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20 Giugno 2022
17:14

Rocky, Il Pitbull ucciso da un poliziotto a Napoli: autorizzata la citazione del responsabile civile

Il Pitbull Rocky è stato ucciso a Napoli nell'estate del 2019, freddato da due colpi d'arma da fuoco esplosi di un agente di Polizia di Stato. Nel corso dell'ultima udienza è stato chiamato come responsabile civile il Ministero dell'Interno.

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pitbull

È il 12 luglio del 2019 quando il Pitbull Rocky cade a terra, freddato da due colpi d'arma da fuoco. A premere il grilletto è un agente della Polizia di Stato che quel giorno si trovava in via Cesare Rosaroll, a Napoli, per arrestare la persona di riferimento di Rocky.

A quasi tre anni di distanza da quel tragico evento, resta ancora aperto il fascicolo sulle responsabilità umane dietro alla morte dell'animale. Il processo, iniziato nel 2021 davanti al giudice monocratico della III sezione del Tribunale di Napoli, vede imputato l'agente che ha sparato per il reato di uccisione ingiustificata.

Secondo gli agenti che si trovavano sul posto, la reazione del collega era giustificata dal pericolo rappresentato da Rocky. Secondo le testimonianze, il cane, aizzato dal suo umano di riferimento, aveva morso ripetutamente la caviglia sinistra di uno dei poliziotti cagionandogli poi 10 giorni di prognosi.

Una svolta nella vicenda processuale si è avuta nel corso dell'ultima udienza del giugno 2022, quando il giudice ha autorizzato la citazione del Ministero dell'Interno come responsabile civile. Ciò significa che il Dicastero dovrà rispondere del danno causato dall'agente nel caso in cui questi fosse giudicato colpevole. Un fatto molto raro, soprattutto relativamente ai procedimenti in cui avviene la morte di animali.

La morte del Pitbull Rocky: un video, due racconti

Tutta la dinamica di quella mattina è stata ripresa dagli smartphone di via Rosaroll. Nei video* si vede il cane avvicinarsi a uno degli agenti in borghese e morderlo alla caviglia mentre questi cerca di liberarsi scalciando. A quel punto un altro poliziotto spara al Pitbull che molla la presa.

Rocky inizia a girare su se stesso più e più volte, ma non cade a terra: cerca di raggiungere il suo umano, che nel frattempo è stato ammanettato. È a questo punto che sempre lo stesso agente spara il secondo colpo, quello fatale. Rocky guaisce, si trascina a terra ancora per un po' e infine si accascia al suolo senza vita. Il tutto dura meno di tre minuti.

Per le associazioni che al processo si sono costituite parte civile, l'uccisione è ingiustificata. «Due colpi sono tanti – dice a Kodami Andrea Ladogana, avvocato penalista della Rete Legale Enpa in Campania – Inoltre, se la Procura di Napoli ha aperto il procedimento rinviando l'agente a giudizio è perché l'uccisione non è avvenuta nel chiaro intento di salvaguardare gli altri e la loro incolumità».

Il gip, infatti, dopo aver letto gli atti, compreso il referto dell'agente ferito da Rocky, e aver visionato i video, ha giudicato che non fossero emersi elementi utili a supportare la posizione dell'agente indagato.

Dagli atti però non emerge solo la responsabilità di chi ha esploso i colpi ma anche di chi, aizzando Rocky a intervenire, lo ha esposto a una grave situazione di pericolo. Le carte processuali raccontano infatti di come durante le fasi concitate dell'arresto la persona di riferimento di Rocky abbia tentato di liberarsi colpendo gli operatori di Polizia e incitando il cane ad aggredirli.

Questo, unito al pregiudizio estremamente diffuso secondo cui i Pitbull sono animali aggressivi, avrebbe contribuito ad alimentare la tensione in un momento già profondamente stressante, in un'escalation culminata nel modo più tragico possibile.

Al di là della verità giuridica, a essere messa sotto processo dovrebbe essere anche una intera comunità che ha selezionato questo animale e ne ha alimentato il mito dell'aggressività, scrivendone una storia di cane combattente che però come vediamo si trova ad essere più spesso vittima che carnefice.

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*Kodami ha visionato i video diffusi sia da organi vicini alla Polizia che alle associazioni animaliste e ha preferito non contribuire a diffonderle ritenendo che le immagini della violenza nulla aggiungano al racconto

Giornalista per formazione e attivista per indole. Lavoro da sempre nella comunicazione digitale con incursioni nel mondo della carta stampata, dove mi sono occupata regolarmente di salute ambientale e innovazione. Leggo molto, possibilmente all’aria aperta, e appena posso mi cimento in percorsi di trekking nella natura. Nella filosofia di Kodami ho ritrovato i miei valori e un approccio consapevole ma agile ai problemi del mondo.
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