Il mammut (Mammuthus primigenius) è sicuramente uno degli animali più famosi della preistoria, essendo divenuto il simbolo della lunga era glaciale che colpì il nostro pianeta a partire da 1 milione di anni fa, durante il Pleistocene. Egli è anche uno dei primi animali che ci vengono in mente quando pensiamo alla fauna preistorica, insieme ai dinosauri e ai trilobiti.
Riguardo alla scomparsa dei mammut ci sono diverse leggende e molteplici teorie, molte delle quali si sono dimostrate completamente sbagliate o parzialmente incomplete. Per anni per esempio si è creduto che questi animali si siano estinti per colpa della nostra specie, colpevole di aver cacciato così intensamente i mammut da destabilizzare intere popolazioni in pochi secoli, mentre altre teorie affermano che è stato il disgelo a condannarli alla morte.
Ora un nuovo studio, pubblicato da alcuni scienziati italiani lo scorso agosto, sulla rivista Earth History and Biodiversity, ha però permesso ai paleontologi di chiarire meglio quale sono state le sorti degli ultimi mammut della Terra, la cui fine è stata molto più prolungata e imprevedibile del previsto.
Per quanto infatti fino a pochi mesi fa la maggior parte degli studiosi riteneva che la colpa dell'estinzione dei mammut dovesse essere attribuita principalmente al clima, sembra che le piante abbiano contribuito pesantemente a questo processo, diffondendo nell'ormai libere pianure euroasiatiche temibili pollini in grado di azzerare l'olfatto di questi proboscidati.
Chi era il mammut lanoso e quando visse?
Il mammut lanoso fu una delle ultime specie di mammut a comparire in Eurasia e in Nord America durante l'era glaciale. I suoi fossili si possono trovare all'interno di vecchi sedimenti risalenti alla fine del Pleistocene, in delle pozze di catrame che risultavano delle pericolose trappole naturali o nel permafrost siberiano, come dimostrano i vari recenti ritrovamenti di esemplari mummificati che provengono dalla Russia.
Questa specie visse a partire da 200.000 anni fa e in poco tempo riuscì ad occupare i territori di ben 3 continenti, convivendo con altre specie di proboscidati che erano riusciti a sopravvivere durante le precedenti fasi interglaciali (come Palaeoxodon antiquus, la specie frequentemente cacciata dai nostri cugini Neanderthal).
Per quanto venga spesso rappresentato al cinema come un animale imponente, in verità il mammut lanoso era poco meno più piccolo dell'attuale elefante africano (Loxodonta africana), essendo alto tra i 2,8 e i 3,5 m al garrese. Esso poteva tuttavia raggiungere i 4,5 m di lunghezza, mentre il suo raggiungeva le 6 tonnellate. Ciò che però rendeva un mammut lanoso molto diverso rispetto le specie attualmente esistenti erano la forma e la lunghezza delle loro zanne, molto più lunghe e arcuate.
Le zanne di questi animali potevano infatti raggiungere i 420 cm di lunghezza ed erano ricurve verso l'alto, in modo tale che gli esemplari più imponenti potessero spianare la strada al loro gruppo sulla neve.
Le teorie sull'estinzione del mammut lanoso
Alla fine dell'era glaciale, buona parte dei ghiacciai che coprivano in particolare l'Europa e l'Asia Settentrionale scomparvero per via del discioglimento e dell'innalzamento delle temperature. Al loro posto comparvero vaste pianure e foreste, che presentavano una vegetazione molto diversa rispetto agli habitat glaciale che fino a quel momento avevano prosperato nell'emisfero settentrionale.
Secondo un modello proposto dai paleontologi della seconda metà dell'Ottocento – tra cui c'era lo stesso Darwin – i mammut dovettero quindi adeguarsi a una nuova tipologia di dieta, che era molto differente rispetto a quella del periodo precedente, che gli aveva consentito di mantenere le loro popolazioni stabili per centinaia di migliaia di anni. Tuttavia, l'adeguamento alla nuova dieta non fu completa e ciò moltissimi gruppi di mammut a morire di fame o a indebolirsi così tanto da indurre i cacciatori, tra cui l'uomo, a ucciderli fino all'ultimo.
Per quanto affascinante, questa teoria dovette però poi affrontare nuovi dati, per esempio la scoperta che molte specie di mammut e lo stesso mammut lanoso sopravvissero a diversi periodi interglaciali, in cui la temperatura era molto più calda e le pianure euroasiatiche completamente spoglie di neve.
A seguito di queste scoperte, si pensò allora che il principale colpevole dell'estinzione della megafauna europea fosse l'uomo, il cui sviluppo della tecnologia gli permise di sterminare varie specie (non solo proboscidati) in un periodo interglaciale particolarmente caldo, come quello che anticipò di qualche secolo lo sviluppo delle prime civiltà umane. Tuttavia, anche questa teoria non ha mai soddisfatto del tutto i paleontologi, visto anche che alcune popolazioni di mammut sopravvissero persino al crollo delle prime civiltà umane, andandosi a rifugiare in alcune aree specifiche della Russia e dell'America settentrionale.
Attualmente, i paleontologi credono che ad estinguere questi pachidermi furono molteplici fattori ambientali, climatici ed evolutivi, a cui si aggiungono le moderne scoperte pubblicate di recente.
La (controversa) teoria del polline
Secondo lo studio pubblicato solo qualche settimana fa, a indebolire notevolmente le popolazioni di mammut sono state le nuove tipologie di piante che sono comparse a seguito della fine dell'ultimo massimo glaciale. Queste piante – come Oxytropis sordida e l'Huperzia – producevano un gran numero di pollini, a cui il sistema immunitario dei mammut non si era ancora abituato.
In generale, quando i pollini producono una forte reazione allergica, esse provocano quello stato febbrile che noi esseri umani chiamiamo "febbre da fieno", in grado d'incidere pesantemente sul metabolismo di un animale. Come infatti ben sanno tutti coloro che soffrono di allergie stagionali, il muco prodotto per proteggere le vie respiratorie dal contatto diretto con il polline è in grado di far perdere completamente l'olfatto e di aumentare i sintomi di malessere provocati dall'allergia. Un grave problema, per una specie come il mammut che si è ritrovato a vivere in un ecosistema del tutto nuovo e con un gran numero di predatori.
Gli autori dello studio, tra cui Per Giorgio Righetti del Politecnico di Milano e Vincenzo Cunsolo dell'Università di Catania, ritengono quindi che a lungo andare le costanti allergie dei mammut li abbiano portati a cadere vittima più frequentemente delle battute di caccia dei nostri antenati, ma anche costretti ad abbandonare diversi territori europei, che un tempo erano in grado di fornirgli sostentamento durante le fasi interglaciali.
Essi si sarebbero quindi rifugiati solo in quei territori dove erano presenti solo le piante che non producevano pollini o per cui disponevano gli anticorpi adatti, ma con il passare del tempo e l'espansione naturale delle specie questo territorio si ridusse sempre più, condannandoli a vivere in pochi contesti geografici, abbastanza limitati dal punto di vista ambientale e dimensionale. Ciò alla fine l'indusse a subire un grave collo di bottiglia (un pesante calo demografico), che li espose ulteriormente ad altre malattie e all'estinzione definitiva, avvenuta 4.000 anni fa, in alcune isole sperduta della Russia.
Non tutti i paleontologi sono però convinti che "l'ipotesi dell'allergie" possa considerarsi corretta. Fra questi c'è per esempio Vincent Lynch, biologo evoluzionista e professore associato presso l'Università di Buffalo a New York, secondo cui i campioni di DNA antico estratti dagli ultimi esemplari di mammut vissuti in Russia indicano che questi animali avevano completamente perso la capacità di annusare certe piante. Un indizio del fatto che i mammut avevano evoluto delle strategie per risolvere il problema dell'allergie.
È comunque indubbio che per risolvere definitivamente il mistero della scomparsa dei mammut i paleontologi dovranno studiare ancora a lungo i reperti e che la teoria proposta quest'anno dai ricercatori italiani dispone di prove che sono state considerate valide da buona parte della comunità scientifica.