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11 Settembre 2021
9:00

I gatti non amano lavorare per ottenere il cibo

La notizia non dovrebbe stupire eppure, quella che sembrava essere una semplice credenza popolare, inizia a venire confermata anche dalla scienza: i gatti non sembrano manifestare il contrafreeload, ovvero la volontà di lavorare per ottenere del cibo, quando lo stesso è liberamente accessibile.

Membro del comitato scientifico di Kodami
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La notizia non dovrebbe stupire eppure, quella che sembrava essere una semplice credenza popolare, inizia a venire confermata anche dalla scienza: i gatti non sembrano manifestare il contrafreeload, ovvero la volontà di lavorare per ottenere del cibo, quando lo stesso è liberamente accessibile.

Lo studio

Una ricerca pubblicata a fine luglio sulla rivista Animal Cognition da un gruppo di ricercatori dell'Università della California Davis con prima firmataria Mikel M. Delgado, ha dimostrato che i gatti non amano lavorare per ottenere cibo, se accanto c'è una ciotola disponibile con dentro lo stesso alimento. La possibilità di lavorare è stata simulata attraverso un puzzle feeder, un giocattolo commerciale che deve essere minimamente manipolato dal gatto per tirare fuori dei bocconi.

Le ipotesi

Il risultato non è una novità: già nel 1971 un altro studio era arrivato alla stessa conclusione prendendo in esame 6 gatti non castrati. Tuttavia, siccome nel frattempo molte altre specie, domestiche e non, avevano manifestato il contrafreeload (umani, scimpanzé, macachi, galline, piccioni, orsi, lupi, cani, ratti, giraffe e maiali) i ricercatori hanno voluto provare a testare nuovamente l'ipotesi e, in particolare, si sono chiesti:

  • i gatti che vivono in appartamento preferiscono attivarsi, fare degli sforzi per ottenere il cibo oppure preferiscono usufruire della ciotola pronta?
  • è vero, come si dice, che il ricorso ai puzzle feeder aumenta i livelli di attività del gatto casalingo?

L'esperimento

Così è stato reclutato un campione di 20 gatti (10 maschi e 10 femmine) esclusivamente casalinghi, castrati, unici in casa e di età compresa tra 1 e 10 anni e sono stati sottoposti ad un periodo di training per permettere loro di familiarizzare con il puzzle feeder. Ma ecco il primo intoppo: dai 20, 3 femmine sono state escluse dallo studio prima della fase sperimentale perché hanno mostrato una totale avversione al puzzle feeder, rifiutandosi di avvicinarlo. Così la ricerca si è focalizzata sui 17 gatti rimanenti, il cui comportamento alimentare è stato video-registrato e tracciato per 10 esperimenti da 30 minuti ciascuno, durante i quali i gatti potevano scegliere se consumare dal puzzle feeder o da una ciotola posta accanto e di pari dimensioni. Nei recipienti c'era lo stesso cibo e nella stessa quantità e di ogni esperimento è stata valutata la quantità di cibo consumata da ciascun recipiente e quale strumento è stato usato per primo.

I risultati

Sebbene la maggior parte dei gatti abbia utilizzato entrambi i recipienti, la quantità di cibo consumata dalla ciotola si è rivelata statisticamente maggiore rispetto a quella consumata dal puzzle. Quasi metà dei gatti ha consumato meno del 10% del cibo dal puzzle e due di loro non lo hanno mai utilizzato, malgrado lo conoscessero. I ricercatori, inoltre, non hanno trovato alcuna correlazione tra l'attività media giornaliera dei gatti e il tempo speso presso il puzzle feeder: in altre parole, la presenza dello strumento non ha indotto un incremento diretto dell'attività.

Le conclusioni

Le conclusioni dello studio sono abbastanza chiare: «Non abbiamo riscontrato delle prove stringenti di contrafreeloading; invece, i gatti hanno preferito mangiare il cibo liberamente disponibile senza sforzi aggiuntivi». E ancora: «Basandoci su questi risultati […] non classificheremmo i gatti come forti "contrafreeloadersi"».

Perché interessa?

Lo sgomento dei ricercatori è chiaramente percepibile lungo tutto lo studio, eppure, a ben pensarci, è stata proprio l'attitudine dei gatti ad adagiarsi sui vantaggi che gli insediamenti umani – con i loro granai ricchi di topi, sì, ma anche con la loro spazzatura, con i rifugi offerti, con i loro avanzi – ad avviare la domesticazione del gatto 10mila anni fa. In tutto questo periodo, la convivenza con l'uomo non ha alterato questa attitudine, la specie si è limitata a riproporre il suo ruolo ecologico di predatore solitario all'interno della nicchia umana. Evolutivamente questo potrebbe spiegare quel che gli stessi ricercatori riconoscono: “In generale, i gatti sembrano conservare al massimo le energie, minimizzando la quantità di tempo e di sforzi spesi per soddisfare i propri fabbisogni calorici, che si tratti di predare o di sfruttare strumenti casalinghi”.

Insomma, i gatti restano predatori solitari anche tra gli agi dei nostri divani.

Che fine fa l'arricchimento ambientale?

Questo studio ridimensiona il ruolo che la scienza del comportamento ha riservato negli ultimi anni ai puzzle feeder e alle varie strategie di arricchimento ambientale basate sulla ricerca di cibo perché mette in dubbio che i gatti gradiscano certi strumenti i quali, peraltro, non stimolano davvero il gatto a muoversi ed agire di più – motivo per cui spesso vengono consigliati – Gli stessi ricercatori suggeriscono che «per i gatti domestici, l'arricchimento basato sulla ricerca di cibo potrebbe dipendere dai bisogni e dalla motivazione verso il cibo del singolo animale, e potrebbe essere meglio introdurlo come un'opzione per aumentare il welfare».

In altre parole, questi strumenti vanno pensati come giocattoli, niente di più: sono adatti per intrattenere e diversificare le attività di quei gatti che dimostrano di apprezzarli (per appetito o per gusto personale) ma, in generale, non è il caso di usarli come unico mezzo di approvvigionamento del cibo.

Domande aperte

Secondo i ricercatori «la domanda non risposta è perché i gatti, tra le tante specie testate, sembrino l'unica a non manifestare affidabilmente il contrafreeload. Questa tendenza sembra contraddire il fatto che i gatti lavorino naturalmente per ottenere il cibo attraverso la caccia e che smettano di mangiare per catturare prede aggiuntive».

E' vero, i gatti cacciano per alimentarsi, faticano e, se compare una nuova preda mentre stanno mangiando, interrompono il pasto per lanciarsi in un nuovo agguato: ma siamo sicuri che per un predatore solitario dare la caccia a qualcosa di vivo, in un ambiente reale, sia equivalente ed intercambiabile con l'estrarre con una zampa degli inermi croccantini da un giocattolo di plastica?

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Sonia Campa
Consulente per la relazione uomo-gatto
Sono diplomata al Master in Etologia degli Animali d'Affezione dell'Università di Pisa, educatrice ed istruttrice cinofila formata in SIUA. Lavoro come consulente della relazione uomo-gatto e uomo-cane con un approccio relazionale e sono autrice del libro "L'insostenibile tenerezza del gatto".
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