Una nuova scoperta pubblicata su Frontiers qualche giorno fa promette di cambiare le sorti della lotta per la salvaguardia delle barriere coralline. Secondo i biologi marini della Rice University di Houston molti dei coralli che attualmente risultano sofferenti negli oceani di tutto il mondo lo sono anche per via dell'eccessiva quantità di feci prodotte dai pesci. La notizia è davvero eclatante, anche perché fra queste specie ce ne sono alcune che venivano considerate fino a questo momento come promotrici del benessere di questi particolari ecosistemi.
Fra gli animali "responsabili", ci sono per esempio i pesci pascolatori, che consumano le alghe e i detriti che solitamente si accumulano sulla superficie dei coralli e che fino a poco tempo fa venivano considerati fautori del benessere dei coralli. Tra le specie invece che aiutano la barriera a mantenersi in salute ci sono incredibilmente i pesci che mangiano coralli – denominati corallivori. Questi infatti nel loro lavoro di pulizia, tra le tante funzioni che svolgono, per quanto rovinano la superficie esterna tengono a bada la quantità di alghe incrostanti che asfissiano l'animale. «I pesci corallivori sono stati generalmente considerati dannosi perché mordono i coralli – ha affermato Carsten Grupstra, autore principale dello studio – Abbiamo scoperto però che fino ad adesso non abbiamo compreso appieno il ruolo di questa specie e raccontato l'intera storia. L'eccessiva presenza dei pascolatori tenuti a bada dai corallivori infatti può recare molto più danni di quanto preventivato un tempo».
Come fanno però delle semplici feci ad arrecare dei danni a coralli e come mai questo fenomeno si sta osservando solo recentemente? Le motivazioni sono diverse, ma gli scienziati tengono a sottolineare che neanche loro si erano resi conto di questo fenomeno, se non quando hanno trovato alti livelli di agenti patogeni nei cumuli di feci dei pascolatori che si presentavano alla base della barriera. «Era come trovarsi di fronte a un "probiotico dei coralli". Una montagna di batteri antistante la barriera che risultava celare un enorme rischio». Il dato però più peculiare è che le feci delle specie corallivore, cioè ipoteticamente più nocive, non davano come risultato la proliferazione della stesse specie patogeni, ma invece favorivano la comparsa di alghe simbiotiche da cui sembrano invece dipendere i coralli.
Per capire come i coralli riescono a beneficiare delle feci dei loro predatori, Grupstra ha così studiato il comportamento e la dieta di queste specie, osservando che spesso non si nutrono delle loro prede divorandole completamente, ma che preferiscono affondare un boccone, subito prima di nascondersi, nuotando verso una nuova posizione con la bocca piena di corallo e detrito. Questo loro comportamento comporta quindi che la loro "cacca" – e la successiva alga simbionte – viene dispersa su una vasta area ed è capace di fertilizzare interi chilometri cubici di barriera (cubici e non quadrati perché l'ecosistema si estende anche in altezza).
La cacca dei coralliferi sarebbe invece divenuta nociva da quando le barriere coralline sono state invase da un maggior numero di pesci capaci di mangiare le alghe, avendo assunto il ruolo di ultimo rifugio nei confronti della pesca, dei predatori e dei mutamenti alteranti che coinvolgono l'oceano per via del clima. «I test batterici effettuati sui nostri campioni sul campo hanno contribuito a spiegare i risultati degli esperimenti teorici di laboratorio – ha affermato Adrienne MS Correa, professoressa di Bioscienze e consulente di dottorato di Grupstra sempre a Houston. – Abbiamo scoperto così che i patogeni dei coralli erano più abbondanti nelle feci dei pascolatori e i microbi benefici erano più abbondanti nelle feci dei corallivori».
Capire quindi come le deiezioni dei pesci di barriera possano da una parte aiutare ma dall'altra distruggere uno degli ecosistemi più fragili del mondo serve anche per comprendere meglio i ruoli dei pesci e per trovare nuove soluzioni per aiutare le barriere a maggior rischio di estinzione.
Questo studio si basa sui dati e le prove raccolte durante due anni di ricerche nel campo di ricerca ecologica sulla barriera corallina di Moorea, nella Polinesia francese e ha anche dimostrato come talvolta i coralli che vengono ritrovati in condizione di essere sbriciolati sfiorandoli con la mano non sono morti per via dello sbiancamento o per il surriscaldamento climatico ma per colpa delle infezioni dovute alla presenza di troppi pascolatori.