La situazione per i grandi felini e per molte specie di primati che abitano le foreste del Centro e del Sud America rischia di peggiorare sempre di più, per via della riduzione costante di habitat e risorse che spinge gli animali ad abitare aree sempre più limitate, accentuando la competizione e influenzando anche la predazione. Sono questi i risultati di un nuovo studio pubblicato su bioTropica e che mette insieme moltissimi dati inerenti lo stato di salute delle specie a rischio estinzione presenti nelle foreste tropicali del mondo.
Secondo infatti gli autori di questa ricerca, il rapporto fra prede e predatori all'interno delle foreste messicane e sudamericane continua a essere sempre più alterato dalle attività umane, che spinge indirettamente i grandi felini – come per esempio il giaguaro – a cibarsi più spesso di primati, a loro volta animali a rischio di estinzioni. Con gli incendi e il costante disboscamento, abbiamo infatti indotto la fauna a modificare alcune abitudini, spingendo i predatori a cacciare anche animali che non sono di solito loro prede abituali.
A differenza infatti dei cinghiali, dei pecari, dei cervi e degli armadilli, i primati sono molto più difficili da catturare per un felide che vive nella foresta, poiché sono spesso troppo agili e vivono in gruppo. Quando però le altre prede abituali scarseggiano per ragioni antropiche, la fame e le risorse ridotte costringono i predatori a spostare la loro attenzione verso le scimmie, che però sono già pesantemente minacciate dal disboscamento e dalla perdita di habitat.
Già nel 2010 un altro studio aveva suggerito come giaguari e puma tendono a cercare alternative alimentari quando le loro prede abituali calano di numero, ma grazie a queste nuove scoperte gli scienziati ora sanno quanto può essere negativo l'impatto di questo tipo di predazione nei confronti delle popolazioni di scimmie, alcune letteralmente al collasso per via della duplice sorgente di stress: quella provocata dall'uomo e quella legata all'aumento della pressione predatoria.
Il cambiamento nella dieta dei grandi felini potrebbe infatti rendere più probabile la scomparsa di alcune specie di primati nelle foreste tropicali del Messico meridionale (tra cui la la valle di Uxpanapa), e di alcune aree del Sud Americ, entro pochi anni, se gli scienziati non riescono a trovare qualche tipo di soluzione. Nel caso in cui poi le scimmie dovessero scomparire del tutto, la loro estinzione porterebbe a sua volta a un crollo demografico dei grandi felini, nel caso in cui le popolazioni selvatiche di cervi, pecari e altri mammiferi non si risollevassero dal loro declino.
La situazione rischia così di complicarsi ulteriormente, nell'impotenza completa degli ambientalisti che da anni chiedono ai governi locali di limitare il commercio di legname e di controllare e ridurre gli incendi boschivi, vietando per esempio la pratica di pulizia dei pascoli attraverso il fuoco controllato, che spesso è la causa principale dietro agli incedi dolosi.
Per capire bene il problema, basti pensare che circa il 60% delle specie di primati del mondo oggi è considerato dalla IUCN a rischio estinzione e che secondo i ricercatori un gran numero di grandi felini presenti in Messico si è cibato almeno una volta di primati nell'arco degli ultimi 12 mesi, tanto che circa il 35% dei loro escrementi trovati durante le spedizioni contenevano resti di scimmie. Tra questi c'erano per esempio denti di scimmie ragno appartenenti al genere Ateles, trovati proprio in alcuni tratti di foresta degradata che stava ricrescendo dopo essere state colpita da numerosi incendi negli anni scorsi.
Secondo gli scienziati, inoltre, i fattori che spiegano questa predilezione nei confronti delle scimmie è la loro resilienza nei confronti della presenza umana e della minore copertura arborea che si viene a creare di seguito ai fenomeni antropici.
Dopo infatti un incendio o il parziale disboscamento di una foresta, gli animali terrestri si spostano altrove, mentre le scimmie rimangono invece negli stessi territori, anche perché sono talvolta attratte dagli insediamenti umani. La minore copertura arborea le rende però dei facili bersagli per i felini, che spinti dalla fame si concentrano quindi sulle specie più abbondanti o che risultano più facili da catturare in quel contesto.
I risultati ottenuti da questo studio – oltre a segnalare l’importanza della copertura forestale ad alto fusto per le foreste e i loro abitanti – evidenziano così qual è il ruolo anche indiretto dell'uomo nel generare squilibri ecologici che stanno alterando la catena alimentare della foresta tropicale sudamericana, permettendo quindi agli scienziati di delineare anche le azioni che si devono compiere per migliorare lo status di salute di un gran numero di specie.