All’inizio dei trent’anni la donna va incontro a un graduale declino della fertilità, che culmina, entro il cinquantesimo compleanno, nella cessazione della sua capacità riproduttiva. In altre parole, al contrario di quanto avviene all’uomo, che è tipicamente in grado di riprodursi fino alla vecchiaia, la donna va in menopausa.
In origine, la menopausa era considerata un fenomeno unicamente umano. In effetti, negli animali domestici, cane, gatto, bovino, suino, per intendersi, non esiste una menopausa fisiologica e le femmine anziane possono riprodursi fino alla fine della vita. Lo stesso avviene in mammiferi non domestici particolarmente longevi, come gli elefanti africani, che arrivano, potendosi riprodurre, fino a 60 anni. Nelle femmine di altre specie, tra cui primati non umani come gli scimpanzé e i babbuini, alcuni piccoli pesci d’acqua dolce, i parrocchetti o i topi, si osserva una diminuzione della fertilità a partire da una certa età. Generalmente, però, la morte subentra poco tempo dopo. Niente a che vedere, insomma, con la specie umana, in cui la cessazione della fase riproduttiva è completa e molto precoce, rispetto alla durata media della vita. Persino nelle società di cacciatori-raccoglitori, che non godono dei benefici della medicina moderna, l'età media dell'ultima nascita si aggira intorno ai 38 anni e le donne possono aspettarsi di vivere ancora 20 anni dopo la cessazione della riproduzione.
Anche le orche vanno in menopausa
Per lungo tempo, dicevamo, si è creduto che questo modello di interruzione precoce della riproduzione, seguito da una sopravvivenza post-riproduttiva prolungata, fosse estraneo agli animali non umani. Poi, all’improvviso, grazie al miglioramento dei metodi e degli strumenti di raccolta e elaborazione dei dati, sono arrivate le prove che anche le orche vanno in menopausa. Le orche sono estremamente longeve e le femmine, al pari delle donne, sperimentano la senescenza riproduttiva a un ritmo più veloce della senescenza somatica: la loro fecondità diminuisce gradualmente dopo i 23 anni, poi più rapidamente dopo i 40 anni e, infine, cessa intorno ai 45 anni. Ciò nonostante, possono vivere fino a 90. Uno studio recente, in cui sono stati osservati esemplari di orche assassine (Orcinus orca) per ben 30 anni, ha dimostrato come le femmine di questa specie possano avere la vita post-riproduttiva più lunga di qualsiasi altro mammifero, compresi gli esseri umani.
Perché le femmine di alcune specie vivono così a lungo dopo la fine della riproduzione?
In generale, esistono teorie adattative e non adattative che, negli anni, sono state formulate per spiegare l’origine della fase post-riproduttiva. Secondo l’ipotesi non adattattiva, tutto sarebbe da ricondursi ai limiti fisiologici del sistema riproduttivo, inferiori rispetto a quelli del resto dell’organismo e direttamente correlati con la vitalità degli ovociti. Tra le teorie adattative, invece, spicca la cosiddetta "ipotesi della nonna", secondo cui le femmine anziane, non più fertili, contribuiscono a aumentare la sopravvivenza delle figlie e delle nipoti, ma anche dei maschi, se capita, specialmente il primogenito.
L’ “ipotesi della nonna” come spiegazione naturale per la presenza di femmine anziane nelle specie sociali
La struttura sociale e la longevità delle orche assassine hanno portato alcuni autori a suggerire che l'ipotesi della nonna possa dare un senso alla lunga vita post-riproduttiva delle femmine in questa specie. Le orche assassine sono specie sociali, che si organizzano in gruppi matriarcali multi-generazionali. Inoltre, gruppi famigliari composti da una madre e la sua prole si associano ad altri gruppi matrilineari, formando aggregazioni sociali più ampie. Le femmine di orca assassina possono produrre il primo piccolo già all'età di 10 anni e, come detto, continuare a produrre prole fino a oltre 40 anni, con un intervallo medio tra le nascite di 3,4 anni. Come altre specie con una lunga durata di vita post-riproduttiva, i piccoli di orca assassina richiedono un elevato investimento materno. Soprattutto prima dello svezzamento, che avviene intorno all’anno d’età, le piccole orche sono altamente dipendenti dalla madre, senza la quale non sono in grado di sopravvivere. I giovani svezzati, poi, continuano a essere in qualche modo dipendenti dalla presenza della madre, almeno fino al raggiungimento della maturità riproduttiva. In questa fase, però, le madri cominciano a curarsi meno di loro, ed ecco che tornano utili le nonne. Non a caso, è facile osservare individui della stessa matrilinea impegnati in comportamenti collaborativi, quali la condivisione del cibo e le cure aggiuntive per i piccoli. Dal momento che i padri non forniscono cure parentali in questa specie, a contribuire sono i fratelli maggiori ma, soprattutto, le nonne. Le femmine più anziane sono in assoluto le più brave ad allevare i giovani, quelle davvero capaci di influenzarne positivamente la sopravvivenza in questa fase critica della vita. Ciò avviene, probabilmente, perché sono le più esperte.
Perché le femmine, a un certo punto, smettono di procreare?
La visione adattativa non contempla l’invecchiamento dell’apparato riproduttore all’origine della menopausa, e lascia così aperta una domanda. Da una prospettiva squisitamente evolutiva, la collaborazione permette di aumentare la prole dei parenti che condividono alcuni dei propri geni. In linea teorica, però, è più vantaggioso per una femmina continuare a generare prole propria, a cui trasmettere metà dei propri geni, invece che investire nella sopravvivenza dei nipoti, che ne ricevono solo un quarto. Il guadagno genetico per le nonne che aiutano le figlie a riprodursi è minore rispetto a quello derivante dalla generazione di prole propria.
Allora perché lo fanno? Verosimilmente, ma è ancora da dimostrare, perché arriva un momento nella vita della femmina in cui il gioco non vale più la candela e la menopausa diventa la soluzione più vantaggiosa. Accade quando la sua età avanza a tal punto da rendere la riproduzione un evento per lei troppo rischioso, in termini di natimortalità, di difetti alla nascita o di morte materna durante il parto.
La presenza delle femmine anziane rappresenta comunque un valore aggiunto per l'unità sociale. Smettendo di riprodursi molto prima di morire, ad esse rimane tanto tempo da dedicare all’allevamento dei nipoti e alla trasmissione, agli altri membri del gruppo, di informazioni culturali preziose, acquisite grazie all’esperienza, come ad esempio le dritte sulle aree in cui la caccia può essere più proficua. Le cure alloparentali, dunque, e la trasmissione culturale di conoscenze e abilità sembrano giocare un ruolo centrale nell'evoluzione della menopausa, e della presenza di femmine anziane nei gruppi sociali. Sinora, però, sono solo teorie, e il mistero è ancora tutto da svelare.
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