«Ma tu ce l'hai un cuore?», si potrebbe chiedere a un qualsiasi vertebrato presente oggi sulla faccia della Terra, e la risposta non potrebbe che essere affermativa. Il cuore è infatti il vero motore dell'apparato circolatorio di tutti gli animali dotati di una colonna vertebrale (e non solo), eppure ancora molto poco si sa sulla sua origine ed evoluzione all'interno dei primi vertebrati.
Un nuova scoperta può ora gettare una luce sulla sua origine e su quella dei primi animali dotati di un vero cuore così come lo conosciamo oggi. Un team di paleontologi ha infatti trovato in Australia il più antico cuore fossile mai rinvenuto finora: appartiene a un pesce preistorico chiamato placoderma ed ha circa 380 milioni di anni.
L'organo, perfettamente conservato insieme ad altre parti molli dell'animale, è stato recentemente descritto e ricostruito tra le pagine della prestigiosa rivista Science. Era piatto, a forma di S ed era posizionato in basso, sotto le branchie e la bocca dell'animale, in maniera molto simile a come accade oggi negli squali.
Il fossile arriva dai depositi della formazione Gogo, nella regione del Kimberley dell'Australia occidentale, ed è risalente al Devoniano superiore, quando l'area era una rigogliosa barriera corallina. Appartiene per l'esattezza a un placoderma dell'ordine degli artrodiri, pesci corazzati dotati di placche dermiche ossee su capo e torace e che hanno dominato gli oceani tra 420 e 360 milioni di anni fa. I palcodermi furono tra i primi pesci a essere dotati di mascelle e mandibole articolate, per cui rappresentano un po' un punto cruciale per la storia evolutiva di tutti i vertebrati.
Ma sebbene si conoscano piuttosto nel dettaglio le caratteristiche scheletriche di questi antichi pesci e i cambiamenti anatomici a esse associati, è molto più difficile invece risalire a informazioni sugli organi e le altre parti molli, che a differenza di quelle dure come denti e ossa, si fossilizzano molto raramente, se non in casi davvero eccezionali. Eccezionale proprio come il fossile descritto in questo studio, grazie al quale è stato possibile ricostruire, oltre al cuore, anche il fegato, lo stomaco e l'intestino del pesce.
Organi e parti molli, che è stato possibile studiare e ricostruire grazie all'uso di tecniche di scansione ai raggi X estremamente sofisticate, che hanno permesso di osservare tutte le strutture senza aver bisogno di liberare il fossile dalla roccia. Il cuore piatto e a forma di S del pesce era composto da due camere (quella più piccola si trova sopra), era ben separato dal fegato e da altri organi addominali e per questo – secondo gli autori – mostra le prime prove filogenetiche che collegano lo sviluppo del cuore negli gnatostomi (i primi vertebrati con mandibole e mascelle) con l'evoluzione della complessa regione del capo e del collo. Ma c'è molto di più.
Studi precedenti avevano ipotizzato la presenza di polmoni fin dai primissimi stadi dell'evoluzione dei vertebrati. Questo carattere era quindi considerato molto antico e già presente anche nei placodermi, tuttavia l'analisi di questo nuovo fossile suggerisce che non era affatto così. Non sono state trovate prove della presenza di polmoni o di organi omologhi, ribaltando quindi questa ipotesi e suggerendo che sia stato proprio il riposizionamento così in basso del cuore a lasciare lo spazio per lo sviluppo successivo dei polmoni nei lignaggi di animali successivi.
Il cuore così come lo conosciamo oggi, è stata quindi una conquista evoluzionistica piuttosto precoce per i vertebrati e si è dimostrato estremamente vantaggioso, considerando che con poche modifiche è rimasto lì per milioni di anni, arrivando così fino a noi. La fortuna di aver trovato parti molli fossili così ben conservate, ha permesso perciò di raccogliere una quantità di preziose informazioni inedite altrimenti molto difficili da reperire in altri modi. Gli autori continueranno quindi a scavare alla ricerca di altri fossili, nella speranza di riuscire a trovare altre prove della vita passata che, in un certo senso, ha permesso anche noi di essere qui oggi.