Quando gli europei sono arrivati nelle "Americhe" hanno portato con sé, e purtroppo imposto, le loro abitudini e non solo. La fine delle popolazioni indigene, infatti, è stata dovuta sia alla politica imperialistica con una dominazione basata tanto su vere e proprie stragi che a causa della contaminazione con malattie che la popolazione locane non avevano mai affrontato. Oltre a questo, chiaramente, si è verificato uno scontro culturale (religioso in primis) che si è manifestato anche attraverso il rapporto che gli uni e gli altri avevano con i loro cani.
L'attività europea nel Nord America durante il diciassettesimo e diciottesimo secolo ha dunque creato uno scenario tragico in cui gli europei sconvolsero l'autorità politica, economica e sociale dei gruppi nativi residenti e in seguito degli schiavi africani portati nella regione.
Già diversi studi avevano dimostrato che le linee di cani europei hanno gradualmente sostituito quelle nordamericane tra il 1492 e i giorni nostri. In una nuova ricerca pubblicata sul sito dell'Università di Cambridge i ricercatori dell'Università dell'Illinois Urbana-Champaign e dell'Università dell'Iowa hanno analizzato il DNA mitocondriale da resti archeologici di cani di Tsenacomoco, una zona che apparteneva ai nativi americani che disboscavano la terra per l'agricoltura, cacciavano nella foresta e utilizzavano i fiumi per cibo, commercio e viaggi.
Le scoperte degli esperti hanno portato a descrivere con maggiore profondità una complessa storia sociale che riguarda il miglior amico dell'uomo nel primo periodo coloniale. «Ricerche precedenti hanno dimostrato che la colonizzazione europea delle Americhe ha portato alla morte di quasi tutti i lignaggi mitocondriali dei cani nordamericani e alla loro sostituzione con quelli europei tra il 1492 d.C. e i giorni nostri – scrivono i ricercatori – I documenti storici indicano che i coloni importarono cani dall'Europa al Nord America, dove divennero oggetto di interesse e scambio già nel Diciassettesimo secolo. Tuttavia, non è chiaro se i primi cani archeologici recuperati da contesti coloniali fossero di discendenza europea, indigena o mista».
Per chiarire l'ascendenza dei cani della colonia di Jamestown, in Virginia, i ricercatori hanno sequenziato l'antico DNA mitocondriale di sei cani del periodo 1609-1617. «La nostra analisi dimostra che hanno lignaggi materni più strettamente associati a quelli degli antichi cani indigeni del Nord America. Inoltre, questi lignaggi materni si raggruppano con i cani dei siti archeologici di Late Woodland, Hopewell e Virginia Algonquian. Il nostro recupero di linee di cani indigeni da un sito coloniale europeo suggerisce una complessa storia sociale dei cani all'interfaccia tra popolazioni indigene ed europee durante il primo periodo coloniale».
Gli europei e i nativi americani consideravano i loro cani come animali da compagnia e da lavoro e per entrambi rappresentavano simboli di identità. Di conseguenza, gli animali riflettevano la tensione tra le culture europea e indigena: i coloni descrivevano i cani locali come "meticci" o anche "bastardi" (in senso dispregiativo) per sottolineare la loro opinione, ovvero che i locali non allevassero o avessero cura dei loro cani. La popolazione americana originale identificava i cani europei come una minaccia diretta alla loro esistenza e cercò anche di intraprendere delle misure per limitare la presenza degli animali che venivano dall'Europa.
«I cani, paradossalmente, collegavano e creavano tensioni tra le culture europee e indigene che riflettevano i paesaggi sociali complicati e in rapido cambiamento durante questo periodo», sottolineano i ricercatori specificando anche che «le comunità indigene cercarono di ostacolare gli sforzi coloniali volti a preservare la purezza delle razze canine europee, ricercando cani europei che avessero determinate caratteristiche desiderabili, nonostante i tentativi di impedire e persino di mettere al bando tali azioni».