L’attività venatoria è una pratica invisa alla maggior parte degli italiani, che non riconosce alla caccia alcuna utilità, ma solo l’essere un divertimento che causa una serie di danni collaterali, non soltanto agli animali ma anche per l’incolumità delle persone. Ogni stagione di caccia, infatti, si contano numerosi incidenti, con morti e feriti, provocati da un uso sconsiderato delle armi da parte dei cacciatori, che causano danni anche a quella stragrande maggioranza di popolazione che a caccia non ci va.
Fra le tante modalità nelle quali l’attività venatoria viene praticata quella più anacronistica e crudele è quella da appostamento fisso, con l’utilizzo dei richiami vivi. Una pratica che non può nascondersi nemmeno dietro il piacere di camminare in ambienti naturali oppure nella soddisfazione di veder lavorare il proprio cane. La caccia da appostamento si basa, infatti, soltanto sull’inganno provocato da inconsapevoli uccelli tenuti in gabbia, che l’alterazione dei loro bioritmi fa cantare come se fossero a primavera.
Un comportamento utile per richiamare i loro simili vicino al luogo dove sono nascosti uomini armati che gli spareranno. Questo rappresenta, anche per molti cacciatori, il volto peggiore della caccia, il più vile e il meno accettabile, anche perché, quasi sempre, l’uccello che verrà abbattuto peserà meno della cartuccia servita per ucciderlo. Dietro questa assurda forma di caccia si cela un mercato incredibile, alimentato dal bracconaggio e dalla contraffazione degli anelli; quelli che ogni uccello detenuto come richiamo deve avere, per dimostrare la correttezza della sua provenienza.
Vengono così predati i pulli dai nidi, per essere poi legalizzati con l’apposizione di un “anellino inamovibile”. Un contrassegno che, una volta apposto su un nidiaceo, non si dovrebbe più poter togliere oppure mettere sulla zampa di un esemplare adulto. Un anello identificativo che dovrebbe attestare che l’animale provenga da un allevamento, mentre in realtà risulta essere stato illegalmente prelevato in natura. Questi giovani volatili provenienti dalla cattura sono molto ambiti perché cantano più di quelli allevati e così questi furti, compiuti da predoni di biodiversità, alimentano un giro illecito di affari dove un singolo animale può raggiungere il valore di svariate centinaia di euro, quando non migliaia.
Poco importa se, per ogni animale che arriva a essere venduto al mercato nero, ne muoiono decine che non raggiungeranno mai l’età adulta. Una fine prematura che risparmia ai poveri animali numerose sofferenze e una vita in condizioni di cattività quasi sempre pessime. La vita di un uccello da richiamo, infatti, può essere definita senza tema di smentite, come atroce: costretti a vivere in piccole gabbie dove trascorreranno tutta la loro vita, tenuti al buio durante la primavera e l’estate per farli cantare in autunno quando la caccia aprirà. Ingannati da quella che per loro è un’esplosione di luce con la quale identificano un’inesistente stagione degli amori.
Questo mercato crea sofferenza e mette in pericolo la biodiversità, ma questo non è stato ancora ritenuta una realtà sufficiente per vietare per sempre la caccia da appostamento e l’uso dei richiami vivi. Anzi molte regioni stanno legiferando per agevolare il bracconaggio, consentendo che al posto degli anelli inamovibili possano essere utilizzate, come contrassegno di lecita provenienza, delle fascette plastiche che vengono strette sulla zampina dei malcapitati. In questo modo non vi sarà più alcuna certezza sul fatto che gli animali siano effettivamente di allevamento e non servirà nemmeno rischiare di commettere un reato per legalizzarli.
Questo tipo di concessione viene caldeggiata dai tanti consiglieri regionali che sono anche cacciatori. Risultando spesso essere legati a quel mondo del bracconaggio di cui abbiamo parlato in precedenza. Proprio solo qualche settimana fa Carlo Bravo, consigliere regionale lombardo di Fratelli d’Italia, già presidente dell’Associazione Cacciatori Lombardi, è stato sorpreso dai Carabinieri Forestali del SOARDA (Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati in Danno agli Animali) con alcuni uccelli muniti di anello di identificazione contraffatto.
Un accertamento che ha portato al suo deferimento all’Autorità Giudiziaria, per vari reati che gli potrebbero costare una condanna severa proprio per la contraffazione di sigilli, oltre a una sanzione per la detenzione illecita di avifauna. Davvero un pessimo esempio per un amministratore della cosa pubblica, che dovrebbe servire il paese con dignità e onore.