Il Rio delle Amazzoni è uno dei fiumi più importanti del mondo, visto che alimenta il complesso ambiente ecosistemico dell'Amazzonia e dei suoi molti affluenti. Non tutti però sanno che rappresenta anche uno dei pochi fiumi del pianeta che è abitato anche da dei delfini d'acqua dolce, noti come bonto o inia. Si tratta di cetacei molto particolari, che mostrano una pelle rosata che è il prodotto di una ricca vascolarizzazione, utile a questi animali per regolare la propria temperatura corporea. Ed essendo incapaci di spingersi fino a mare per via degli adattamenti che hanno sviluppato per la vita in acqua dolce, questi animali sono minacciati da moltissime fattori antropici, con al conseguenza che i ricercatori hanno cominciato a preoccuparsi per la loro sopravvivenza nel lungo termine.
Una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Oryx edita dalla Cambdrige University Press, ha infatti sottolineato che circa l'89% dei territori abitati dalle tre diverse specie di inia in Sud America sono stato sovrasfruttati negli ultimi anni per la pesca, che ha contribuito non poco al declino di questi delfini. Proprio il Rio delle Amazzoni in particolare è risultato il fiume più battuto dai pescatori, con una conseguente crisi demografica di quelle specie che scelgono il gran fiume per spostarsi agevolmente fra le diverse regioni della foresta più grande del mondo.
Molto impattanti per la possibile estinzione locale di questi mammiferi si sono rivelate anche le dighe e i siti di dragaggio, che interrompono letteralmente il percorso del fiume in più punti, impedendo non solo ai delfini di raggiungere alcuni dei vecchi siti più pescosi, ma anche agli stessi pesci di riprodursi, portandoli a rimanere intrappolati in dei grossi laghi artificiali che vengono utilizzati dalle centrali idro elettriche.
Questo studio è stato condotto da diversi ricercatori dell'Università di Exeter e ha avuto anche la collaborazione dell'organizzazione peruviana per la conservazione Pro Delphinus, che lotta contro le grandi industrie energetiche nel tentativo di salvaguardare la fauna del fiume che permette non solo ai delfini di sostentarsi senza l'intervento dell'uomo.
«È chiaro che le specie di delfino del Rio delle Amazzoni stanno affrontando crescenti minacce da parte degli esseri umani – ha affermato Elizabeth Campbell, del Centro per l'ecologia e la conservazione del Penryn Campus di Exeter in Cornovaglia. – La pesca può esaurire le popolazioni di prede, e anche i delfini sono a rischio di uccisioni intenzionali e a catture accidentali. Inoltre, è noto che le catture rappresentano una minaccia per questi delfini negli ultimi 30 anni, ma fino a questo momento non ci sono dati sufficienti su quanti delfini vengono catturati ogni anno».
Il dato offerto dalla ricerca è perciò molto preoccupante. Tantissimi delfini ogni anno rischiano la morte per colpa delle dighe e della pesca, con centinaia di morti provocate dalla stessa incuranza dell'uomo o dalla poca abilità dei pescatori, incapaci di liberare gli animali dalle maglie delle proprie reti. La costruzione di dighe in particolar modo – un fenomeno che si sta espandendo soprattutto in Brasile – viene vista dai ricercatori come una minaccia in espansione, con 175 dighe operative e almeno altre 428 pianificate nei prossimi anni. Progetti che non solo arrecheranno uno dei più grandi danni ambientali mai compiuti dall'uomo, ma che provocheranno anche la perdita di un enorme fetta di foresta – ancora non quantificabile – che ricordiamo essere responsabile della maggior parte dell'assorbimento terrestre dell'anidride carbonica atmosferica.
Creare delle dighe per ottenere energia, quindi, equivale a condannare la foresta e ad aumentare ulteriormente le quantità di CO2 nell'atmosfera.
Fortunatamente non tutto sembra però perduto. All'aumento delle proteste da parte degli ambientalisti e degli stessi abitanti della foresta Amazzonica, alcuni paesi sembrano voler ridimensionare le iniziative energetiche volute in particolar modo dal Brasile, nel tentativo di limitare i danni in alcuni contesti geografici ben definiti. Per esempio, la Colombia e il Perù hanno iniziato alcune campagne di protezione degli inia, cercando di limitare la pesca e la costruzione delle dighe lungo i percorsi fluviali degli affluenti del fiume Rio delle Amazzoni.
«Il Perù ha così la possibilità di preservare i suoi fiumi a flusso libero, mantenendoli un habitat sano e sicuro per i delfini di fiume e molte altre specie – ha affermato la dottoressa Campbell -Dato tuttavia che molti di questi progetti di dighe e dragaggi sono ancora in fase di pianificazione, consigliamo al governo di considerare quali sono gli effetti negativi che queste attività hanno avuto altrove. I programmi di monitoraggio dei delfini di fiume d'altronde alla fine dovrebbero essere presto estesi per coprire più stagioni, in modo da monitorare più femmine e aumentare complessivamente le informazioni, da poter inserire nei modelli di movimento di questa specie».
Questo però rischia di non essere sufficiente. Come sostengono in molti finché il Brasile, che detiene la maggior parte della superficie della foresta amazzonica e il maggior numero di inia, non accetterà di porre un freno alla sua espansione energetica basata sulle centrali idroelettriche, sarà difficile garantire un futuro per queste specie che si trovano esclusivamente in Sud America, intrappolate nei flutti di uno dei fiumi più lunghi del mondo.