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25 Novembre 2022
18:22

Il Cras di San Bernardino Verbano chiude dopo 37 anni di servizio

Il Cras di San Bernardino chiuderà i battenti a fine anno. I gestori della struttura raccontano a Kodami le proprie motivazioni.

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©Uberto Calligarich – la cura di un fenicottero rosa

A partire dal prossimo 31 gennaio, il Cras di San Bernardino Verbano, in Provincia di Verbano Cusio Ossola, chiuderà i battenti dopo 37 anni di servizio, durante i quali il centro è diventato un importante punto di riferimento famoso sul territorio. La notizia è stata diffusa dallo stesso gestore e fondatore della struttura, il veterinario Uberto Calligarich.

«Ho 67 anni e, per me, comincia ad essere uno sforzo troppo oneroso. Mi sarebbe piaciuto garantire una continuità, portando avanti il nostro lavoro di sentinelle della biodiversità con l'aiuto di altri esperti – spiega a Kodami il veterinario – Purtroppo, però, le istituzioni considerano i Cras come centri che vanno gestiti dai volontari e la crescita di progetti come il nostro, basati invece sulla competenza concreta, non viene in alcun modo favorita».

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©Uberto Calligarich – un muflone

La nascita del Cras di San Bernardino

Il progetto di Calligarich è nato nel 1987, in seguito ad alcune esperienze professionali presso lo Zoo di Milano e il Parco Natura Viva di Bussolengo (VR). «Terminato questo periodo, avevo sviluppato una passione per i pappagalli e la polizia locale, che conosceva questa mia dedizione, si rivolgeva a me per la cura dei volatili e io me ne occupavo gratuitamente – racconta – Ho pensato, quindi, di rendere il servizio più ufficiale e sono ormai quasi 40 anni che, con questo mestiere, ho rivoluzionato completamente la mia vita e quella della mia famiglia, con cui seguo minuto per minuto gli animali che accogliamo».

Nel Cras vengono accolti volatili, tra i quali poiane, gheppi, astori, aquile e gufi reali, ma anche i mammiferi tipici delle zone alpine, come volpi, faine, martore, stambecchi e camosci.

«Ricordo che una volta abbiamo fatto partorire uno stambecco in difficoltà sotto la cima Dufour del Monte Rosa – e aggiunge – Nei nostri ricordi, però, ci sono anche molte specie di cui si parla meno, come o i quercini e i moscardini, che non sono assolutamente di facile gestione, ma sono estremamente affascinanti».

Calligarich ha cercato di costruire un centro che non fungesse solo da ricovero per la fauna selvatica, ma fosse anche un luogo dedicato alla ricerca e alla divulgazione scientifica.

«Raccogliamo informazioni sulle popolazioni di animali selvatici, rileviamo la presenza di malattie che possono contagiare anche l'uomo, come la west nile, la brucellosi o la tularemia, quindi lavoriamo anche per la salute degli esseri umani – spiega il veterinario – Per fare tutto ciò è indispensabile serve anche una solida competenza professionale che permetta di evitare eventuali rischi per gli operatori».

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©Uberto Calligarich – Il veterinario con un gufo reale

«La liberazione degli animali guariti è solo una frazione del nostro lavoro di osservatori ambientali e sanitari»

Il Cras di San Bernardino, però, non è un luogo qualunque, ma è anche la casa della famiglia Calligarich e, infatti, alle domande di Kodami risponde anche la dottoressa Alessandra Tamiozzo Calligarich, esperta di nutrizione animale, zootecnia e moglie del veterinario.

«Guardare gli animali tornare nella natura è un dono meraviglioso di questo mestiere, che ancora oggi ci emoziona – spiega la dottoressa – Ciò nonostante, la liberazione rappresenta solo una parte del nostro lavoro, che è quello di veri e propri osservatori ambientali e sanitari. Fino ad oggi abbiamo finanziato di tasca nostra l'alimentazione, la cura, le strutture e gli interventi chirurgici e lo facciamo con tanta gioia, ma è arrivato un momento della vita in cui sappiamo che è meglio smettere».

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©Uberto Calligarich

Secondo i gestori del Cras di San Bernardino, questo stile di gestione della struttura dovrebbe essere molto più diffuso sul territorio italiano.

«Nessuno farebbe mai gestire un ospedale per esseri umani a un volontario che non sa alcunché di medicina, perché mai dovremmo farlo con gli animali? E vorrei che anche gli altri gestori delle strutture del nostro paese picchiassero i piedi per terra, perché l'immagine che viene data del Cras è quella di un centro dove gli animali vengono solo rimessi in piedi e restituiti alla natura, Invece siamo sentinelle dell'ambiente, capaci di notare i cambiamenti nel tempo della nostra biodiversità».

Il Piemonte orientale rimane scoperto: «Speriamo che questo nostro messaggio venga finalmente ascoltato»

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©Uberto Calligaris

Nel racconto della famiglia Calligarich vi è quindi anche una sorta di malinconia, perché i coniugi sanno di aver fatto del proprio meglio per trasmettere un messaggio che, però, non è stato recepito completamente dalle istituzioni.

«Ci hanno fatto visita i vigili del Fuoco della zona, i quali sono preoccupati perché non sanno cosa accadrà dopo la nostra chiusura – raccontano – A noi piacerebbe vedere tanti piccoli centri come il nostro, diffusi sul territorio e capaci di gestire monitoraggi, ma la Provincia dovrebbe decidere di intervenire e dimostrare interesse per questo tipo di azioni, che avrebbero un valore infinito, considerando che siamo la seconda provincia in Italia per biodiversità dopo il Trentino».

Il Cras di San Bernardino lascerà quindi un enorme vuoto e la Regione Piemonte dovrà ora fare affidamento solo sugli altri 3 centri di recupero della fauna selvatica, i quali, però, si trovano nella zona più occidentale del territorio regionale e, più nello specifico, a Racconigi (Cuneo), ad Asti e Sommariva Perno (Cuneo).

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©Uberto Calligarich – una volpe al cras

«Ci auguriamo che questo nostro messaggio venga finalmente ascoltato e che, in futuro, vengano stanziati finanziamenti per la ricerca e lo studio dell'ambiente e della fauna da parte dei professionisti che si dedicano a questo settore – conclude Calligarich – Questa professione può e deve rappresentare una certezza per la salute dell'ambiente e delle specie che lo abitano, un servizio che va riconosciuto e valorizzato, non lasciato in mano alla sola buona volontà».

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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