Un nuovo studio pubblicato recentemente sulla rivista African Journal of Marine Science tenta di svelare per la prima volta la storia evolutiva dei pinguini appartenenti alla specie Spheniscus demersus, il pinguino africano endemico dell'Africa meridionale. La ricerca è stata effettuata da alcuni ricercatori della School for Climate Studies dell'Università di Stellenbosch, in Sudafrica, e promette di riconsiderare la paleo-zoogeografia della regione. L'attuale popolazione di pinguini, infatti, si sarebbe formata al termine dell'ultimo massimo glaciale (LGM), oltre 20.000 anni fa, per via dello scioglimento dei ghiacciai che causò l'immersione delle isole che si trovavano tra Capo di Buona Speranza e labanchisa antartica, spingendo così gli uccelli a rifugiarsi nei territori attuali, molto meno estesi di quelli di un tempo.
Il sollevamento degli oceani successivo allo scioglimento dei ghiacci, infatti, ha portato alla scomparsa quasi totale degli antichi siti di nidificazione degli antenati dei pinguini attuali, portando alla perdita di un'area estesa dieci volte il territorio occupato attualmente dalla specie per riprodursi. Ciò ovviamente ha portato ad un forte declino del numero di esemplari e, secondo l'Ente internazionale per la conservazione della natura, la IUCN, il disastro provocato dalla perdita di queste isole ha causato anche un forte riduzione della popolazione e impoverimento genetico, le cui conseguenze mettono in serio pericolo la sopravvivenza della specie oggi.
Nello specifico, ad essere stati colpiti nel corso degli ultimi 20.000 anni sono stati soprattutto i complessi sistemi di isole e penisole che si affacciavano nell'oceano dalla parte di Cape Town e di Port Elizabeth. Queste aree hanno infatti subito un'erosione drastica della superficie, se non l'immersione completa, che ha portato i ricercatori a considerare un miracolo l'attuale presenza dello S. demersus in Africa. E fra questi ricercatori c'è Heath Beckett, che si dichiara affascinato dalla netta differenza riscontrabile fra l'attuale popolazione di pinguini e i dati provenienti dall'antica popolazione, al termine dell'era glaciale.
«Non che nel recente passato la situazione impedisse di trovarsi di fronte ad una folla di pinguini a riposo», chiariscono gli scienziati coinvolti nello studio. Per quanto lo scioglimento dei ghiacci abbia infatti ridotto notevolmente le aree adatte alla deposizione, la moria dei pinguini di fatto è divenuta via via più visibile agli esseri umani solo al termine della Seconda Guerra Mondiale, quando le popolazioni locali hanno cominciato a invadere molto velocemente la costa per costruire porti, città e praticare maggiormente la pesca. Tuttavia, bisogna anche ricordare, dichiarano gli scienziati, che nel 1910 sull'isola di Dassen era invece ancora possibile osservare una popolazione maestosa di Spheniscus demersus, che contava circa 1,45 milioni di esemplari. «Lo scioglimento dei ghiacciai in epoca preistorica, dunque, non può considerarsi l'unico e definitivo colpevole del declino di questa specie», assicurano gli zoologi coinvolti nello studio, perché anche in questo caso l'uomo ha contribuito pesantemente al declino di questa specie.
Basta infatti leggere gli ultimi report messi a disposizione dalla IUCN e dal governo sudafricano per rendersi conto che la situazione è peggiorata molto solo nell'arco degli ultimi decenni. Nel corso del 2011 l'intera popolazione di pinguini africani contava infatti circa 21.000 coppie riproduttive, mentre nel corso del 2019 si è raggiunto il minimo storico, con circa 13.600 coppie e la sparizione di molte delle colonie note.
Ma qual era la consistenza numerica delle popolazioni di pinguini durante l'epoca d'oro dell'ultimo massimo glaciale? Per rispondere a questa domanda, il team guidato da Beckett ha dovuto accettare alcune semplificazioni e chiedere l'aiuto dei paleontologi esperti, per approfondire questo momento importante dell'evoluzione di questi goffi ma molto amati uccelli.
Innanzitutto, gli scienziati hanno assunto che i pinguini del passato – come le loro controparti attuali – nidificassero al massimo a 500 metri dalla costa e che costruissero dei piccoli nidi con vegetazione o sassi trovati in giro. Ciò comporta che lo spazio di azione di questi animali durante le settimane impiegate a proteggere le uova prima e a sfamare i pulcini poi, non era molto vasto, ma che era comunque sufficiente per formare colonie numerose. Inoltre, gli scienziati hanno considerato la biologia riproduttiva delle specie moderne come base per spiegare le strategie di vita delle popolazioni antiche.
Così facendo, i dati a loro disposizione hanno portato gli scienziati a stimare che 20.000 anni fa erano tra 6,4 milioni e i 18,8 milioni gli esemplari di pinguini che occupavano le acque del Sudafrica. Un'enorme popolazione che calò poi abbastanza velocemente, quando il clima iniziò a mutare.
Beckett, all'interno del suo articolo, spiega tra l'altro che il cambiamento del livello del mare dovuto allo scioglimento dei ghiacci fu talmente rapido che rese quasi impossibile la ricollocazione in tempi utili delle centinaia di colonie riproduttive che erano presenti sulla costa in quel periodo. Solo la minima parte infatti, dai 3 fino ai 3,5 milioni di pinguini, riuscirono a trovare nuovi siti di deposizione e a sopravvivere, destinati tra l'altro a divenire dei veri e propri rifugiati climatici nell'arco di pochi secoli.
Il caldo spinse ovviamente i superstiti a mutare ulteriormente e ad adattarsi alle temperature superiori nel corso dei millenni successivi. Ciò ovviamente non mise al sicuro i pinguini per sempre, visto che nel frattempo sopraggiunse l'uomo con le sue attività estremamente impattanti e invasive.
Attualmente la specie Spheniscus demersus rischia infatti di estinguersi più per l'eccessiva presenza dell'uomo lungo la costa africana che per il surriscaldamento globale. Ed è soprattutto per questo se i biologi oggi avvertono che «l'accesso alle risorse alimentari marine e ai siti di deposizione rimane un elemento vitale per prevenire l'estinzione completa della specie».