I Santuari non sono più considerati allevamenti: hanno ottenuto il riconoscimento giuridico da parte del Ministero della Salute. Una vittoria epocale per tutte le strutture che accolgono suini, bovini e altri precedentemente sfruttati all'interno degli allevamenti.
«Oggi viene sancito che siamo qualcosa di profondamente diverso da un allevamento. Ci affranchiamo finalmente da tutto ciò che riguarda un sistema produttivo che sfrutta gli animali». Con queste parole la presidente della Rete dei Santuari Liberi, Sara D'Angelo, annuncia a Kodami che nel decreto del ministero della Salute del 7 marzo 2023, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 16 maggio, per la prima volta vengono indicati i "santuari".
La Rete dei Santuari Liberi riunisce tutte le strutture italiane che oggi accolgono gli animali da reddito, che però non vengono sfruttati né per la loro carne né per i loro prodotti, come ad esempio il latte. Si tratta di veri e propri rifugi, solo che invece di ospitare cani e gatti qui è possibile trovare maiali e bovini salvati da contesti abusivi o di sfruttamento.
E infatti è proprio con questa dicitura che verranno formalmente riconosciuti: «rifugi permanenti cosiddetti "santuari"», si legge nel Manuale operativo, il testo che elenca le diverse strutture che detengono e ospitano animali, e le sotto voci del "Rifugio per animali diversi da cani, gatti e furetti" indica e descrive proprio il rifugio permanente che ricovera bovini, equini, ovini, caprini, suini e altri animali da reddito.
«Si tratta di un passo epocale, ma resta comunque il primo di una serie che stiamo compiendo attraverso le interlocuzioni con le istituzione, e il Ministero della Salute in particolare – prosegue D'Angelo – Saremo comunque registrati nella Banca dati nazionale degli animali da reddito, ma nella sezione Sinac, quella degli animali da compagnia, un luogo che sembrava irraggiungibile, dove solo cani gatti e furetti potevano stare».
La battaglia per tutte le strutture della Rete, però, è appena iniziata: «Adesso che ufficialmente esistiamo, il traguardo successivo è quello di lavorare affinché al posto delle marche auricolari i nostri animali possano avere il chip identificativo». Altro passaggio fondamentale riguarderà i decreti attuativi del nuovo provvedimento: «Vigileremo affinché ci rappresentino, e siano in grado di descrivere i nostri rifugi, per cominciare a tradurre in realtà la speranza che i santuari rappresentano di fronte all’orrore inaccettabile del sistema produttivo».
Come è stato per la digitalizzazione durante la pandemia da Covid-19, anche in questo caso ad accelerare il processo di trasformazione è stata una emergenza sanitaria. Con l'arrivo della peste suina africana in Italia, il cui primo caso è stato registrato in Piemonte nel gennaio 2022, le istituzioni nazionali e le autorità sanitarie locali si sono trovate davanti alla necessità di normare anche i santuari.
Le linee guida per il contenimento di questa malattia, non trasmissibile alle persone ma mortale per i suidi, imponevano l'abbattimento degli animali liberi, come cinghiali selvatici e ibridi, all'interno della zona rossa di contagio. I santuari ai quali di volta in volta veniva notificato l'abbattimento degli ospiti ottenevano deroghe, fino a rendere necessario il riconoscimento dei propri maiali come "non dpa", cioè non destinati al consumo alimentare.
Questa prima breccia nel sistema, aperta poco più di un anno fa, ha messo le basi per il provvedimento di oggi. «In realtà – precisa – questa vittoria si deve al decreto 134 del 2022, con il quale l'Italia ha recepito il Regolarmente europeo che impone di definire tutte le strutture che ospitano animali, comprese quindi le nostre».
Come aveva raccontato in un video reportage di Kodami, Massimo Manni, il fondatore del rifugio Capra Libera Tutti alle porta di Roma, prima queste realtà erano parificate ad «allevamenti falliti», perché non produttivi. Oggi, però, la realtà è ben diversa.
Per celebrare questo momento, il 18 giugno a Milano nella struttura Porcikomodi sarà organizzata una tavola rotonda-conferenza con tutti gli altri italiani. «Sarà il nostro Indipendence day», conclude D'Angelo.