Un gigantesco drago alato veglia da qualche giorno sui paesi che circondano Lavarone, un piccolo comune montano a cavallo tra la provincia di Trento e quella di Vicenza. La sua maestosa sagoma, immobile, osserva i boschi dell'Alpe Cimbra, gli stessi che nel 2018 sono stati colpiti dalla tempesta Vaia. La sua presenza però non preoccupa nessuno, anzi, viene considerata una ricchezza per il territorio, perché fin dai primi giorni dopo la sua comparsa, ha attirato migliaia di visitatori intenzionati a fotografare la creatura fantastica e (purtroppo o per fortuna), inanimata.
Sì, perché il drago, anche se da lontano non si direbbe, è in realtà fatto di legno, ma non di un legno qualunque, bensì dei resti degli alberi abbattuti durante la terribile tempesta da cui prende il nome. L'animale, alto più di 6 metri, infatti è stato chiamato proprio Vaia ed è un'opera d'arte nata dalle mani di Marco Martalar, uno scultore che ha voluto in questo modo omaggiare il suo territorio d'origine: un altopiano ricco di tradizioni, di favole e di leggende dove anche i draghi hanno da sempre un importante ruolo simbolico: «Nelle nostre leggende non veniva chiamato drago, ma basilisco, ed era un enorme serpente alato che nasceva da un uovo di gallina ogni milione di anni – spiega a Kodami l'artista – Come molte altre figure mitologiche, anche questo animale è nato per ricordarci che la natura è potente, può metterci soggezione e dobbiamo rispettarla».
Streghe dalle zampe di capra e basilischi nelle leggende cimbre di Lavarone
Sull'altopiano dominato dal severo sguardo del drago di legno, si muove da secoli una comunità unica nel suo genere, ovvero la minoranza etnico linguistica cimbra. Questa popolazione, che ha raggiunto il Trentino meridionale e il Veneto Sud occidentale nel Medioevo, ha portato con sé attraverso le Alpi leggende e tradizioni nordiche che mischiano creature vere e creature fantastiche che ancora oggi sopravvivono nella cultura popolare.
E così accade che in molte case della zona, all'entrata delle stanze da letto si trovi qualche scalino, costruito per impedire alle streghe dalle zampe di capra di entrare nella notte, mentre sotto al prato del Ranthal si dice sia sotterrato un misterioso tesoro custodito dal diavolo in persona. E se ti trovi da queste parti nei giorni di nebbia, quando la neve avvolge l'altopiano, devi stare attento al Sambinel, un folletto dei boschi che fa smarrire la strada ai camminatori e infatti, "essere nele peste de Sambinel" per i cimbri significa ancora oggi "essersi persi".
Proprio in questo mondo a metà tra leggende e realtà dove ogni luogo ha una storia da raccontare, si muoveva anche il basilisco, una figura che in realtà è molto più diffusa di quanto si creda: «Fin dall'antichità la sua immagine era spaventosa e intimoriva gli abitanti del posto – spiega Martalar – Personalmente trovo meraviglioso che i draghi vengano rappresentati nelle tradizioni e nelle culture di ogni angolo di mondo, dalle Alpi al Giappone, senza dimenticare il valore che ha questo animale anche nella Cina moderna. Oggi lo consideriamo un animale frutto della fantasia, ma come possiamo dimostrare che sia così se anche tradizioni che non si sono mai incontrate lo riconoscono: siamo sicuri che sia solo una figura fantastica e non sia invece solo nascosto da qualche parte?».
Non solo draghi, ma anche cervi e galli testimoni del rapporto della cultura cimbra con gli animali
Il legame che da secoli unisce gli esseri della comunità cimbra (reali e fantastici) con gli umani che hanno popolato queste montagne è evidente, e infatti a supportare la presenza di queste enormi creature di legno è l'associazione Lavarone Green Land, la quale ha l'obiettivo di trasmettere, attraverso installazioni ed opere di questo tipo, l'attenzione e il rispetto per la natura. «Le nostre leggende sono ricche di simboli che ricordano all'uomo di non mancare di rispetto all'ambiente che ci circonda – racconta Martalar – L'immagine del drago è potente come lo è stata la tempesta Vaia che ha colpito i nostri boschi. E quando ci si avvicina alla statua, viene da chiedersi davvero se non ci stia osservando, quasi uscendo dal regno della fantasia per diventare reale di fronte a noi, come nei racconti».
Il drago Vaia, che proprio in questi giorni è stato fotografato anche ricoperto dalla prima neve dell'inverno, non è la prima opera prodotta dall'artista: «Cercando tra i paesi della comunità si può trovare anche un cervo, un'opera che è stata acquistata da un privato e si trova oggi in località Millegrobbe – racconta lo scultore – mentre di fronte al palazzo del comune di Gallio, sull'Altopiano di Asiago è stata esposta la statua del animale simbolo della città, che è appunto un gallo. Nel giardino di casa mia inoltre, c'è un leone alato simbolo del Veneto, che qualche tempo fa è stato esposto a Venezia».
Il drago nato dal legno della tempesta non sarà immortale e la sua presenza sarà essa stessa un simbolo perché non resterà immutata nel tempo, ma tornerà ad appartenere alla terra. Nella costruzione della scultura infatti, i materiali non sono stati trattati e per questo motivo Vaia cambierà di aspetto fino a decomporsi completamente e diventare, un giorno, la terra necessaria per i nuovi boschi che sorgeranno nel futuro, a partire proprio dagli alberi caduti al suolo il 29 ottobre del 2018.