Come in tutte le relazioni, anche il rapporto con i nostri animali da compagnia può essere messo in pericolo da fattori esterni o da fattori intrinseci alla relazione che, con buone probabilità, non erano stati considerati o correttamente valutati fin dal principio.
Secondo la "teoria dello scambio sociale", sviluppata da Emerson nel 1976, una relazione è considerata stabile se vi è un equilibrio positivo tra i benefici e i “costi” percepiti della stessa. Nel momento in cui i costi superano i benefici, allora le persone tendono a terminare o ad abbandonare la relazione.
Lo stesso può accadere con i nostri animali. Sappiamo che i benefici della convivenza con gli animali sono innumerevoli, ma purtroppo a volte possono intervenire delle circostanze che possono essere percepite dalle famiglia come problematiche nella relazione uomo-animale. Quando si parla di costi, non ci si riferisce chiaramente ai costi economici. Un esempio facilmente comprensibile può essere l’impegno e lo stress che si possono generare al vivere con una cane che manifesti una severa ansia da separazione e che potrebbe essere incompatibile con lo stile di vita della persona o della famiglia, o ancora che possa generare conflitti con il vicinato.
Il concetto di costi e di benefici applicati ad una relazione è assolutamente relativo e soggettivo, per cui non giudicabile in maniera asettica, senza una attenta valutazione del caso. Molti problemi possono infatti essere prevedibili o gestibili, l’educazione alla convivenza responsabile è perciò alla base della prevenzione dei problemi di relazione nella diade uomo-animale.
Spesso però alcune situazioni possono arrivare ad essere realmente di difficile gestione o risoluzione, e le stesse persone coinvolte sono a volte costrette a dover prendere decisioni drastiche, spesso a malincuore.
Rinunciare a un animale da compagnia: cosa dice la legge
Sappiamo che il fenomeno dell’abbandono è purtroppo ancora molto diffuso nella nostra società. Sbarazzarsi in questa maniera di un animale, qualunque ne sia la ragione, è una scelta riprovevole e poco etica che oltre a provocare una grande sofferenza all’animale può mettere in pericolo la vita sia di quest'ultimo che delle persone, aumentando inoltre le difficoltà di tutto il sistema di gestione della popolazione delle altre specie a noi così vicine.
In presenza di uno scenario drammatico in cui una persona o una famiglia non può più farsi carico di una animale vi sono però degli scenari più sostenibili ed eticamente più compatibili per provare a garantire un futuro accettabile all’animale che si deve purtroppo allontanare.
Legalmente, qualora una persona intendesse rinunciare al proprio compagno di vita, deve darne comunicazione al Comune e al servizio veterinario della ASL competente per territorio che provvederà a consegnare l’animale al rifugio competente di zona, rendendolo così disponibile per una nuova adozione. A carico della persona rinunciataria sarà previsto il contributo di mantenimento dell’animale in struttura, fino a quando l’animale resti presso il rifugio.
Una persona che si trova in questa circostanza dovrebbe sempre essere informato sulla qualità e sulle condizioni di gestione della struttura. Come sappiamo, in molti rifugi, le condizioni di benessere possono essere estremamente precarie. In ogni caso ci si può sempre dirigere a strutture private, gestite in maniera etica e funzionale, e si può promuovere l’adozione dell’animale tramite altri canali, come un’associazione locale o nazionale.
Se invece si ha già una persona o una famiglia di riferimento che possa farsi carico dell’animale nel pieno rispetto delle sue esigenze, si può fare direttamente un passaggio di proprietà. Per legge, il passaggio di proprietà deve essere comunicato alla ASL competente entro 15 giorni dall’evento.
Restituire un animale dopo l’adozione
Un’altra triste realtà poco conosciuta è la restituzione di un animale a seguito dell’adozione dal rifugio. Anche in letteratura scientifica è stato osservato come, dal punto di vista dell'adottante, nella maggior parte dei casi, la causa delle restituzioni è legata ad una carente conoscenza del comportamento tipico della specie, che porta al fallimento delle aspettative da parte della persona o della famiglia.
Un altro importante problema è la mancata consapevolezza che, a seguito di un’adozione, un animale ha un naturale bisogno di un periodo di adattamento. Nella prima fase, variabile da pochi giorni a mesi a seconda dell’individuo, il cane o il gatto può esprimere dei comportamenti o inibirne alti, come manifestazione del periodo necessario a conoscere il nuovo ambiente, le nuove persone e le nuove routine. Quando ciò non viene compreso da parte dei neo-adottanti, che vedono solo il proprio animale che non si comporta come da loro aspettative, si può generare la restituzione al rifugio.
Per quanto riguarda gli animali è stato visto che le restituzioni sono generate da alcuni comportamenti dell’animale considerati come inaccettabili o incompatibili da parte delle famiglie adottanti. Tra di essi vi sono ad esempio i comportamenti indotti dalla già citata ansia da separazione (distruzioni o vocalizzazioni intense quando lasciati soli in casa), le eliminazioni inappropriate (ovvero i bisogni fatti in giro per casa), l’aggressività o le fobie severe.
Nonostante la maggior parte delle volte i comportamenti percepiti come problema possano essere prevenibili o risolvibili, capita che i proprietari non siano a conoscenza degli strumenti che hanno a disposizione (es. essere aiutati da esperti del settore) o non siano in grado di farne fronte, per svariati motivi.
È stato visto come azioni dirette nel processo di adozione (prima, durante e dopo l'adozione) possano incidere notevolmente sulla qualità delle stesse e quindi anche sul il tasso di restituzione degli animali ai rifugi.
Abbinare un animale con il futuro proprietario e fornire consulenza sul comportamento animale, prima e dopo l'adozione, sono priorità per prevenire le restituzioni e migliorare la relazione adottante-adottato.
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