La sopravvivenza di molte popolazioni di delfini del Pacifico potrebbe essere a rischio per via degli inquinanti organici. A lanciare l'allarme è un nuovo studio, pubblicato su Science of The Total Environment ed effettuato da alcuni biologi marini della National Oceanic and Atmospheric Administration americana.
Durante infatti un monitoraggio effettuato nel Nord est del Pacifico, gli autori dello studio – tra cui Dawn P. Noren e Shawn Johnson – hanno valutato la qualità del latte prodotto dalle femmine di alcune popolazioni dopo aver partorito, scoprendo che contiene elevate quantità di inquinanti organici persistenti, conosciuti anche tramite la sigla POP, acronimo inglese di Persistent Organic Pollutants.
Questi sono sostanze organiche che perdurano per un tempo indefinito nell’ambiente e che possono arrecare molti danni alle strutture cellulari degli organismi animali. Per verificare quindi la loro presenza effettiva ne delfini, il team di Noren e di Johnson ha anche estratto dei campioni di sangue dalle giovani madri e dai cuccioli, per stabilire la gravità della situazione e il pericolo che tali sostanze possono portare alla morte degli esemplari più sensibili. Purtroppo però anche in questo caso i livelli di batteri e d'inquinanti presenti nei fluidi corporei raggiungevano i livelli di allarme, destabilizzando gli stessi ricercatori, che non si aspettavano dati così allarmanti.
Fra le sostanze pericolose ritrovate nel latte e nel sangue di questi esemplari c'erano tra l'altro alcune delle molecole più letali conosciute dall'uomo, che alterano il normale funzionamento del sistema endocrino. Fra queste ci sono i policlorobifenili, i DDT e i polibromodifenileteri che arrivano al mare tramite gli scarichi fognari e i delta dei fiumi. Tali inquinanti inoltre possono accumularsi nel grasso dei mammiferi marini, a causa del bioaccumulo e dell'ingestione di pesce contaminato, provocando un’ampia varietà di disturbi debilitanti oltre alla morte dei soggetti più sottoposti a tale tipologia d'inquinamento.
Per scoprire se questo fenomeno è presente in diverse popolazioni, gli scienziati hanno anche esaminato i delfini che fanno parte del Marine Mammal Program della Marina americana nella baia di San Diego, che vivono più a sud rispetto alle prime popolazioni in cui è stato osservato questo fenomeno. I delfini di questo programma militare sono principalmente tursiopi (Tursiops truncatus) e vivono un'esistenza semi-selvaggia, essendo liberi di nuotare dentro alla grande baia e di cacciare i pesci seguendo i comportamenti naturali della loro specie, ma rimanendo comunque confinati all'interno dell'area militare per essere seguiti dagli scienziati.
I ricercatori hanno così raccolto migliaia di campioni di latte da sei specifici delfini che, all'inizio dei test, sul finire del 2021, erano divenute da poco madri per la prima volta. Inoltre hanno anche cominciato a monitorare la salute dei piccoli, tramite dei campioni di sangue, per un periodo di circa 460 giorni. Entrambi le tipologie di campioni sono stati testati per definire quali erano livelli di inquinanti presenti e anche in questo caso i risultati sono stati assolutamente sconfortanti.
Per quanto vicino alla baia di San Diego non ci fossero infatti grandi sorgenti d'inquinamento, il gruppo di ricerca ha riscontrato livelli molto elevati di sostanze tossiche classificate come POP nel latte materno e nel sangue della prole, i cui livelli crescevano tra l'altro andando di pari passo alla loro crescita. Quindi gli scienziati hanno certificato che con il trascorrere del tempo i cuccioli accumulavano sempre più veleni, una condizione che potrebbe essere considerata drammatica a mare aperto, ma che risulta ancora più tragica se si considera la condizione di ambiente protetto, simile ad una riserva naturale, della baia. Per ragioni scientifiche e militari infatti nessuna nave può sversare liquami all'interno della struttura e non ci sono tubature che riversano scorie sul mare.
I ricercatori tra l'altro hanno scoperto che al momento dello svezzamento i cuccioli della baia di San Diego presentavano livelli più elevati di inquinanti nel tessuto adiposo, rispetto alle popolazioni naturali e alle loro stesse madri. Per quanto però questo possa sembrare strano, questo fenomeno può avere anche una spiegazione logica. Mentre le madri infatti potevano nel tempo mangiare anche pesce non contaminato e perdere concentrazioni d'inquinanti grazie all'allattamento – che dal punto di vista biologico gli permetteva di liberarsi dei veleni in eccesso presenti nel sangue – i cuccioli avevano solo le madri come fonte di nutrimento. Una situazione tragica, che potrebbe anche verificarsi secondo i ricercatori nelle popolazioni naturali delle orche, cugine dei tursiopi utilizzati nei test.
I ricercatori stanno quindi cercando di valutare quali possono essere le possibili azioni atte a limitare l'aumento delle concentrazioni di queste sostanze nei pressi della costa pacifica degli Stati Uniti, seppur sia ancor più grave non sapere aiutare i piccoli che in questo momento stanno combattendo contro un avvelenamento silente.