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27 Aprile 2024
9:00

I gatti si offendono?

I gatti non si offendono, almeno non nel modo in cui intendiamo noi. Spesso attribuiamo dei loro comportamenti come reazioni a qualcosa che noi pensiamo di avergli fatto. Ma le cose non stanno proprio così.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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“Sentirsi offesi” è uno stato mentale di alto livello che richiede – a quanto le neuroscienze ci dicono oggi – un grado di sviluppo della neocorteccia di cui i gatti sarebbero privi. Tuttavia, noi umani siamo pronti ad etichettarli come offesi quando rifiutano di interagire con noi nella maniera abituale, quando eliminano fuori dalla cassetta, quando distruggono in casa e persino quando mordono o aggrediscono. La nostra interpretazione però potrebbe essere dovuta alla tendenza del nostro cervello a cercare relazioni di causa-effetto anche a costo di avanzare ipotesi azzardate.

Le emozioni del gatto

Che i gatti provino emozioni primarie come la gioia, la tristezza, la rabbia, il disgusto e la paura è fuor di dubbio e ormai assodato anche grazie agli studi comparativi di neuroscienze.

Più complessa è l’attribuzione di emozioni di più alto livello come la gelosia, l’invidia o l’offesa, perché queste richiedono una elaborazione a livello di neocorteccia che negli animali non raggiunge i livelli di sofisticazione di quella umana.

Al di là delle evidenze scientifiche, però, c’è sempre la cultura popolare ad attribuire stati mentali complessi agli animali e nel caso dei gatti è molto comune che vengano descritti come “offesi”, soprattutto se i pet mate ad esempio rientrano tardi o se fanno qualcosa che il gatto non gradisce o che non si aspetta.

Tuttavia, dietro quegli atteggiamenti che vengono interpretati come indicatori di “offesa”, molto spesso ci sono attribuzioni arbitrarie formulate da noi umani che abbiamo cervelli bramosi di trovare risposte ai comportamenti dei nostri amati, soprattutto quando ci sembrano insoliti e fuori dalla routine a cui ci hanno abituato.

I motivi per cui il gatto ci sembra “offeso”

Il cervello umano è progettato per cercare relazioni tra enti del mondo, nella speranza di rendere la realtà più prevedibile. Se da una parte questo ci aiuta ad orientarci, dall’altro ci pone a rischio di attribuzioni fasulle, cioè di creare dei legami causa-effetto che sono facili da “pensare” ma che esistono solo nella nostra immaginazione.

Un esempio esemplificativo: siamo tornati da casa un po’ più tardi del solito perché il traffico era intenso o il capo ufficio ci ha trattenuti per una incombenza. Varchiamo la soglia e il micio non ci viene incontro come fa quando rientriamo in orario. Il legame causa-effetto che il nostro cervello costruisce (soprattutto se si combina con i nostri sensi di colpa!) tenderà a farci credere che il motivo del suo agire è il nostro ritardo e che la sua ritrosia sia manifestazione di offesa. Del resto, togliere il saluto o ignorare è una risposta offesa che un essere umano potrebbe esprimere, ci è familiare e ci viene subito in mente.

In realtà, il gatto potrebbe avere mille motivi per non venirci incontro, slegati dalla relazione con noi: stava dormendo e non ci ha sentiti, aveva di meglio da fare, era impegnato in lettiera o a mangiare. Potrebbe anche essere che ci ha sentiti ma siccome l’ora era insolita non ha ritualizzato l’accoglienza, semplicemente perché non era il momento “giusto”. Ancora un gatto potrebbe essere semplicemente disinteressato, in quel momento esatto, a venire verso la porta o aveva altri bisogni come, per esempio, risolvere una bega territoriale o chissà che altro.

L’offesa viene di sovente attribuita anche se il gatto si divincola per non essere trattenuto e poi non si fa riavvicinare (ma non è normale evitare qualcuno che ci ha appena infastiditi?), se morde o graffia, se viene chiamato ma non risponde o non si gira nemmeno o persino se fa pipì fuori dalla cassetta.

In quest’ultimo caso qualcuno si spinge persino a parlare di "dispetto", un’intenzione ancora più di alto livello del mostrarsi offeso. Eppure non c’è scritto da nessuna parte che un gatto debba rispondere in modo positivo ad ogni nostra sollecitazione, né che debba essere sempre interessato a quello che cerchiamo di proporgli.

Cosa possiamo fare

In linea generale, ogni volta che il gatto si mostra restio all’interazione tanto da farci pensare che si sia “offeso”, andrebbe semplicemente lasciato stare. E’ probabile che, preso un momento per sé o per fare una dormita tranquillo e senza essere molestato, dopo il po’ il nostro amico torni a cercarci con l’umore di sempre. In fondo, offesa o meno, le giornate storte, i momenti no, la necessità di staccare un attimo dalle relazioni sociali li abbiamo tutti, ed è assolutamente comprensibile ed accettabile che possano averli anche i gatti.

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Sonia Campa
Consulente per la relazione uomo-gatto
Sono diplomata al Master in Etologia degli Animali d'Affezione dell'Università di Pisa, educatrice ed istruttrice cinofila formata in SIUA. Lavoro come consulente della relazione uomo-gatto e uomo-cane con un approccio relazionale e sono autrice del libro "L'insostenibile tenerezza del gatto".
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