Eccola lì Luma. A terra con gli occhi sbarrati. Dopo aver ricevuto il colpo di pistola dritto in mezzo agli occhi che l’ha uccisa immediatamente, senza strazi. È fortunata Luma. Perché non ha conosciuto gli orrori del mattatoio, degli allevamenti intensivi violenti. È fortunata perché è nata e cresciuta in un allevamento “buono”, di quelli che usano la musica perché il latte sia di più e più buono, dove lasciano liberi di correre al pascolo, dove lavano via il liquame da terra. Quelli dove ti uccidono con un colpo di pistola quando non servi più, perché hai già figliato abbastanza, ma prima ti trattano bene.
"Cow", storia di Luma e della sua breve vita in un allevamento di mucche da latte
Luma, o meglio il numero 1129 ben impresso sulle terga, è una mucca da latte. Vive in un medio accampamento inglese insieme ad un cospicuo ma non eccessivo numero di “colleghe” sotto un grande capannone meccanizzato. Mangia in un grande mangiatoia di metallo alimentata da un tubo che spruzza mangime, viene munta abbondantemente più di una volta al giorno, viene ingravidata appena subito dopo aver partorito, viene separata da suo cucciolo subito dopo lo svezzamento. Ogni tanto corre all’aria aperta. Ogni tanto pascola sotto la luna. Ogni tanto muggisce. Ma in genere ha gli occhi talmente buoni che si fa fatica a guardarla. Luma ci ha raccontato la sua storia senza parlare in "Cow", il documentario (pluripremiato al 74° Festival del Cinema di Cannes, da pochi giorni disponibile in esclusiva sulla piattaforma Mubi) di Andrea Arnold, regista inglese che ha voluto ricordarci in quasi un’ora e mezza di film quasi muto, che vivere e morire per una mucca da latte non è una scelta, ma un obbligo senza alternative.
La gravidanza, la nascita e la separazione: essere madre in un allevamento
La macchina da presa sempre addosso, Luma partorisce. È la prima scena e ci lascia storditi per la crudezza delle immagini ma anche per la loro dolcezza. Il vitellino le viene estratto con cautela e Luma fa quello che fa ogni mamma, se lo coccola leccandolo e annusandolo. A forza di leccarlo lo trasforma da batuffolo umido in uno splendido cucciolo di mucca. Che però le viene subito sottratto e portato in recinto che lei continua ad osservare in lontananza. Anche di notte. Muggendo per dire che no, lei non è d’accordo per niente. Poi si rientra nella routine. La mungitura meccanica, i pasti ad orari fissi, la rifinitura degli zoccoli da parte del maniscalco, le mammelle perennemente gonfie di latte che finirà sulle tavole e non ai cuccioli. Talmente gonfie da impedire quasi di camminare. Arriva il momento della visita ginecologica per appurare che sia tutto a posto. Lo è. Luma può figliare di nuovo.
Creata la prima mucca transgenica per produrre insulina umana nel latte
La gioia del pascolo al sole, brucare l’era e guardare il cielo
In un recinto isolato avviene incontro con il toro che la monterà. Ci saranno leccatine e strofinamenti, poi l’accoppiamento sotto l’occhio vigile degli allevatori. Con una telecamera inserita nella vagina con un lungo tubo Luma scoprirà cos’è un’ecografia e noi vedremo il futuro cucciolo che nuota nel liquido amniotico. Poi arriverà il momento del nuovo parto, del nuovo cucciolo, questa volta tutto nero, della nuova separazione. Per sei volte. Ma siamo in un allevamento “a regola d’arte”, quindi ogni tanto Luma e le sue amiche sono portate sui pascoli veri, quelli fatti di erba e di sole, di vento e di terra.
Luma ruminerà fino ad annoiarsi, osserverà il cambiare del colore del cielo con occhi placidi e sentirà il profumo dell’erba che le solletica il muso. Camminerà trotterellando fra le altre, si sdraierà a terra aspettando che il sole si trasformi in luna. Giorni felici fino al rientro in gabbia. Fino a quel colpo di pistola finale che sancisce uno stato di fatto: ormai troppo vecchia per continuare e figliare e, quindi, a produrre latte, Luma non serve più. E come tutto ciò che non serve più viene buttato via.
Nessuna violenza: non è un’inchiesta sotto copertura
La cosa bella e al tempo stesso straziante di "Cow" è che non è un film sulle violenze degli allevamenti intensivi che siamo abituati a vedere nelle immagini delle inchieste sotto copertura realizzate dalle associazioni animaliste per denunciare abusi e violazioni delle leggi sul benessere animale. "Cow" è un film sulla violenza insita nel far nascere un essere senziente per essere animale da reddito. Sulla violenza di una vita destinata a produrre profitti ma privata dell’essenza vera della vita selvatica.
Nascita, morte, maternità: gli istinti primari non decantano. Luma che bruca erba fresca e tiepida sotto il sole o il cucciolo che saltella fra gli altri cuccioli come in un balletto, sembrano felici, per quanto ne possiamo sapere noi della felicità degli animali. Esattamente come il muggito che accompagna la separazione tra madre e figlio ci appare straziante. Eppure tutto nel film, anche la mancanza di consapevolezza del destino già scritto nel colpo di pistola finale in mezzo agli occhi, parla di coercizione, di vita senza dignità.
Vivere e morire per una mucca da latte non è una scelta, ma un obbligo senza alternative
«È un film sulla vita reale di una vacca da latte, e sottolinea il riconoscimento al suo grande servizio per noi. E quando guardo Luma, la nostra mucca, vedo in lei l’intero mondo…», aveva scritto Andrea Arnold sul Guardian in occasione dell’uscita del docu film destinato ad un piccolo trionfo sulla Croisette di Cannes, confermando un’attenzione verso il mondo animale che sembra emergere in tutti i suoi lavori dove la presenza ora di un cane, ora di un cavallo da sempre una svolta alla trama. Fino ad "American Honey" dove la protagonista, attraversando il Midwest americano, si imbatte in un camion che trasporta maiali destinati al macello. In "Cow" la Arnold approfondisce il discorso sull’allevamento e sullo sfruttamento degli animali da reddito e la protagonista diventa la breve vita di Luma, numero 1129.
Tutte le immagini sono frame del documentario "Cow" di Andrea Arnold