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28 Febbraio 2022
14:50

I cani nell’antica Pompei, l’intervista agli esperti: «Da sempre compagni dell’essere umano»

L'archeozoologo Michele Di Gerio e il professore Vincenzo Pelagalli spiegano il valore dei cani nella vita quotidiana degli abitanti dell'antica Pompei.

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atteone pompei casa caccia antica
Casa della Caccia Antica, Scavi archeologici di Pompei

«Giunge intanto de i can la prima schiera
De i presti veltri affaticati, e ingordi
Di far sul dorso à la cacciata fera
I musi loro insanguinati, e lordi.
Ei, che non ha la sua favella vera,
Gemendo prega i can spietati, e sordi,
E inginocchiato à lor si raccomanda
».

Sono questi gli ultimi istanti di vita di Atteone, ucciso dai suoi stessi cani, secondo il poeta latino Ovidio che nelle "Metamorfosi" ne racconta il mito. Atteone viene punito da Diana, dea della caccia, perché l'aveva vista nuda mentre faceva il bagno in una fonte. A nulla serve lo scudo delle ninfe che con i loro corpi provano a coprire «le rosse gote» della figlia di Zeus. Così come vana è la fuga di Atteone una volta vistosi scoperto: il suo corpo muta fino a diventare quello di un cervo. Con queste sembianze si presenta ai suoi cani, fedeli compagni durante le battute di caccia, pensando di non poter «trovar miglior soccorso». Loro però non possono riconoscerlo: lo rincorrono e gli balzano al collo, con l'unico rimpianto di non poter condividere quella preda con il loro Atteone. E la vendetta della dea Diana è compiuta.

Il mito di Diana e Atteone è uno dei più iconici della cultura greca e romana. Testimonianza di questa popolarità è la scelta di rappresentarlo sulle pareti di numerose domus emerse durante gli scavi ottocenteschi dell'antica Pompei. Ma i cani sono protagonisti dell'antica società romana non solo per gli aspetti che riguardano il racconto mitologico, ma anche nell'ambito della vita quotidiana. E per la prima volta in assoluto Kodami ha raccontato la storia della relazione tra gli antichi pompeiani e gli animali con un video reportage unico in cui emerge con chiarezza come questo rapporto fosse già un caposaldo della cultura dell'epoca.

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Cani da caccia: tra mito e vita quotidiana

Con l'eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. la città campana fu sigillata dalla cenere, consegnandoci una fotografia precisa della vita dei pompeiani: le loro abitudini, le loro case, e persino i loro stessi corpi. Un patrimonio storico-artistico straordinario utile a ricostruire la società antica in ogni suo aspetto, compreso il rapporto con gli animali. Un tema approfondito dalle analisi degli archeozoologi, esperti che coniugano le conoscenze della medicina veterinaria con quelle dell'archeologia.

Questi esperti, infatti, studiano la fauna antica partendo dai reperti ossei animali aiutandosi con le testimonianze artistiche e letterarie, come spiega a Kodami il professore Michele Di Gerio: «Le fonti iconografiche come affreschi e mosaici ci aiutano a conoscere la società pompeiana, e quindi romana, e il ruolo che avevano gli animali, molto meglio rispetto ai reperti ossei».

Di Gerio ha effettuato, presso la Facoltà di Veterinaria della Federico II di Napoli, ricerche sugli animali di Pompei e da quella esperienza sono nati studi scientifici e pubblicazioni divulgative come "Archeologia e animali. La narrazione degli autori antichi", edito da Guida.

«Grazie alle tante testimonianze trovate a Pompei abbiamo scoperto che nel mondo antico esistevano cani da compagnia, da guardia e da caccia – spiega Di Gerio – Il cane è immortalato in ambienti domestici, o bucolici, insieme a pecore e capre. Ma era anche impiegato nelle attività venatorie e spesso è mostrato nell’atto della caccia. Era un soggetto molto apprezzato e le immagini di questo tipo più vivide vengono offerte ad esempio dalla Casa della Caccia Antica, dove tra i vari affreschi c'è anche la rappresentazione del mito di Diana e Atteone. Queste immagini svelano a noi moderni molte cose a partire appunto dell'impiego dei cani nelle attività venatorie e la fascinazione degli antichi per queste scene».

Quando mancano attribuzioni precise, i nomi delle domus di Pompei vengono scelti sulla base di particolari reperti rinvenuti al loro interno, e se la Casa della Caccia Antica si chiama così, e non "Casa di Atteone", è perché le scene di caccia sono molte di più, travalicando il mito: «Nella domus è presente anche un affresco che ritrae un cane che cerca di correre in difesa di un toro aggredito da un grande carnivoro», spiega Di Gerio.

La triste vicenda di Atteone e dei suoi cani torna in molte abitazioni: nella Casa del Menandro l'uomo è aggredito mentre ha ancora fattezze umane; nella Casa di Venere è colto nell'istante della trasformazione, ma sempre con i cani al seguito. «In moltissimi casi i soggetti degli affreschi non sono scelti dai padroni di casa ma proposti dal pittore che li declina secondo il suo gusto e le sue abilità», sottolinea Di Gerio.

Affresco Atteone casa del Menandro (2)

«Questi affreschi fungevano da vere e proprie finestre che si aprivano sul mondo. Le stanze pompeiane non avevano sbocchi esterni, quindi queste pitture avevano la capacità di portare verso l’esterno l’immaginazione di chi era in casa», aggiunge l'archeozoologo.

Non deve stupire che episodi mitologici e scene di vita quotidiana convivessero l'uno accanto all'altro nella società pompeiana: come svelano le metamorfosi dei protagonisti di Ovidio, gli animali fungono spesso da collegamento tra l'umano e il divino. Sappiamo proprio grazie a lui che i cani che Atteone conduceva con sé durante le battute di caccia avevano un nome. Un elemento che, più che parlare della mitologia, svela che la relazione tra umani e cani al tempo dell'antica Pompei è assimilabile a quella esistente oggi.

«Nella mitologia il cane è spesso un simbolo di fedeltà, un valore mutuato dalla sua collaborazione con l'uomo nella vita di tutti i giorni – sottolinea Di Gerio – L'archetipo è offerto in letteratura da Argo: il cane di Ulisse è l'unico a riconoscere l'eroe quando questi torna a Itaca dopo anni di peregrinazioni».

«Grazie ai reperti di Pompei possiamo dire senza timore che da millenni il cane condivide le emozioni e i momenti più importanti della vita dell'essere umano. Nelle raffigurazioni abbiamo animali legati a doppio filo alla vita quotidiana», chiarisce Di Gerio.

Il cane compagno della vita quotidiana

L'antica Pompei è oggi un museo a cielo aperto, l'idea di lasciare i reperti lì dove venivano trovati si deve ad Amedeo Maiuri che fino alla metà del Novecento si occupò di indagare la società dell'epoca lasciando sul luogo tutto ciò che riaffiorava durante gli scavi. Al suo fianco, durante gli anni Cinquanta, c'era anche un giovane assistente dell'Università Federico II, Gaetano Vincenzo Pelagalli, destinato a diventare nel 1980 preside della Facoltà di Veterinaria.

Pelagalli racconta a Kodami il suo lavoro al fianco del grande archeologo italiano: «Ho conosciuto il professore Maiuri quando avevo 25 anni, mi scelse per identificare le ossa degli animali di Pompei. Si trattava quasi sempre di cani, soprattutto quando le ossa venivano rinvenute all'interno delle abitazioni».

«Grazie a queste scoperte, possiamo affermare che il ruolo del cane nell’ambito della famiglia romana non era diverso da quello dei giorni nostri», a partire da questa suggestione Pelagalli nel 2017 ha pubblicato insieme proprio a Di Gerio, il libro "Il cane nell'arte pompeiana" (Valtrend editore).

L'abitudine degli antichi di dare un nome ai propri animali, oltre che dal racconto di Ovidio, è svelata anche dal testo di Pelagalli e Di Gerio in relazione a un affresco della Casa degli Epigrammi in cui si vede un piccolo cane di tipo Terrier accompagnato dall'iscrizione "Sincletus": «Unica denominazione di cane ritrovata a Pompei». L'opera è ritenuta dagli autori di notevole importanza proprio perché «mostra scritto, nella parte superiore, il nome dell'animale».

Cane Sincletus (Mann, 110877)
"Sincletus", Casa degli Epigrammi, Pompei

«Durante il mio lavoro a Pompei ho anche avuto modo di apprezzarne il lato artistico, oltre che scientifico e mi sono innamorato di due immagini: la prima ritrae una donna che tesse seduta su una sedia, in compagnia del suo cane. Una scena che ci è familiare per la sua modernità», dice Pelagalli descrivendo uno degli affreschi della Casa di Efebo.

«La seconda è ancora più importante, perché mostra un cieco che viene guidato da un cane. Si tratta del primo esempio nella storia di un cane guida. Dal punto di vista sociale si tratta di una scoperta importante perché abbiamo conferma che la funzione del cane era la medesima che c’è nella nostra società». Il riferimento di Pelagalli in questo caso è una pittura bassa della Casa di Giulia Felice, attualmente in fase restauro presso il Museo archeologico nazionale di Napoli.

Cane guida mendicante (Mann 9059) Pompei
(Credits: Museo Archeologico Nazionale di Napoli)

Anche Di Gerio, che di Pelagalli è stato prima allievo e poi collega, ne conferma l'unicità: «Sappiamo certamente che a Pompei sono stati ritrovati particolari strumenti usati per rimuovere le cataratte. L’oculistica nel mondo romano, come tante altre discipline, aveva raggiunto traguardi molto importanti. Quindi non dovrebbe meravigliare l'esistenza di un guinzaglio particolare, simile a quelli usati per i cani-guida dei giorni nostri».

Il guinzaglio raffigurato a Pompei è costituito da due strisce di cuoio: ciascuna delle estremità è in una mano dell'uomo, questi tramite la trazione conosce la traiettoria da seguire. «Da questa raffigurazione pittorica emerge l’immagine di un cane educato alla guida di un non vedente», sottolinea Di Gerio, il quale ha presentato questa ipotesi con la collega Alessia Fuscone durante il congresso internazionale “Picta fragmenta. Rileggendo la pittura vesuviana”, nel settembre 2018.

Cave canem: il difensore della casa

L'importanza del cane all'interno del contesto familiare, ancora una volta, è confermata dalle fonti letterarie: Petronio, poeta alla corte di Nerone, nell'episodio della "Cena di Trimalcione", contenuta nel "Satyricon", descrive le stravaganze del liberto Trimalcione, uno schiavo che era riuscito ad acquistare la libertà e che non mancava di fare pesare la sua ricchezza ai commensali.

«Trimalcione ordinò che si conducesse a lui Cucciolo, "il presidio della casa e della famiglia". Fu condotto sull'istante, tenuto alla catena, un cane di grossa taglia, che, appena il portinaio con un calcio gli fece "A cuccia!", si accovacciò davanti alla tavola. Allora Trimalcione, gettandogli un pezzo di pane bianco disse: "Nessuno in casa mia mi ama di più"».

Un'immagine che a Petronio serve per descrivere la volgarità del liberto, mentre inveceè utile all'archeozoologo per comprendere i diversi ruoli del cane nella società romana del I secolo d. C. «Sappiamo che a Pompei vivevano, oltre ai cani da caccia e da compagnia, anche i cani da guardia che avevano una funzione difensiva e di protezione della privacy – spiega Di Gerio – come emerge anche dai tanti mosaici posti all'ingresso delle abitazioni che ritraggono cani di grossa taglia, scuri, tenuti alla catena», proprio come il "Cucciolo" di Trimalcione.

«Talvolta, le fonti letterarie sono più interessanti dei mosaico stessi – dice con ironia di Gerio – Gli autori antichi descrivono cani di grossa taglia, molossoidi, che  dovevano intimorire gli estranei. Si tratta di animali scuri per confondersi con le tenebre. Questi cani si trovavano di frequente nelle ville rustiche, extramoenia [fuori le mura n.d.r.], in numero di due o tre».

cave canem pompei
"Cave canem", Casa del Poeta Tragico, Pompei

«L'esempio più noto, tra i molti ci ha restituito Pompei, è custodito nella Casa del Poeta Tragico, dove si trova il celebre avviso "Cave canem", analogo al nostro cartello "Attenti al cane"  – racconta Di Gerio – Ma altri esempi di mosaici con cane da guardia con le medesime caratteristiche si trovano anche nella Casa di Paquio Proculo e nella Casa di Vesonio Primo. In quest'ultima domus, inoltre, grazie all'intuizione di Giuseppe Fiorelli è stato anche possibile fare il calco di un cane morto durante l'eruzione».

Durante gli scavi ottocenteschi, gli addetti incontravano di frequente aree vuote dovute alla decomposizione di materiale organico: corpi umani, di animali e legno. Fiorelli, allora direttore degli scavi, decise quindi di inserire in queste cavità del gesso liquido che, una volta induritosi, restituiva la forma di ciò che c’era dentro. «Così – spiega Di Gerio – abbiamo scoperto esseri umani, sia adulti che bambini, un suinetto e anche un cane. Il cane era legato alla catena, probabilmente dimenticato durante la precipitosa fuga dei suoi umani. Non è morto a livello del pavimento, ma più in alto: probabilmente cadevano detriti dall’alto e lui cercava di salirci sopra fino a quando la catena glielo ha permesso».

cane pompei
Calco del cane, Casa di Vesonio Primo, Pompei

I primi studi su questo cane furono eseguiti negli anni Cinquanta dallo stesso Pelagalli e Carlo Giordano, all’epoca direttore degli Scavi di Pompei. Le conclusioni furono diffuse nello studio “Cani e canili nell’antica Pompei”, con la prefazione di Amedeo Maiuri, per l'Accademia Pontaniana di Napoli.

Da questo studio emerge anche l'esistenza presso la Casa di Achille – meglio nota come Casa dello Scheletro per i resti ossei che furono scoperti al suo interno – di un piccolo spazio con funzione di canile proprio nella parte più importante della domus, non lontana dallo studio del padrone di casa. Una tesi riportata in seguito da Pelagalli e Di Gerio: «Nell'angolo sud ovest del tablinum è venuto alla luce un canile a forma di casotto, avente il tetto spiovente, con l'apertura rivolta verso l'atrium, che permetteva al cane di vigilare l'abitazione».

Oltre alla punizione della vendicativa Diana e di altre irate divinità, alle attività venatorie e alla vita domestica, esistono ancora aspetti da approfondire, e forse addirittura da scoprire, del rapporto tra il cane e gli esseri umani nell'antica Pompei: «Gli Scavi non sono conclusi, perché nonostante tutto ciò che crediamo di sapere, sono ancora molti i misteri che aspettano di essere raccontati e risolti», conclude Di Gerio.

Giornalista per formazione e attivista per indole. Lavoro da sempre nella comunicazione digitale con incursioni nel mondo della carta stampata, dove mi sono occupata regolarmente di salute ambientale e innovazione. Leggo molto, possibilmente all’aria aperta, e appena posso mi cimento in percorsi di trekking nella natura. Nella filosofia di Kodami ho ritrovato i miei valori e un approccio consapevole ma agile ai problemi del mondo.
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