«Non è cane, non è lupo. Sa soltanto quello che non è», afferma l'oca delle nevi Boris riferendosi a Balto nell'indimenticabile film d'animazione del 1995. Qualcosa del genere calza a pennello anche per il dingo australiano, da sempre considerato "semplicemente" un cane rinselvatichito. Un nuovo studio, appena pubblicato su Science Advances, ha però permesso di scoprire che le cose non stanno esattamente così e che la storia evolutiva del dingo è leggermente più complessa. Il più grande predatore australiano è infatti a metà strada, da un punto di vista genetico, tra un lupo e un cane domestico.
I ricercatori hanno sequenziato il DNA di Sandy, un cucciolo di dingo "puro" che è stato recuperato dalla strada assieme ai suoi fratelli nel deserto dell'Australia centrale. Hanno poi confrontato il suo genoma con quello di alcune razze canine moderne e con quello del lupo della Groenlandia. Hanno così scoperto che il dingo si posiziona più o meno a metà tra i cani e i lupi, anche se leggermente più vicino al migliore amico dell'uomo, in particolare al Pastore Tedesco.
La storia evolutiva del dingo e la sua collocazione tassonomica sono da lungo tempo molto dibattute all'interno della comunità scientifica. La maggior parte degli esperti sostiene siano arrivati in Australia tra 5.000 e 8.500 anni fa assieme ai primi umani. Sarebbero quindi semplicemente un'altra forma di cane domestico tornata poi allo stato selvatico. Ma non è chiaro a che punto del percorso di domesticazione si trovassero questi antichi cani quando arrivarono la prima volta, né tantomeno se questa migrazione si avvenuta una o più volte.
Considerando inoltre che le razze moderne sono sbarcate in Australia non prima della fine del 1700 e che i dingo sono quindi rimasti a lungo isolati dagli altri canidi, considerarli semplicemente una varietà di cani domestici sarebbe troppo riduttivo. Questo nuovo studio sul DNA pone quindi le basi per provare a delineare e a chiarire una volta per tutte la storia evolutiva del dingo, aprendo inoltre anche nuovi scenari sulla sua gestione.
Come accade per i lupi, i dingo sono infatti animali estremamente polarizzanti: da un lato sono venerati dalla popolazioni indigene e amati dagli abitanti delle città, dove sono diventati un forte simbolo della cultura australiana. Dall'altro sono spesso odiati e perseguitati dagli allevatori che li considerano una minaccia per il bestiame. Secondo i ricercatori, però, il lungo isolamento ha portato i dingo ad adattarsi soprattutto per cacciare i piccoli marsupiali e non il bestiame. Sono invece soprattutto i veri cani rinselvatichiti o gli ibridi dingo-cane a cacciare animali da allevamento.
Ovunque li si voglia inscatolare, i dingo rappresentano un'entità biologica distinta, con una loro storia e un loro caratteristico modo di essere canidi che è strettamente intrecciato all'uomo. Il lungo isolamento ha inoltre permesso di raggiungere anche una certa armonia ecologica con il resto della fauna australiana. Tutelarli è quindi estremamente importante a prescindere da se si preferisce considerarli lupi, cani o qualcosa lì nel mezzo. Del resto anche il dingo non lo sa, ma è riuscito ugualmente a ritagliarsi un suo piccolo spazio nel nostro caotico mondo.