha simulato i primi 10 minuti della generazione dello tsunami. Altri due modelli sviluppati dal NOAA sono stati poi utilizzati per simulare la propagazione dello tsunami intorno all'oceano globale», hanno spiegato i ricercatori in una nota.
Nel video diffuso dal NOAA i continenti neri raffigurano le masse terrestri al momento dell'impatto, mentre i confini bianchi mostrano dove si trovano oggi i continenti. I colori invece delle onde sono state associate alle ampiezze d'onda – positive in rosso e negative in blu – evidenziando come l'oceano si sia increspato con variazioni notevoli del livello dell'acqua.