I comunissimi pesci rossi, oltre a essere tra gli animali da compagnia più diffusi, sono loro malgrado anche tra le specie più invasive e dannose del Pianeta. Il loro impatto sulla fauna e sugli ecosistemi è enorme ma negli ultimi anni sembra stia peggiorando. Ne sanno qualcosa stagni, fiumi e laghi di tutto in Nord America, letteralmente invasi da questi voraci alieni che possono arrivare a pesare oltre un kg per ben 40 cm di lunghezza.
Negli ultimi 40 anni molte città del Canada e degli USA hanno costruito sempre più stagni, bacini e vasche per facilitare il deflusso dell'acqua piovana e per arginare le inondazioni. Questi specchi d'acqua artificiali, spesso effimeri, poveri di ossigeno o addirittura salmastri sono diventati dominio incontrastato per migliaia di indistruttibili pesci rossi e questo è un problema. Basti pensare che l'estate scorsa, appena fuori Toronto, i biologi che li studiano ne hanno contati ben oltre 20mila in un unico stagno. Ma da dove vengono? E come mai sono un problema?
Il pesce rosso (Carassius auratus) è stato domesticato circa 1200 anni fa in Cina a partire probabilmente dal carassio, noto anche come carpa cruciana. Nella sua forma selvatica ancestrale, le sue scaglie erano di colore grigio-argentato, e non rosse o arancioni appariscenti come in quella domestica. Il colore rosso si deve a una mutazione comparsa spontaneamente negli animali allevati che sono stati poi successivamente reincrociati e selezionati proprio per conservarla. Da allora sono state selezionate molte altre varietà per forme, dimensioni e colori.
La facilità con cui vengono allevati e la bellezza delle varie forme domestiche li hanno resi i pesci ornamentali più apprezzati al mondo. A partire dal 1600 dall'Asia hanno iniziato a diffondersi nelle case, nei parchi e nei giardini di tutta Europa, finendo per arrivare in Nord America intorno alla metà del 1800. Da allora hanno iniziato a riprodursi in molti fiumi e laghi a causa delle liberazioni volontarie, diventando una delle specie più invasive del pianeta.
La loro è una presenza estremamente dannosa per tutti gli ecosistemi diversi da quelli d'origine, proprio come quelli studiati dagli ecologi della University of Toronto Scarborough e del Fisheries and Oceans Canada. Secondo gli esperti le popolazioni negli stagni, nelle pozze e nei Grandi Laghi nordamericani sono cresciute notevolmente nell'ultimo decennio, insieme a un aumento simultaneo della costruzione di bacini urbani o a bordo strada.
I pesci non ci sono arrivati di certo da soli, ma sono stati rilasciati dagli umani e hanno poi iniziato a riprodursi danneggiando ogni nuovo habitat in cui sono entrati. Con spazio e cibo a disposizione i pesci rossi diventano enormi, si riproducono velocemente e iniziano a mangiare qualsiasi cosa capiti a tiro. Insetti, altri pesci, girini e persino anfibi adulti, alterando irrimediabilmente la precaria armonia degli ecosistemi.
Alimentandosi incessantemente sul fondale, inoltre, smuovono sabbia e sedimenti, rendendo l'acqua perennemente torbida. Questo comportamento impedisce alla luce solare di arrivare sul fondo, causando persino la morte della vegetazione acquatica. Gli stagni diventano quindi poveri d'ossigeno, più caldi e inospitali per la maggior parte delle specie ittiche locali, ma non per i tenaci pesci rossi. Questa specie può infatti resistere a temperature relativamente alte e a lunghi periodi di anossia, cioè senza ossigeno.
Gli studiosi stanno perciò mappando e monitorando tutte le popolazioni alloctone di questa specie in Nord America, anche perché prevedono che a causa dei cambiamenti climatici questi pesci prolifereranno sempre più. Il progetto punta quindi a trovare un modo per gestire questi super-invasori e ad evitare che si diffondano ulteriormente in fiumi, stagni e specchi d'acqua naturali. Solo arginando questa e altre specie invasive si potranno proteggere habitat, fauna e pesci autoctoni, che altrimenti rischiano di sparire per sempre.
Tutto ciò, unito al fatto che i pesci rossi sono tra gli animali da compagnia più maltrattati e sottovalutati al mondo, è un ottima ragione per cui non dovreste più comprare (e soprattutto liberare in natura) questi animali.
Foto di copertina di Cole Burston, University of Toronto Scarborough