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8 Settembre 2023
12:25

Il bambù nero sta per fiorire dopo 120 anni, ma non è una buona notizia per ambiente e animali

La fioritura del bambù nero in Giappone rischia di mettere in difficoltà l'economia e le coltivazioni locali, ma anche gli ecosistemi e gli animali abituati a convivere e sfruttare questa pianta.

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Il bambù nero (Phyllostachys nigra var. henonis) è una specie molto particolare, che oltre ad essere usata moltissimo per le impalcature nei cantieri edilizi dell'Asia e nei giardini di tutto il mondo, è anche famosa per essere una pianta che tende a fiorire più o meno ogni 120 anni in Giappone, dove è stata importata dalla Cina. E per quanto questa notizia possa sembrare solo una curiosità, in verità è molto rilevante, visto che dopo aver fiorito ciascun fusto di bambù muore poco dopo, con notevoli conseguenze sia economiche che per gli ecosistemi naturali.

In considerazione del fatto che ci stiamo sempre più avvicinando al periodo in cui questa pianta comincerà a fiorire e morire in massa (secondo gli scienziati dovrebbe accadere tra un paio di anni), sono molti gli esperti che stanno cominciando a sottolineare la poca sostenibilità del suo futuro utilizzo, visto che oggi non si conoscono ancora quali potrebbero essere le sue conseguenze economiche, ambientali e sociali della fioritura che tutti attendono.

Questa ignoranza è dovuta al fatto che l'ultima volta in cui i botanici hanno potuto studiare gli effetti di questa evento risalgono al 1908, ovvero a un periodo storico molto distante e completamente diverso da quello attuale, soggetto alla globalizzazione e alla vendita intensiva del bambù. Tuttavia, nel 2020, alcuni ricercatori dell’Università di Hiroshima impegnati a comprendere come si rigenerano i tessuti di questa pianta intuirono che, all'inizio della prossima fioritura, il processo avrebbe potuto interrompere la vendita del bambù e la crescita delle foreste, fenomeno a cui non siamo forse preparati.

Come è stato infatti sostenuto da alcuni scienziati in un articolo su Plos One, la fioritura di questa specie da una parte provocherà una grande perdita di risorse e  dall'altra non garantirà una ripresa rapida degli ecosistemi in cui sono presenti, visto che anche gli esperti non sono molto sicuri che la specie possa rigenerarsi velocemente.

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«Il bambù da noi analizzato in Cina e Giappone, per esempio, non ha prodotto semi vitali che possano germogliare e c'è il rischio che alcune foreste perdano nel breve periodo le proprie proprietà naturali – ha detto in una nota ufficiale Toshihiro Yamada, principale autore dello studio – A livello sperimentale, la produzione dei germogli di bambù è stata infatti interrotta dopo la fioritura. E non c'era neppur alcun segno di rigenerazione dei fusti dopo la fioritura per i primi tre anni». Ciò rappresenta un problema, visto che le osservazioni del team non hanno rilevato nemmeno alcuna tipologia di riproduzione asessuata da parte della pianta.

Sia chiaro. Secondo gli autori dell'articolo il bambù nero in Giappone non scomparirà e sarà possibile riprodurlo ancora in laboratorio, anche qualora non riuscissero germogliare i pochi semi prodotti nei 120 anni circa di crescita. Gli esperti però si aspettano che la rigenerazione del bambù sarà lenta e difficile e che quindi nei periodi in cui non potrà essere raccolto sarà molto difficile per le popolazioni che ne fanno buon uso continuare a venderne ingenti quantità.

Gli effetti più importanti potrebbero però colpire anche la fauna abituata a convivere e a sfruttare questa specie importata. Molti piccoli animali come gli insetti rischiano di dover cambiare dieta per alcuni anni, così come gli animali che nidificano o si rifugiano all'interno delle foreste di bambù. Questo processo potrebbe durare anni e gli unici che potrebbero godere di questa moria di massa potrebbero essere gli organismi che mangiano legno morto e i detritivori, che nelle aree in cui è presente il bambù saranno costretti a svolgere del lavoro extra, mentre ne degradano il legno.

«Un'altra preoccupazione riguardo a questo deperimento sono infatti gli impatti ambientali – conclude Yamada. – Potrebbero portare a drastici cambiamenti nella vegetazione e nella copertura del suolo», tanto da favorire un trasformazione dell'intero ecosistema. Mammiferi, piante, invertebrati, funghi, batteri e uccelli saranno costretti quindi molto probabilmente a trasferirsi o a mutare il loro comportamento, in un arco di tempo molto limitato.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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