Il bradipo ha conquistato negli anni la fama di essere uno degli animali più pigri e lenti del mondo. Non a caso spesso si dà del bradipo a chi non ha mai voglia di far niente, ma questi sono solo luoghi comuni e riguardo questo meraviglioso mammifero c'è molto altro da sapere. Infatti, secondo una nuova ricerca di alcuni ricercatori del Costa Rica, i cui risultati sono stati pubblicati su Environmental Microbiology, la pelliccia dei bradipi contiene batteri in grado di produrre antibiotici, i quali potrebbero essere capaci di contrastare i cosiddetti "superbatteri" che, invece, sono pericolosi per l'uomo in quanto resistenti a moltissimi farmaci.
Studiare la natura per scoprire di più sugli antibiotici potrebbe essere il futuro della ricerca in questo ambito. Questi composti chimici hanno svolto un ruolo importante nell'aumentare l'aspettativa di vita umana nell'ultimo secolo, tuttavia i ricercatori e gli esperti di sanità pubblica stanno lanciando avvertimenti sempre più frequenti sull'aumento della resistenza dei batteri agli antibiotici dovuta all'abuso che ne fa l'uomo. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) entro il 2050 circa 10 milioni persone all'anno potrebbero perdere la vita a causa di infezioni mortali di batteri resistenti ai farmaci.
In questa cornice, dunque, qualsiasi ulteriore studio che possa fornire dettagli sulle dinamiche degli antibiotici è fondamentale ed ecco che entrano in gioco i bradipi. Studiare questi animali è stata un'idea del team del dottor Max Chavarria, un ricercatore dell'Università del Costa Rica, paese nel quale vivono due specie differenti dei "re della lentezza": i bradipi variegati (Bradypus variegatus) e i bradipi ditattili di Hoffmann (Choloepus hoffmanni). Poiché la velocità non è il suo forte, per difendersi il bradipo punta sul mimetismo: il suo manto, grazie ad alcuni leggeri riflessi di colore verde, gli permette di mimetizzarsi tra le folte chiome degli alberi delle foreste pluviali del Centro e Sud America, ambienti ricchi di predatori dai quali è meglio non farsi vedere. La sua pelliccia, inoltre, ospita vivaci comunità di insetti, alghe, funghi e batteri, alcuni dei quali potrebbero rappresentare un rischio per eventuali infezioni. Eppure questo mammifero sembra esserne completamente immune, come se fosse avvolto da una sorta di mantello protettivo.
«Ovviamente quando c'è coesistenza di molti tipi di organismi, ci devono essere anche sistemi che li controllano», spiega Max Chavarria. Il team di studiosi, quindi, si è posto come obiettivo quello di svelare quale segreto si cela dietro la salute di ferro del bradipo. Tramite il prelievo di campioni di pelliccia di circa 30 esemplari, feriti e curati presso il rifugio per la fauna selvatica Sloth Sanctuary, hanno scoperto l'esistenza di batteri produttori di antibiotici che probabilmente sono in grado di tenere sotto controllo la proliferazione di altri microrganismi potenzialmente patogeni o addirittura inibire altri "concorrenti", come ad esempio i funghi.
Il centro di recupero per bradipi accoglie esemplari feriti per fornirgli le cure di cui necessitano e successivamente reinserirli in natura, ma da quando è stato aperto la fondatrice stessa del rifugio afferma: «Non abbiamo mai ricevuto un bradipo malato o infetto. Abbiamo ospitato bradipi rimasti ustionati dai cavi delle linee elettriche, ma anche in quei casi non vi era traccia di infezione. Penso che forse in 30 anni da quando abbiamo aperto il centro di recupero, abbiamo visto solo cinque animali con una ferita infetta. Questo ci dice che sta succedendo qualcosa nel loro corpo».
Una volta fatta questa entusiasmante scoperta sorge spontaneo domandarsi: è possibile utilizzare per la salvaguardia della salute umana gli "antibiotici naturali" prodotti dai batteri che vivono sulla pelliccia dei bradipi?
Secondo gli studiosi la ricerca da fare in merito è ancora lunga, ma comunque si è aperto uno spiraglio di luce che dona speranza in una situazione estremamente critica. I ricercatori hanno appena iniziato a studiare questi microrganismi, infatti, e proprio come afferma Chavarria: «Prima di pensare ad un'applicazione per la salute umana, è importante capire che tipo di molecole sono coinvolte nel processo. Progetti come il nostro sono però in grado di contribuire a trovare nuove molecole che possono, a medio o lungo termine, essere utilizzate nella dura battaglia contro la resistenza agli antibiotici».