Granchi blu, lumache fluorescenti, vermi arancioni e verdi, pesci flauto e coniglio. No, non stiamo parlando dei protagonisti di un film della Disney, bensì dei nuovi abitanti delle acque marine della Sardegna, nelle quali gli amanti dello snorkeling potrebbero imbattersi durante le loro immersioni. Per conoscerli meglio, e capire come questi esemplari colorati e inusuali sono arrivati nel mare dell’isola, abbiamo parlato con uno zoologo marino, che ci ha raccontato quello che sta accadendo.
«Bisogna fare una distinzione estremamente importante tra questi nuovi ospiti dei nostri mari. Ci sono infatti delle specie aliene, alloctone, introdotte dall'uomo, volontariamente o involontariamente – spiega Marco Casu, professore associato del Dipartimento di Medicina veterinaria dell’Università di Sassari – e altre che prima rimanevano nelle zone più calde, nelle coste africane, e si sono spostate verso il Nord, arrivando nel nostro mare. Tra le specie aliene introdotte e poi proliferate nel nostro mare, ci sono quelle che arrivano soprattutto dal mar Rosso. Possono essere state liberate dalle acque di sentina delle stive delle navi per esempio, oppure introdotte volutamente dall’uomo, per ragioni commerciali. Tra le prime ci sono il pesce flauto che viene dal canale di Suez e il pesce coniglio, chiamato così per i suoi denti sporgenti».
Il granchio blu (Callinectes sapidus) è invece una specie introdotta molto tempo fa per ragioni di resa produttiva, così la vongola filippina: «Presente in abbondanza nel Mar Adriatico e, dal 2008, comparsa anche nel Golfo di Olbia, ha soppiantato completamente le popolazioni di vongola autoctona, verace, quando ancora non si parlava del concetto di specie aliena. Proprio per evitare questa proliferazione di specie oggi, da un decennio circa, è vietato introdurre specie alloctone», prosegue l’esperto.
Poi ci sono altre specie che vengono chiamate aliene, ma in maniera impropria: «Una di queste è il barracuda, o il pesce serra – spiega Casu – che in realtà sono specie che erano già presenti nel Mediterraneo e nelle zone più calde, come le coste africane, ma che si spostano per l’effetto di "meridionalizzazione" del nostro mare, dovuto al cambiamento climatico. Il barracuda, o il pesce serra o il vermocane (Hermodice carunculata) stanno venendo verso Nord a discapito delle specie che prima erano presenti, per cui un predatore grosso come il barracuda va a interferire in maniera negativa con altre specie, che prima non lo conoscevano e che invece ora trovano un forte antagonista».
Si assiste quindi a un allargamento dei confini vitali di numerose specie, che non è senza conseguenze e produce cambiamenti tra gli organismi dell’ecosistema marino: «È chiaro – sottolinea lo zoologo – che qualsiasi nuova specie che arriva in un habitat crea un nuovo impatto. Raramente è positivo, perché quando c’è una nuova specie o entra in competizione con le altre e quindi toglie risorse alimentari alle specie autoctone o, peggio ancora, può entrare in competizione perché preda specie già presenti. Il barracuda, per esempio, è entrato in competizione con la specie che era già presente nel Mediterraneo, il luccio di mare, anche lui un tipo di barracuda. Il pesce serra, invece, che è sempre più presente, toglie le prede a specie autoctone come la spigola».
Lo studioso spiega che la competizione con una nuova specie crea sempre uno squilibrio, che in alcuni casi si risolve naturalmente, come nel caso del pesce flauto: «Noi abbiamo lavorato molto sulla genetica di questo pesce che proviene dal canale di Suez e ha avuto una rapida espansione nel Mediterraneo – racconta Casu – È arrivato in Sardegna e oggi è una presenza comune. Negli anni precedenti sembrava una specie estremamente invasiva per il nostro mare. Invece, è successo che probabilmente non ha trovato l’habitat ideale e il cibo adatto, per cui attualmente i pesci fluato che vengono trovati nelle acque sarde non sono aumentati anzi, forse sono diminuiti».
Viceversa, un’altra specie che proviene dal Mar Rosso, il pesce coniglio (Siganus rivulatus), che si comincia ad avvistare nel mare della Sardegna «pian piano – avverte Casu – arriverà e si espanderà, così come è accaduto nel Mediterraneo orientale, a Cipro e a Creta, diventando una delle specie più comuni. E poiché si adatta molto bene alle situazioni ambientali, sta togliendo spazio a pesci come saraghi e orate, che infatti stanno diminuendo, I pesci coniglio si riproducono più rapidamente e mangiano il cibo di cui si nutrono gli altri, ciclo che porta alla graduale sostituzione delle altre due specie».
Il pesce coniglio raggiunge una trentina di centimetri, non è pericoloso per l’uomo. Più pericoloso può essere invece il Lagocefalus, sempre correlato allo spostamento, per la temperatura delle acque, verso la Sardegna: «È un parente del pesce palla – dice Casu – se un pescatore non lo conosce e lo mangia, può essere mortale. Era già presente nei nostri mari, ma molto raro, con l’aumento della temperatura sta diventando più comune».
Un'altra specie arrivata nelle nostre acque da Sud, che è meglio non toccare mai, è il vermocane, detto anche verme fuoco. «Questo parente dei lombrichi terrestri è colorato, con striature verdi e arancioni, può raggiungere i venti centimetri di lunghezza, si sta espandendo e rischia di creare un vero danno soprattutto alle stelle marine, perché si nutre anche di queste. Dove c’è il vermocane c’è una riduzione notevole di questi amati invertebrati. Ora questo verme è diventato comunissimo nelle acque del Sud Sardegna, nella zona di Villasimius in particolare. Può potenzialmente recare danno anche all’uomo, perché possiede delle setole molto urticanti al tatto».
Altri esemplari da ammirare solo, ma non avvicinare mai troppo, sono i nudibranchi, variopinti molluschi provenienti dal Mar Rosso. Sono lumache senza guscio, con le piumette sul dorso, decisamente attraenti all’apparenza per i loro colori sgargianti, ma tossici e urticanti se toccati.
«Occorre aumentare la quantità di informazione a livello collettivo, mettendo gli studiosi come me a contatto con le altre persone che sono amanti della natura e del mare, ma che non necessariamente poi conoscono queste nuove specie e i loro eventuali pericoli. Sono queste persone appassionate che possono darci un grandissimo aiuto, perché sono i primi che avvistano quegli esemplari. Bisogna aumentare l’educazione ambientale, facendo in modo che ci possa essere uno scambio tra chi studia questa materia e chi frequenta molto il mare. Io metto la parte teorica e lei, che magari è appassionata di subacquea o di snorkeling, mi dà quella pratica. In modo che poi il ricercatore possa andare sul posto, verificare l’effettiva presenza avvistata e studiare quale possa essere l’impatto. Si creano così i gruppi di persone che possono identificare una nuova specie».