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16 Ottobre 2024
10:55

I ranger in prima linea nel monitoraggio del leone africano in Uganda

Un nuovo studio realizzato da biologo della conservazione Alexander Braczkowski ha messo in luce il ruolo dei ranger nel monitoraggio di specie selvatiche con ampi schemi di distribuzione come i leoni africani. I dati rivelano che la densità di popolazione in Uganda orientale è di poco inferiore a quella dell'area del Masai Mara, in Kenya.

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La densità di leoni nel Parco nazionale di Murchison Falls, in Uganda settentrionale, è quasi pari a quella della Riserva nazionale di Masai Mara, in Kenya. Lo rivela un nuovo studio pubblicato su Nature. La ricerca coordinata dal biologo della conservazione Alexander Braczkowski ha sfruttato l'estesa presenza di ranger nell'area. Queste figure onnipresenti nei parchi e nelle riserve africane si sono rivelate fondamentali per monitorare in maniera accurata la popolazione di grandi felini.

Per lo studio condotto all'interno del Murchison Falls sono stati impiegati i ranger dell'Uganda Wildlife Authority che gestisce 10 parchi nazionali, più numerose aree faunistiche e santuari. Rappresentano la spina dorsale del personale sul campo nelle aree protette e sono in grado di muoversi del territorio meglio di chiunque altro. Coinvolgerli attivamente nei progetti di monitoraggio consente quindi di rendere più accurati i dati raccolti e lavorare sui conflitti tra persone e fauna selvatica.

La presenza del leone in Uganda

Durante il protocollo di ricerca, due ranger hanno percorso 2.939 chilometri in 76 giorni, registrando 102 rilevamenti (30 individui) in un'area di 256 chilometri quadrati. Le stime di densità parlano di circa 14 leoni per 100 chilometri quadrati. Un dato quasi analogo a quello del Masai Mara, una delle aree tradizionalmente considerate più ricche di leoni.

La rete di monitoraggio dei ranger ha prodotto una precisione «accettabile», secondo gli studiosi. Al contrario, 64 fototrappole in 1.601 notti hanno prodotto solo due rilevamenti affidabili di leoni. Pur non demonizzando la tecnologia, gli autori consigliano un diverso modello: «Laddove esistano guardie forestali per il turismo della fauna selvatica, potrebbero essere un'aggiunta inporante ai futuri tentativi di censimento di leoni e fauna selvatica in tutto il continente. I nostri risultati confermano che l'attuale tecnologia delle fototrappole a infrarossi acquistate nei negozi non è adatta all'identificazione individuale dei leoni e pertanto non può essere applicata a modelli analitici che richiedono identità individuali inequivocabili».

Eppure Braczkowski proprio recentemente ha utilizzato droni muniti di telecamere termiche a infrarossi per filmare la più lunga nuotata compiuta da un leone allo scopo di accoppiarsi. Il leone soprannominato Jacob ha 3 zampe a causa di una trappola e lo studioso australiano ha seguito la sua disperata ricerca di nuovi territori con femmine disponibili.

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Jacob (Credit Alexander Braczkowski)

Braczkowski non ha negato l'importanza degli strumenti utilizzati per realizzare la sua scoperta, ma durante un'intervista rilasciata a Kodami ha sottolineato anche l'importanza delle persone nei progetti di ricerca sulla fauna selvatica: «Fino a quando le popolazioni umane continueranno a espandersi così è molto probabile che i conflitti con la fauna selvatica aumenteranno. E succederà fino a quando le strategie di conservazione non considereranno anche le persone che vivono su questi territori».

I nuovi risultati stabiliscono anche un importante precedente anche per il contesto in cui avvengono: il Murchison Falls è infatti un'area protetta dove però sono presenti siti per l'estrazione di petrolio e dove vengono registrati numerosi episodi di bracconaggio.

Solo l'intervento dei ranger ha permesso di stabilire per la prima volta con un modello di analisi affidabile l'immensa importanza del Delta del Nilo per il leone africano (Panthera leo), dimostrando che l'attuale avanzamento tecnologico non può sostituire il contributo umano. E questo vale soprattutto per il re dei Big Five.

Il leone è infatti una specie con ampi schemi di distribuzione, sono quindi necessarie risorse significative per monitorarla, come un gran numero di footrappole o droni. Questa spesa può impedire un monitoraggio regolare e robusto. Al contrario, l'implementazione di programmi di monitoraggio che includono persone e organizzazioni con una conoscenza approfondita del posto e della biologia degli animali può aiutare a sviluppare i sistemi in loco. L'inclusione di stakeholder locali come sono appunto i ranger può quindi migliorare l'integrazione di monitoraggio e le politiche di conservazione.

Il ruolo dei rei ranger nel monitoraggio

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Foto di Alexander Braczkowski

Esistono circa 286 mila ranger in tutto il mondo, figure analoghe sono presenti anche in Italia come guardiaparco e guardie forestali.  In Africa i corpi dei ranger sono formati da personale specializzato che ha lo scopo di accompagnare i safari turistici e anche vigilare sulla sicurezza della fauna selvatica, fermando i bracconieri e cercando di dirimere i conflitti crescenti con le popolazioni locali.

«I ranger della fauna selvatica rappresentano circa 250 mila persone nella forza lavoro globale della conservazione, ma raramente vengono coinvolti nel processo scientifico di monitoraggio della fauna selvatica in pericolo», ha sottolineato Braczkowski presentando la sua nuova ricerca.

A rafforzare il ruolo dei ranger è la conoscenza approfondita e intima delle aree di monitoraggio, dove il più delle volte vivono, e anche delle specie di interesse: «Questo studio si aggiunge alla ricchezza della letteratura che evidenzia il potere di coinvolgere i membri dell'economia della fauna selvatica con una conoscenza approfondita dell'ecologia e del comportamento delle specie target», si legge.

Inoltre, i costi per finanziare due ranger per la durata dell'indagine sono stati più economici del 50% rispetto al mantenimento di 32 fototrappole, soprattutto in ragione del costo di acquisto di 64 fototrappole.

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Questo coinvolgimento attivo può avere un effetto secondario molto importante per risolvere lo stato di tensione tra animali e comunità locali, può infatti aumentare il livello di soddisfazione dei ranger, contribuendo così a migliorare il lavoro stesso e la qualità della vita di chi risiede nelle aree naturali più preziose del mondo.

Giornalista per formazione e attivista per indole. Lavoro da sempre nella comunicazione digitale con incursioni nel mondo della carta stampata, dove mi sono occupata regolarmente di salute ambientale e innovazione. Leggo molto, possibilmente all’aria aperta, e appena posso mi cimento in percorsi di trekking nella natura. Nella filosofia di Kodami ho ritrovato i miei valori e un approccio consapevole ma agile ai problemi del mondo.
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