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17 Luglio 2022
8:56

Il lutto negli scimpanzé: lo studio sulle madri che trasportano i corpi senza vita dei figli

Fra gli scimpanzé, le madri si prendono cura del cadavere del proprio figlio deceduto prematuramente trasportandolo con sé durante le loro attività quotidiane, un comportamento che dimostra la presenza della componente emotiva del lutto.

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Comprendere in che modo gli animali non umani vivano l’esperienza del lutto è una delle domande ancora irrisolte e di grande interesse nell’ambito dell’etologia comparata. In particolare, è curioso cercar di comprendere se gli animali posseggano un “concetto di morte” molto simile al nostro, riuscendo ad esempio a distinguere l’irreversibilità di tale condizione da quella associata alla “vita” e se facciano esperienza della forte esperienza emozionale data dalla rottura definitiva di un legame sociale con un altro individuo causata dalla morte.

Seguendo questo filone di ricerca, in un recente studio pubblicato su Primates, un gruppo di ricercatori ha analizzato dei dati riguardanti il comportamento post-mortem degli scimpanzé, grazie all’osservazione per un periodo combinato di circa 40 anni di 2 comunità di una popolazione di 600 scimpanzé dell’Africa orientale che vive nella riserva della foresta centrale del Budongo, in Uganda.

In questo lungo frangente temporale è stato possibile seguire la nascita di 191 scimpanzé e, purtroppo, la morte di 68 di loro avvenuta per la maggior parte entro il primo anno di età.

Uno dei comportamenti già riscontrato in precedenza in numerose specie di primati ed associato alla possibile presenza di un “concetto di morte”, è tipicamente quello del trasporto del cadavere di un piccolo da parte della propria madre e dei comportamenti di cura ad esso associati, come ad esempio il continuare a ispezionare e a effettuare grooming verso il corpo senza vita del proprio figlio e così via.

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Questo comportamento appare in prima istanza come una prova importante della presenza di una vera e propria forma di lutto vissuta da un genitore nei confronti del proprio figlio deceduto, in realtà non è sufficiente a dimostrare la presenza di tutte le caratteristiche attribuibili al lutto e alla comprensione del concetto di “morte”, come ad esempio l’irreversibilità di quest’ultima.

Nelle osservazioni condotte dai ricercatori, in ben 9 casi le madri sono state osservate trascinare il corpo senza vita del loro piccolo per un periodo di circa 1-3 giorni, esattamente fino al punto in cui il corpo stesso iniziava a mostrare i segni della decomposizione.

In 3 casi il periodo in cui le madri trascinavano e trasportavano il cadavere del proprio piccolo superava di gran lunga il precedente limite, fino ad arrivare a 2 settimane consecutive. In uno di questi due casi la madre ha sostituito il trasporto del cadavere del figlio con un oggetto inanimato a seguito delle due settimane, un comportamento che potrebbe essere spiegato come un meccanismo di “coping” che la madre avrebbe messo in atto per continuare a sperimentare il “sollievo” derivante dal prendersi cura di un oggetto che vicariasse la presenza del cadavere del proprio piccolo.

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Addirittura, in un singolo caso, una madre ha trasportato il corpo a quel punto ormai mummificato fino a 3 mesi dal momento della morte del piccolo. Sono state formulate parecchie ipotesi che tentano di spiegare le caratteristiche e i meccanismi cognitivi coinvolti nell’espressione di questo comportamento ascrivibile alla categoria del lutto.

Una di queste, la cosiddetta “unawareness hypothesis”, sostiene che il comportamento di “trasporto del cadavere” non descriverebbe una forma completa di lutto. Si tratterebbe in realtà della somma di comportamenti di cura parentale forniti dalle madri ai figli percepiti semplicemente in una situazione di difficoltà, non responsivi o comunque in difficoltà ma non percepiti come morti.

Secondo quest’ipotesi dunque, questo comportamento dimostrerebbe sì lo stato apprensivo mostrato dalle madri verso i propri figli  ma non la comprensione della morte degli stessi; in definitiva le madri, trascinando anche per lungo tempo il cadavere dei propri figli dimostrerebbero proprio di non percepire o comprendere l’irreversibilità della morte degli stessi.

Anche se l’ipotesi della non consapevolezza dell’irreversibilità della morte di un altro individuo fosse vera, questa dimostrerebbe solo l’assenza della comprensione di tale concetto nella dimensione del lutto degli scimpanzé.

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Non dimostrerebbe invece l’assenza ad esempio della componente emotiva a valenza negativa derivante dalla rottura/compromissione di un forte legame sociale, in questo caso caratterizzato dal legame emotivo-affettivo madre-figlio, che un animale può sperimentare nel momento in cui l’altro partner si viene a trovare in uno stato di difficoltà o come in questi casi, quando viene a mancare.

Quindi, è vero che probabilmente antropomorfizzare completamente il “lutto animale” può trarci in inganno e spingerci ad attribuire caratteristiche proprie del nostro lutto anche a quello degli altri animali, come la comprensione dell’irreversibilità della morte, ma è anche vero che non bisogna da ciò commettere l’errore opposto, ovvero quello di negare la presenza di tutte le altre caratteristiche tipiche della nostra percezione del lutto nelle altre specie, come ad esempio l’esperienza emozionale che caratterizza questo evento.

Questo genere di comportamenti ci dimostra in maniera innegabile come la componente emozionale del lutto, dovuta alla percezione di una perdita momentanea o definitiva di un altro animale con cui si è formato un forte legame affettivo e sociale, sia molto probabilmente condivisa fra noi e gli altri animali e abbia addirittura delle componenti omologhe nei meccanismi cognitivi coinvolti almeno fra noi e i primati in cui si sono riscontrati questi comportamenti post-mortem.

Sono un biologo naturalista di formazione, attualmente studente magistrale presso L'università di Pisa. Comprendere i meccanismi che muovono il comportamento degli animali e le ragioni che ne hanno permesso la loro evoluzione sono le domande principali che muovono la mia ricerca e la mia passione per l'etologia. Rispondendo ad esse, tento di ricostruire sia il filo conduttore che accomuna l'etologia di ogni specie animale, sia le differenze che distanziano ogni ramo evolutivo dall'altro.
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