Il megalodonte è senza dubbio uno degli animali estinti più iconici in assoluto. Se escludiamo i giganteschi dinosauri che hanno dominato il Mesozoico, infatti, poche altre specie stuzzicano la fantasia e l'immaginario collettivo come lo squalo più grande che abbia mai nuotato nei nostri mari. Ora però, grazie a un nuovo studio che ha utilizzato la modellizzazione in 3D, sappiamo anche che è stato lo squalo con la velocità di crociera più elevata e che poteva divorare animali grandi come un'orca in pochi morsi.
I risultati dello studio appena pubblicato su Science Advances, dimostrano che il gigante marino poteva nuotare con una velocità di crociera di 1,4 m al secondo, che necessitasse di oltre 98.000 chilocalorie al giorno e che il volume del suo stomaco poteva raggiungere quasi 10.000 litri di capienza. Questi dati rendono il megalodonte un vero e proprio superpredatore transoceanico, in grado di vagare per migliaia di chilometri e di mangiare prede lunghe fino a 8 metri, le dimensioni di un maschio adulto di orca (Orcinus orca).
Queste stime sono state ottenute grazie alla realizzazione di un modello 3D di un singolo megalodonte (Otodus megalodon) scoperto negli anni 60 dell'Ottocento. Cosa assai rara, infatti, una parte considerevole della sua colonna vertebrale si è fossilizzata successivamente alla morte dell'esemplare, avvenuta all'età di 46 anni circa 18 milioni di anni fa durante il Miocene, quando l'attuale Belgio si trovava in fondo all'oceano. Solitamente, infatti, avendo uno scheletro composto prevalentemente di cartilagine, negli animali come gli squali si fossilizzano solamente denti e vertebre, le parti più dure.
Per "riportare in vita" questo esemplare, gli scienziati hanno misurato e scansionato ogni singola vertebra prima di ricostruire l'intera colonna. Hanno quindi "attaccato" la colonna vertebrale ricostruita a un'altra scansione 3D della dentatura di un megalodonte rinvenuto negli Stati Uniti e, successivamente, hanno completato il modello "aggiungendo" la carne e le altri parti molli allo scheletro partendo da una scansione 3D di un grande squalo bianco attuale (Carcharodon carcharias).
Il risultato finale della modellizzazione in 3D ha restituito un esemplare lungo ben 16 metri e che pesava oltre 61 tonnellate. Mettendo quindi insieme dimensioni, massa corporea e altre caratteristiche biologiche come la velocità e il consumo di energia, gli autori concludono che il megalodonte poteva nuotare a velocità assolute più elevate di qualsiasi altra specie di squalo oggi conosciuta e che si trattava di un superpredatore transoceanico con un ruolo apicale per gli ecosistemi marini.
L'elevata richiesta energetica di cui aveva bisogno ogni giorno, infatti, lo portava a nutrirsi probabilmente di grossi cetacei lunghi fino a 8 metri. Ciò permetteva allo squalo di nuotare anche per migliaia di chilometri attraverso i freddi oceani senza mangiare nuovamente fino due mesi di fila. L'estinzione di questo iconico squalo gigante, quindi, ha probabilmente avuto un impatto enorme sul trasferimento dell'energia e dei nutrienti nella piramide alimentare, consentendo inoltre ai grandi cetacei di liberarsi di una notevole pressione predatoria.
Infine, secondo gli autori, questo studio sul superpredatore che si è estinto circa 3,6 milioni di anni fa aiuterà a comprendere meglio anche il ruolo ecologico che altri animali della cosiddetta mefafauna svolgevano all'interno degli ecosistemi marini, ma soprattutto quali conseguenze su larga scala sono avvenute in seguito a queste estinzioni. Il megalodonte è stato quindi, molto probabilmente, un vero e proprio dominatore degli oceani. Difficilmente altri animali potevano rivaleggiare con lui e la usa estinzione, molto probabilmente, ha lasciato il campo libero ad altri squali e soprattutto i grandi cetacei.