Nella Rock and Roll Hall of Fame dovrebbero comparire nuovi cantanti insieme ai mastri del falsetto Freddie Mercury, Prince e Mika: i delfini e tutti gli altri odontoceti. Secondo un recente studio questi animali non solo possono usare il falsetto, ovvero emettere suoni con frequenze più alte delle loro normali vocalizzazioni, ma possiedono anche altri due registri vocali, una "voce di petto", che usano più comunemente, e uno più basso detto "laringalizzazione", in inglese "vocal fry", utilizzato per catturare le loro prede.
Modulare in questo modo la voce per animali con una socialità così sviluppata e con un sistema di comunicazione acustico così raffinato è essenziale. Immaginiamo per un attimo di immergerci al largo nel Mediterraneo con dei microfoni speciali: sotto lo scintillio dell'acqua che riflette un caldo sole estivo, un gruppo di delfini comuni sta cacciando un banco di pesci. Cercano di aggirarli, si chiamano per nome, si cercano a decine di metri di distanza e lo fanno con un complesso vocabolario fatto di scricchiolii, schiocchi di lingua e molto altro.
Tutti questi comportamenti sono mediati da suoni che viaggiano rapidamente molto lontano e ad oggi è ancora un mistero come sia composto il complesso il vocabolario di questi incredibili mammiferi marini. Ora, però, un nuovo studio di un team di scienziati dell'Università della Danimarca meridionale e dell'Università di Aarhus pubblicato sulla rivista Science approfondisce la questione: delfini e altri odontoceti hanno sviluppato una sorgente sonora nasale con diversi registri vocali fra cui proprio il vocal fry, che viene utilizzato durante la caccia.
«La laringalizzazione è un normale registro vocale che viene utilizzato molto spesso anche fra gli esseri umani. Fra i personaggi famosi che lo usano ci sono Kim Kardashian, Katy Perry e Scarlet Johannsen», spiega Coen Elemans, professore dell'Università della Danimarca meridionale e coautore dello studio.
Questo è il più basso registro vocale umano conosciuto ed è prodotto attraverso un rilassamento della chiusura dell'epiglottide, la cartilagine che separa le vie aeree dal tratto digestivo, permettendo all'aria di "scoppiettare" lentamente con un suono schioccante o crepitante a una frequenza molto bassa. Durante questa fonazione, le cartilagini nella laringe si avvicinano, facendo sì che le corde vocali si comprimano piuttosto strettamente e diventino relativamente molli e compatte.
Questo processo forma una massa ampia e irregolarmente vibrante all'interno delle corde vocali che produce il caratteristico suono. C'è persino chi detiene il record mondiale per la nota di frequenza più bassa mai prodotta da un umano con questo registro: Tim Storms che è riuscito a produrre un sol -7 a una frequenza di solo 0,189 Hz, non udibile dall'orecchio umano.
Un ottimo esempio di vocal fry è possibile ascoltarlo in un episodio della versione inglese della serie TV Loudermilk. Nello spezzone il protagonista ordina da bere in una caffetteria e viene servito da una giovane commessa che utilizza proprio questo timbro vocale. La scena non è volta a spiegare la sua utilità per gli esseri umani, ma mostra semplicemente come a volte molti di noi lo utilizzano senza accorgersene, con effetti talvolta snervanti per le altre persone.
Secondo i ricercatori gli odontoceti, un sottordine dei cetacei di cui fanno parte delfini, capodogli e orche, usano questo registro vocale per produrre dei suoni di ecolocalizzazione finalizzati alla cattura delle prede. «Durante il vocal fry le corde vocali sono aperte solo per un tempo molto breve e quindi ci vuole pochissima aria per usare questo registro – aggiunge Elemans – Questo lo rende uno strumento ideale per l'ecolocalizzazione poiché, durante le immersioni profonde, tutta l'aria viene compressa in una piccola frazione del suo volume».
Molti odontoceti, infatti, si tuffano anche a 2.000 metri di profondità e quando cacciano in acque così profonde e torbide producono brevi e potenti ultrasuoni, una serie di "clic" che possono arrivare fino a 700 al secondo, utili per individuare, rintracciare e catturare le prede, proprio come spiega lo scienziato: «Così il vocal fry consente l'accesso a una parte del mare che è fra le più ricche di cibo: l'oceano profondo».
Per scoprirlo i ricercatori danesi hanno utilizzato video ad alta velocità ed endoscopi per visualizzare le parti interne di alcuni animali, approfondendo quali sono le strutture che producono il peculiare registro. Gli studiosi hanno scoperto così che gli odontoceti hanno sviluppato un sistema di produzione del suono facendo passare l'aria attraverso il loro naso, un sistema analogo al suono prodotto tramite la laringe e la siringe in mammiferi e uccelli.
«L'evoluzione ha spostato la respirazione in questi animali dalla trachea al naso, il che ha permesso loro di generare pressioni di fuoriuscita dell'aria molto forti, fino a 5 volte più forti rispetto a un trombettista che spinge l'aria nel proprio strumento – continua Coen Elemans – Questa elevata pressione consente agli odontoceti di emettere i suoni più forti di qualsiasi animale sul pianeta».
A differenza dell'ancia di una tromba, però, gli odontoceti nell'ecolocalizzazione pressurizzano l'aria nel loro naso e la fanno passare attraverso strutture chiamate "labbra foniche", che vibrano proprio come le corde vocali umane. La loro accelerazione produce onde sonore che viaggiano attraverso il cranio fino alla parte anteriore della testa.
Insomma, mai ci saremmo aspettati di riuscire a paragonare il timbro vocale di Katy Perry con quello di un delfino, ma la ricerca scientifica permette di fare anche questo. Aldilà di simpatici paragoni, però, riuscire ad approfondire le strutture anatomiche e comportamenti di un animale dalla socialità così complessa è molto importante. Comprendere come hanno sviluppato il loro sistema di comunicazione non solo ci potrà permettere di conservare le loro specie in modo più efficiente, ma ci garantirà una nuova chiave di lettura per analizzare anche il modo in cui la comunicazione vocale varia a seconda del gruppo animale.