L’omosessualità non è un orientamento sessuale solo e tipico di Homo Sapiens, anzi: ci sono oltre 1500 specie animali i cui individui maschi o femmine sono attratti e praticano sesso con individui dello stesso sesso. I motivi sono vari e in alcuni casi è evidente che si tratta di una strategia per rinforzare i legami sociali o che comunque ha una forte valenza nell’ambito dell’organizzazione del gruppo e si ritiene che questa scelta comportamentale si è conservata anche durante l’evoluzione. Aggiungiamo che nella maggior parte dei casi queste specie (es. trichechi, delfini, etc.) sono anche bisessuali.
Il comportamento omosessuale degli animali desta interesse non solo negli studiosi di etologia ma anche in coloro che si occupano di psicologia clinica, sociologia e scienze umane in genere. Infatti, la ricerca scientifica in questo campo da anni dibatte su quale modello animale può essere preso in considerazione per capire più in profondità gli aspetti del comportamento omosessuale dell’uomo.
Un filone di ricerca molto solido che viene portato avanti da studiosi dell’Università dell’Oregon ormai da diversi anni ha come oggetto di studio i maschi della pecora ovvero i montoni. È infatti noto che una piccola percentuale (fino all’8%) di montoni è attratta sessualmente e pratica sesso con altri soggetti dello stesso genere. Fin qui nulla di nuovo ma la prima novità è che se stimolati con femmine in estro questi animali rimangono areattivi, ovvero non si sentono attratti dalle femmine. Non c’è dubbio: sono omosessuali e lo saranno per tutta la loro vita.
Già questo aspetto è di notevole interesse visto che non parliamo di soggetti bisex. Insomma, abbiamo un primo indizio che non ci possono essere cause “esterne” ad influenzare l’orientamento omosessuale e a questo punto l’interesse dei ricercatori si è rivolto all’indagine sulle strutture encefaliche che sovrintendono al comportamento sessuale.
In primis, l’area preottica dell’ipotalamo (oSDN) che normalmente è fortemente dimorfica, ovvero più piccola nelle femmine rispetto ai maschi. I montoni gay hanno un oSDN piccola come quella delle femmine e questa differenza permane anche se agli animali viene somministrato testosterone, ovvero l’ormone che determina le caratteristiche maschili. La conclusione era che questi montoni verosimilmente nascono così e questa differenza può essere attribuita all’influsso del testosterone nella formazione di questa regione del cervello coinvolta nell’orientamento sessuale. Altri test hanno supportato questa ipotesi svelando il network neurormonale che è alla base della mascolinizzazione dell’ oSDN e che non si può revertere farmacologicamente durante la gravidanza.
Non c’è dubbio che gli stessi fenomeni descritti nei montoni avvengono anche in altri mammiferi e nell’uomo ed è dunque altamente probabile che un meccanismo simile possa verificarsi anche per i "maschi umani". Dunque, se da un lato si accumulano evidenze di un ruolo da parte dei meccanismi biologici che danno origine a comportamenti omosessuali, dall’altro lato non possiamo nemmeno sottovalutare la complessità esistenziale, culturale, relazionale e sociale di noi Sapiens che può determinare le nostre preferenze nella scelta del partner.