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29 Maggio 2024
9:00

Il cane è un animale opportunista?

Il cane è in un certo senso un animale opportunista, ma non dobbiamo demonizzare questo termine come potremmo essere portati a fare nel linguaggio comune.

Membro del comitato scientifico di Kodami
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Il cane è un animale opportunista perché ha imparato a sfruttare la nicchia ecologica e sociale creatasi al nostro fianco, legandosi a noi per garantirsi risorse e sicurezza. I legami che si instaurano tra specie diverse sono un fenomeno affascinante nell’ambito dell’etologia. Esistono diverse forme di relazione interspecifiche come il parassitismo, il mutualismo e il commensalismo. L’opportunismo è un’altra dinamica basilare in cui una specie sfrutta le circostanze offerte dall’ambiente, anche quelle create da altri esseri viventi, per massimizzare benefici e fitness riproduttiva.

È importante non demonizzare l’opportunismo come potremmo essere portati a fare nel linguaggio comune: in campo evolutivo è semplicemente un adattamento efficiente per la sopravvivenza di una specie. Quando guardiamo al legame cane-uomo in questa luce, l’eventuale opportunismo del cane andrebbe considerato un tratto adattativo vincente e non una sua caratteristica negativa. Ma procediamo per gradi.

Il cane ci ama incondizionatamente?

Spesso siamo portati a confondere i legami tra specie animali differenti e i rapporti individuali tra individui compiendo generalizzazioni insensate. La domanda se il cane ci ami o meno in modo incondizionato ha a che fare con i rapporti interindividuali e non può essere generalizzata a tutti i membri della specie canina, esattamente come il nostro peculiare legame con il nostro cane non può essere portato ad esempio di come gli esseri umani – tutti gli esseri umani – si rapportino con i cani.

Inoltre dovremmo anche stabilire cosa significhi, per ognuno di noi, “amore incondizionato”, ma anche considerare quali e quante rappresentazioni possiamo avere dell’amore stesso. Svestirci da tutti i costrutti culturali, dal nostro modo antropocentrico di considerare il mondo, dalle nostre romantiche aspettative, non è certo una cosa facile. E questo è ciò che forse ci rendo più complicato comprendere le altre specie animali, in particolar modo il cane, con il quale intrecciamo rapporti molto profondi come mai con altre specie.

Quindi, possiamo davvero definire il rapporto cane-uomo come “amore incondizionato”? Forse è più corretto parlare di un legame profondo e reciproco, frutto di un adattamento co-evolutivo di migliaia di anni.

Nel legarsi a noi i cani hanno finito per sviluppare una connessione empatica e cognitiva con la nostra specie, diventando anche una parte integrante del nostro “branco familiare”.

Il loro “amore” è quindi influenzato da questo legame co-evolutivo antico e per certi versi indissolubile. Non si tratta di un affetto incondizionato e disinteressato come potremmo romanticamente immaginare, ma di un profondo attaccamento radicato nell’interdipendenza fra le nostre due specie.

Le diverse tipologie di relazione tra specie

In etologia si sono osservati e studiati differenti tipologie di relazioni interspecie. Un noto e stimato autore quale fu Raymond Coppinger (è stato un biologo e professore emerito di biologia alla Hampshire College in Massachusetts, USA oltre che saggista e ricercatore sul campo), si interrogò proprio sul tipo di relazione tra la nostra specie e il cane e si chiese:

Possiamo veramente definire la relazione simbiotica uomo-cane una relazione mutualistica? (DOGS, Lorna e Raymond Coppinger, Haqihana 2012)

A questo punto forse è bene, sempre seguendo le parole dell’autore, riassumere le principali tipologie di relazioni interspecifiche conosciute per poi avere una base comune sulla quale fare delle considerazioni.

  • Relazione simbiontica: quando due individui dipendono l’uno dall’altro in modo molto profondo, al punto tale che uno, o entrambi, possono stare molto male o addirittura morire se l’altro venisse a mancare. Per esempio i licheni che sono composti da simbionti, un fungo e un’alga.
  • Mutualismo: sottospecie di simbiosi in cui entrambe gli elementi coinvolti traggono vantaggio dal rapporto dell’uno con l’altro. Esempio: l’impollinazione di piante da parte di insetti come api e farfalle, con scambio di nettare e trasporto di polline.
  • Commensalismo: vantaggioso per un elemento e indifferente per l’altro. Esempio: le anatre che si nutrono di insetti sollevati durante l’aratura dei campi da parte degli agricoltori. Coppinger riflette che esistono così tanti cani nel mondo che vivono in modo commensale nelle discariche della società umana da pensare che sia stato questo il principale motore dell’auto-domesticazione di una “particolare” specie di lupo (o proto-cane).
  • Parassitismo: una specie trae vantaggio a discapito di un’altra. Esempio: le zecche che si nutrono del sangue dei mammiferi ospiti. Per Coppinger è plausibile considerare il cane oggi come una sorta di parassita: “Costa più di quanto non renda”, afferma.
  • Dulosi (schiavismo interspecifico o intraspecifico): sotto categoria di parassitismo, ovvero quando una specie cattura individui di un’altra specie, o a volte della propria, e li rende schiavi. Esempio: i virus che infettano le cellule di un ospite utilizzandone la macchina metabolica per replicarsi. Forse è però più noto il comportamento di certe formiche che sono solite invadere e prendere il controllo del nido di altre formiche rendendole schiave (formiche del genere Dolichoderus).
  • Amensalismo: simbiosi in cui una specie fa del male ad un’altra, spesso inconsapevolmente, e senza trarne alcun vantaggio. Un classico esempio è quello dei funghi che producono antibiotici come la penicillina. Queste sostanze hanno la funzione di impedire la proliferazione di batteri nelle vicinanze del fungo, creando uno spazio vitale più sicuro. Tuttavia, i funghi non traggono nutrimento dai batteri inibiti.

Secondo Coppinger i cani, da un punto di vista etologico ed ecologico, sono dei “parassiti obbligati”. I cani si troverebbero in questa categoria, la quale comprende quelle specie che non possono fare a meno di parassitarne un’altra per sopravvivere. E la cosa non è reciproca. Ora si può certamente dissentire sulle conclusioni dello studioso, ma sicuramente sono degne di nota e stimolano la riflessione. Certamente il rapporto delle nostre due specie è stato per lo più mutualistico (traevamo vantaggio l’uno dall’altro) ma come puntualizza Coppinger oggi – in occidente – non viviamo più con i cani come accadeva fino a non molto tempo fa.

Un differente punto di vista è espresso nell’interessantissimo saggio a firma di Jessica Pierce e Marc Bekoff, “I cani senza di noi” (Haqihana, 2021), dove si ipotizza come sopravviverebbe questa specie se la nostra scomparisse di punto in bianco, contrastando così con l’ipotesi di Coppinger sul fatto che Canis familiaris sia un parassita “obbligato”. Leggendo questo testo ci si potrebbe anche chiedere se veramente la scomparsa questa volta del cane, in senso assoluto, non avrebbe degli effetti di una certa portata sulla nostra specie oggi. Ma questa è forse un’altra storia. Veniamo dunque alla nostra domanda iniziale in merito all’opportunismo.

L’opportunismo nel cane

L’opportunismo è stata una componente chiave che ha permesso l’avvicinamento e la successiva co-evoluzione tra le nostre due specie. Tuttavia, come già sottolineato, è importante non connotare negativamente questo termine in ambito etologico ed evolutivo.

Per un animale come il cane, l’abilità di sfruttare le circostanze favorevoli createsi grazie alla presenza umana e alle nostre attività è stato semplicemente un adattamento vincente per massimizzare le opportunità di sopravvivenza e riproduzione.

I cani hanno dimostrato un’incredibile capacità di “leggere” i nostri comportamenti, le nostre intenzioni e di modellare le proprie strategie in modo da ottenere vantaggi concreti come cibo, riparo e protezione stando a stretto contatto con la nostra specie. Allo stesso tempo, anche noi umani abbiamo colto l’opportunità di trarre beneficio da questa convivenza, sfruttando le peculiari abilità fisiche e cognitive dei cani in svariati ambiti.

Quindi l’opportunismo ha giocato un ruolo cruciale nell’avvicinare le due specie e nel rafforzare poi questo legame di reciproca convenienza. Ma con il passare dei millenni, il rapporto ha trasceso i meri aspetti utilitaristici e opportunistici iniziali, raggiungendo una dimensione di empatia, interdipendenza e interazione tra le menti di uomo e cane, al di là dei rispettivi substrati fisici, delle limitazioni imposte dalle differenti biologie.

Come abbiamo visto, gli studi scientifici dimostrano l’empatia, l’attaccamento e la sincronizzazione a livello biochimico e neuronale che si stabilisce tra cani e umani familiari, andando ben oltre la semplice ricerca di vantaggi utilitaristici.

Quindi l’opportunismo può essere considerato il punto di partenza di questo straordinario rapporto, ma ciò che lo alimenta e consolida oggi è qualcosa di molto più intimo: un legame quasi simbiotico, dove le due parti sono diventate complementari, si contaminano vicendevolmente, inscindibili nonostante le loro diversità biologiche.

Tutto ciò però si scontra con la realtà, sopratutto per quanto concerne il comportamento della nostra società di oggi. Il cane è considerato a tutti gli effetti una cosa, un oggetto che viene venduto, comprato, usato, gettato via. Il cane oggi viene persino “indossato” come bigiotteria che ci abbellisce o che ha lo scopo di dare un’immagine di noi agli altri.

Le distorsioni che apportiamo a questa specie sono tali da correre il rischio di farci dimenticare realmente cosa significhi la convivenza con un'altra specie, con il cane. C’è da chiedersi, superando la facile retorica che magnifica il cane fantastico alla Disney, se il nostro mondo, la nostra società, i nostri contesti di vita, siano ancora adatti a questa “contaminazione” tra specie diverse, o se abbiamo ormai preso una direzione nella quale il posto del cane è stato totalmente e irrimediabilmente soppiantato da una nostra fantasiosa e irrealistica idea del cane?

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Luca Spennacchio
Istruttore cinofilo CZ
Ho iniziato come volontario in un canile all’età di 13 anni. Ho studiato i principi dell’approccio cognitivo zooantropologico nel 2002; sono docente presso diverse scuole di formazione e master universitari. Sono autore di diversi saggi.
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