Per lungo tempo gli scienziati hanno creduto che le scimmie che presentavano pellicce e pelli più colorate – come i mandrilli (Mandrillus sphinx) – disponessero di una vista più acuta rispetto alle specie con pellicce più anonime, visto che erano capaci di riconoscere i colori e di usarli a loro vantaggio per la comunicazione sociale. Un recente studio pubblicato sul Biological Journal of the Linnean Society smentisce però questa teoria, affermando che in realtà anche le altre specie hanno una buona vista e sono capaci di distinguere bene i colori.
Gli scienziati infatti dell'Università di Bristol hanno scoperto che le specie che presentano pellicce monocromatiche hanno un'ottima vista e che forse abbiamo mal interpretato il rapporto esistente fra pellicce colorate, l'evoluzione della vista e della comunicazione sociale nei primati. Spesso infatti, spiegano i ricercatori, sopravvalutiamo un po' troppo l'importanza dei pigmenti, dimenticandoci che spesso sono i movimenti del corpo e il contrasto fra un'area chiara e una scura a rappresentare lo strumento che consente alle scimmie d'interpretare il comportamento altrui o di comunicare e di vedere lontano. Pensiamo per esempio all'utilità espressiva delle sopracciglia. Noi essere umani siamo tra le specie di primati che presentano meno macchie di colore sulla superficie, eppure riusciamo a comprendere le intenzioni e l'espressioni di un altro essere umano anche dalla distanza, studiandone i movimenti del volto.
Le macchie di colore nelle pellicce di alcune specie sarebbero quindi comparse per altri scopi e via via, col tempo, avrebbero acquisito nuovi significati o funzioni, a secondo della specie.
Per quanto riguarda invece il presunto daltonismo di cui soffrirebbero molte specie, sarebbe stato assurdo – chiariscono i ricercatori – se le uniche specie in grado di vedere i colori sarebbero state quelle con le pellicce colorate. Anche perché la distinzione del colore non è utile solo alla comunicazione, ma anche alla ricerca del cibo, all'interpretazione del territorio e all'identificazione dei predatori. Delle esigenze primarie che tutti i primati condividono, al di là della bellezza che possono assumere le loro pellicce, grazie alle colorazioni più stravaganti.
Proprio su questo l'autore principale dello studio, Robert MacDonald, si è espresso ponendo l'attenzione su come i colori di alcuni primati risultino un'anomalia all'interno della nostra famiglia o della classe dei mammiferi. Gran parte infatti dei nostri più vicini parenti, come i nostri cugini bonobo e scimpanzé, non hanno pellicce particolarmente colorate, seppure dispongono di una grande capacità visiva, mentre mandrilli o rinopiteci dorati – due delle scimmie che presentano le pellicce più colorate del mondo – non hanno dalla loro una vista migliore della nostra, che gli permette di vedere più lontano.
«C'è inoltre una tale profusione di colori nel regno animale che ogni volta che ci penso rimango impressionato – chiarisce MacDonald. – Pensate alle piume sorprendenti di un uccello del paradiso o alla gamma di colori vivaci presenti in una barriera corallina. I mammiferi, però, non tendono ad essere molto colorati e di solito hanno tonalità piuttosto tenui, tendenti al nero, marrone o grigio. I primati tuttavia rappresentano un'eccezione. Diverse specie hanno infatti colorazioni davvero accese, che usano per comunicare con gli altri individui, mentre altre specie hanno la tendenza ad avere pellicce brune. Eppure gli uni e gli altri sono bravi ugualmente nel comunicare o nel vedere i colori». Il fatto dunque che entrambi i gruppi abbiano una buona vista e siano capaci di distinguere le varie tonalità del marrone è un fenomeno eccezionale, che supera di gran lunga il fatto che i mandrilli siano fra i pochi organismi a riuscire nel produrre il colore blu. Cosa però caratterizza la vista dei primati rispetto quella degli altri mammiferi?
Secondo gli scienziati il principale segreto che permette ai primati di essere uno dei gruppi animali con la vista migliore è la loro capacità di vedere il rosso e il verde. Gran parte dei vertebrati infatti sono daltonici e risultano completamente ciechi per il colore rosso-verde. Una condizione che li porta a vedere questi due colori con le stesse tonalità e sfumature.
Tale differenza fra i primati e le altre specie sarebbe da imputare a quando i nostri antenati si sono adattati per individuare più facilmente i frutti maturi all'interno delle foreste, che presentano quasi sempre bucce particolarmente colorate e sgargianti. Da lì il passo sarebbe poi stato breve. Essendo bravi a riconoscere i colori per finalità alimentari, i primati avrebbero cominciato presto a sfruttare questa capacità anche per altre mansioni, come comunicare con gli altri membri della loro specie.
Dotarsi infatti di pellicce o pelli rosse o saper distinguere perfettamente le tonalità di verde permettevano infatti sia di saper comunicare meglio, ma anche di riconoscere da lontano – con una certa precisione – il cibo, eventuali minacce e gli altri componenti della famiglia, nel caotico mondo delle foreste, governato costantemente dalle tonalità del legno e dal verde delle foglie.
Inoltre, le scimmie possono utilizzare piccoli ciuffi di pelo più scuro per distinguere l'età e il sesso degli esemplari e persino mostrare il palmo delle mani (di solito di colorazione diversa rispetto al resto del corpo) per segnalare qualcosa. Come detto prima, quindi, non sarebbe stato tanto lo sviluppo della pelliccia colorata a favorire l'evoluzione di una buona vista e di nuovi modi con cui esprimersi, ma le capacità visive stesse dei primati – tranne le specie notturne – a spingere questi animali a sfruttare tale potere per comunicare in maniera più efficiente, tramite vari trucchetti.
Cosa avrebbe però spinto questi animali a dotarsi di pellicce così sgargianti da risultare talvolta appariscenti e brillanti di luce? Le ragioni sarebbero due, chiariscono gli zoologi. In primis, non dobbiamo dimenticare quanto risulta importante per tutti i primati la competizione sessuale. Molte specie infatti, come i mandrilli dell'inizio, hanno sviluppato colorazioni sgargianti per competere dal punto di vista sessuale con gli esemplari dello stesso sesso. Inoltre le femmine spesso sono attratte dai colori vivaci. Una scelta che ha spinto quindi i maschi ad esaltare ancora di più le loro pigmentazioni, anche se la loro vista non può considerarsi eccezionale.