Uno dei più grandi predatori marini che siano mai esistiti è stato il megalodonte, una specie di squalo gigante che visse fra 13 e 4,2 milioni di anni fa che con i suoi 15,5 metri di lunghezza non aveva praticamente rivali negli oceani. Per anni considerato un parente stretto del grande squalo bianco, negli ultimi decenni la ricerca ha iniziato a considerare questo grande animale come uno degli ultimi rappresentanti degli otodontidi, degli antichi squali preistorici che erano separati filogeneticamente dal gruppo dei lamnidi, a cui appartengono la maggioranza degli squali oggi presenti negli oceani.
I ricercatori per anni hanno anche cercato di stabilire se i megalodonti, perennemente in viaggio per effettuare le loro lunghe battute di caccia, fossero come i loro cugini degli animali a sangue caldo, visto che il loro stile di vita avrebbe dovuto seguire in teoria un metabolismo più accelerato per permettere all'animale di spostarsi con una certa velocità. Studiare però il metabolismo degli animali estinti partendo dai fossili non è però un processo semplice, soprattutto se la specie che stai analizzando presentava uno scheletro cartilagineo che si decompone abbastanza velocemente una volta morto l'animale.
Sfruttando però quello che avevano a disposizione, ovvero un grande numero di denti, grandi anche 13,5 centimetri, alcuni ricercatori di diverse università californiane, fra cui l'UCLA, l‘Università della California, hanno iniziato ad affrontare la questione, utilizzano il metodo degli isotopi dello smalto dei denti per determinare la differenza della temperatura corporea dell'animale con l'ambiente esterno. I risultati dello studio sono stati pubblicati su PNAS e hanno concluso che questo grande predatore riuscisse a mantenere con il suo metabolismo accelerato una temperatura corporea media circa 7°C più calda rispetto all'acqua circostante.
Questa viene considerata una prova che la specie fosse a sangue caldo e che riuscisse autonomamente a regolare la propria temperatura corporea rispetto alle fluttuazioni termiche dell'acqua in cui nuotava. I ricercatori, inoltre, asseriscono che questa differenza di temperatura era superiore di quelle oggi presenti in altri squali e che probabilmente ciò si spiega con le maggiori dimensioni dell'animale e la sua necessità di trovare cibo per alimentare la sua "macchina termica".
Tale differenza di temperatura però aveva un costo e alla fine probabilmente contribuì a estinguere la specie, quando l'oceano cominciò a subire le prime avvisaglie di un peggioramento climatico che avrebbero condotto il pianeta a vivere le varie ere glaciali. Una scoperta che potrebbe essere anche molto utile ai biologi della conservazione interessati alla salvaguardia degli squali attuali.
«Studiare i fattori trainanti dietro l'estinzione di uno squalo predatore di grande successo come il megalodonte può fornire informazioni sulla vulnerabilità degli attuali predatori marini nei moderni ecosistemi oceanici, che subiscono i nuovi effetti del cambiamento climatico in corso», ha affermato il principale ricercatore dello studio Robert Eagle, assistente professore dell'UCLA di scienze atmosferiche e oceaniche e membro dell'UCLA Institute of the Environment and Sustainability. Come riuscivano però questi animali e le specie attuali di squali a risultare animali a sangue caldo, quando è solitamente noto che i pesci non riescono a gestire la propria temperatura, che è mediata da quella dell'acqua?
La ragione è semplice. Gli squali, insieme ai tonni e a pochi altri pesci carnivori, perennemente in movimento, dispongono di un sistema circolatorio più avanzato rispetto a quello delle altre specie di pesci. Grazie infatti a una distribuzione molto funzionale dei capillari, che rende il sistema sanguigno degli squali quasi simile a un grosso "scambiatore di calore" o a un radiatore delle macchine, il flusso sanguigno di questi animali porta il sangue caldo venoso vicino alle vene dove scorre il freddo sangue ossigenato proveniente dalle branchie, che comunicano con l'esterno, riuscendo così a mantenere una temperatura corporea costante e a limitare in generale il raffreddamento legato alle temperature dell'acqua. I muscoli inoltre sono ben irrorati e il cuore degli squali è molto efficiente, nel battere incessantemente, fornendo così ulteriore calore corporeo.
Per riuscire a capire che i megalodonti fossero degli animali endotermici, gli scienziati hanno dovuto ovviamente sfruttare un particolare elemento presente all'interno dei loro denti: l'apatite, un minerale che contiene diverse molecole di carbonio legate ad ossigeno. Come tutti gli atomi, questi elementi si possono trovare in varie forme definite chimicamente come "leggere" e "pesanti", ovvero gli isotopi di cui abbiamo accennato prima. La diversa composizione e quantità degli isotopi leggeri e pesanti che compongono l'apatite è stata ovviamente studiata dagli scienziati per capire a quali condizioni ambientali (l'interno della bocca dei megalodonti in questo caso) essi si sono legati alla struttura cristallina dei denti dello squalo. Quindi la composizione isotopica dei denti fossili ha permesso di capire come viveva l'animale, ma anche quali fossero le prede che esso cacciava per sopravvivere e altre informazioni utili come la chimica dell'acqua presente all'epoca nell'oceano.
«Puoi pensare agli isotopi conservati nei denti come una sorta di termometro, ma la cui lettura può essere conservata per milioni di anni – ha dichiarato Randy Flores, uno studente di dottorato dell'UCLA che ha lavorato allo studio. – Visto inoltre che i denti si formano nel tessuto di un animale quando è vivo, possiamo misurare la composizione isotopica dei denti fossili per stimare la temperatura alla quale si sono formati e questo ci dice la temperatura corporea approssimativa dell'animale in vita».
L'utilizzo di questo metodo, inventato ormai diversi anni fa ma raramente impiegato sui fossili degli squali, quindi apre una montagna di possibilità per tutti quei ricercatori che vogliono approfondire le condizioni di vita delle numerose specie di squali di cui disponiamo solo i denti e che hanno vissuto sul pianeta Terra a partire da 400 milioni di anni fa, ovvero dal Devoniano.