Anche i cani vedono il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Esattamente come noi infatti, possono avere la tendenza ad affrontare le situazioni nuove con ottimismo o pessimismo e la scelta non è affatto casuale, ma dipende in gran parte dalle emozioni che prevalgono nell'individuo.
Le emozioni positive favoriscono l'ottimismo mentre quelle negative portano più facilmente a vedere il bicchiere mezzo vuoto. L'approccio scelto da ognuno di noi può cambiare nel tempo, in base all'ambiente che trova intorno a sé, in base alle sue condizioni di salute e alle sue esperienze pregresse e lo stesso vale anche per i cani.
Per questo motivo è impossibile determinare in maniera assoluta se un soggetto sia ottimista o pessimista, ma si può invece valutarne l'approccio in un preciso momento, nell'ottica di aumentare la conoscenza delle sue emozioni e studiarne quindi il livello di benessere.
Individuare la prevalenza dell'uno o dell'altro approccio negli esseri umani è piuttosto semplice. Gli scienziati infatti propongono appositi test che richiedono l'utilizzo del linguaggio verbale. La faccenda si complica invece quando ciò che si vuole osservare è la risposta degli individui di un'altra specie.
Nel caso di animali non umani infatti non si può disporre della parola ed è quindi indispensabile individuare alternative in grado di dare comunque risultati soddisfacenti.
Spesso, in questo ambito viene utilizzato il Judgement Bias Test, un metodo che secondo alcuni ricercatori presenta però alcune criticità, come ad esempio la difficoltà da parte dell'animale di apprendere il compito da svolgere.
Proprio a partire da queste complicazioni, un team di ricercatrici italiane dell'Università di Parma ha individuato alcune modifiche metodologiche che permettono di aumentare l'efficacia delle ricerche e le ha testate in uno studio che è stato recentemente pubblicato.
Grazie ai metodi utilizzati dalle ricercatrici, il 98% dei soggetti ha dimostrato di aver compreso rapidamente il funzionamento del test e le risposte ottenute sono risultate inoltre più stabili rispetto a quelle del metodo "classico".
Il legame tra il pessimismo e l'ansia
Quali sono i metodi utilizzati per rilevare l'ottimismo e il pessimismo nelle altre specie e perché è importante indagare su questo tema in ambito di ricerca sulla cognizione animale?
A spiegarlo a Kodami è Carlotta Burani, biologa ed etologa del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell'Università di Parma che da anni si occupa proprio di questo tema e che, nell'ambito di una ricerca pubblicata sulla rivista Animal Cognition nel mese di novembre 2021, ha individuato un nuovo e più affidabile protocollo per l'analisi dell'ottimismo e del pessimismo negli animali non umani.
«Si tratta di un ambito fondamentale dello studio del comportamento animale – spiega la ricercatrice – Il pessimismo infatti è strettamente legato all'ansia e quindi a una sorta di apprensione o magari addirittura vera e propria paura per ciò che verrà».
L'ansia infatti può essere definita come la reazione di un individuo in relazione a un potenziale pericolo futuro che il soggetto pensa che potrebbe avvenire.
Per quanto riguarda gli esseri umani, ad esempio, è stato dimostrato da numerosi studi, uno dei quali condotto dall'Università di New Orleans e pubblicato nel 2010, che nel momento in cui veniamo chiamati ad interpretare frasi ambigue che potrebbero avere un significato ottimista o pessimista, da parte di chi soffre di ansia vi è una forte tendenza a giungere a conclusioni pessimistiche rispetto alle persone che non ne soffrono (o non ne soffrono più).
«Proprio per questo motivo risulta importante approfondire l'argomento ad esempio, proponendo test che rilevino l'ottimismo o il pessimismo di un cane prima o dopo un trattamento riabilitativo – aggiunge la ricercatrice – nell'ottica di rilevare se vi sia stato o meno un miglioramento dal punto di vista emotivo».
Al team di ricerca dello studio condotto dall'Università di Parma, oltre a Carlotta Burani hanno partecipato anche Annalisa Pelosi, del dipartimento di Medicina e Chirurgia e Paola Valsecchi, professoressa di etologia applicata, zoologia e zoologia dei vertebrati. La professoressa Valsecchi è autrice del libro “Attenti ai cani. Una storia di 40.000 anni” ed è stata la protagonista di una puntata di MeetKodami, la serie di video in cui protagonisti sono persone che studiano e amano il mondo degli animali. Grazie a lei sul nostro sito è possibile fare un lungo viaggio nella relazione tra uomini e cani.
Il "Judgement Bias Test": analisi delle criticità
Per indagare su questo tema nell'ambito della ricerca sugli animali non umani e trovare alternative in grado di rilevare l'ottimismo e il pessimismo senza l'utilizzo della parola, generalmente viene utilizzato il "Judgement Bias Test", ovvero un protocollo dal funzionamento molto semplice: «Inizialmente gli animali vengono addestrati al riconoscimento di due stimoli posizionati in maniera diversa: ogni volta che entrano in una stanza, si trovano di fronte ad una ciotola, la quale viene posizionata a destra o a sinistra». Nel caso in cui la ciotola venga posizionata a destra, sarà piena di cibo, mentre quando si troverà a sinistra, sarà invece vuota.
«Una volta che il cane ha appreso questa differenza, nella stanza viene sistemata una ciotola in posizione centrale e se l'individuo si avvicinerà pur senza conoscerne il contenuto, il suo approccio viene considerato ottimista», spiega la ricercatrice che, in un precedente studio condotto sempre da Burani e Valsecchi in collaborazione con la Queen’s University di Belfast, con l'ausilio di questo metodo aveva rilevato un maggiore pessimismo da parte dei cani che vivono in canile, rispetto ai cani che vivono in famiglia.
«Durante gli studi svolti utilizzando il Judgement Bias Test ho notato alcune criticità: In primo luogo, una percentuale non trascurabile di cani non riusciva a superare il training iniziale e discriminare la posizione dello stimolo negativo rispetto a quello positivo – spiega la ricercatrice – In secondo luogo, le risposte dei cani nei confronti delle due posizioni non rimanevano stabili nel corso del test, suggerendo che l’associazione tra stimoli certi e presenza o assenza del cibo non fosse stata appresa in modo solido».
Le proposte del nuovo test: «Apprendimento più soddisfacente e più stabile»
In seguito a questa esperienza, Carlotta Burani ha quindi deciso di individuare alcune modifiche da applicare alla metodologia classica nell'ottica di aumentarne l'efficacia: «Abbiamo realizzato una struttura fissa formata da 5 corridoi – spiega la ricercatrice – La prima parte del corridoio è dritta, mentre la seconda curva verso destra, in modo da impedire al cane di poter vedere in anticipo cosa ci sarà sul fondo. Nel corridoio di sinistra il cane troverà uno stimolo positivo, ovvero il proprio umano con del cibo, mentre per il corridoio di destra abbiamo ideato uno stimolo negativo che non fosse troppo spaventoso, ovvero un ventilatore coperto da telo nero mosso dall'aria».
In base a quale porta veniva aperta durante il test, il cane era quindi in grado di prevedere il valore positivo o negativo dello stimolo che avrebbe incontrato: «Una volta appresa la differenza, abbiamo cominciato ad aprire le altre 3 porte – spiega Burani – Proprio questo è il momento in cui viene valutato l'approccio pessimista o ottimista dell'individuo, il quale potrebbe avvicinarsi o meno alla nuova proposta di cui non conosce il valore».
Il test è stato proposto a circa 50 cani e al termine della ricerca il 98% di loro ne aveva compreso il funzionamento e gli apprendimenti hanno rilevato inoltre risposte più stabili rispetto a quelle del test "classico".
«Possiamo dire che i fattori che condizionano maggiormente la buona riuscita di questo nuovo test sono 3 – spiega Burani – In primo luogo la maggiore chiarezza nella distinzione tra stimolo positivo (pet mate con il cibo), e quello negativo (telo mosso dall'aria). Inoltre lo spazio, suddiviso in 5 corridoi, crea ambienti più facilmente distinguibili, rispetto al semplice spostamento della ciotola. Infine abbiamo dimezzato la durata delle prove, riducendo così anche la stanchezza dei cani che hanno partecipato all'esperimento».
Per la ricercatrice, quanto rilevato da questo nuovo strumento di ricerca è un importante risultato anche perché riguarda un ambito di studi che può avere risvolti positivi per la percezione che le persone hanno delle altre specie: «Certamente la ricerca in ambito di cognizione animale ha l'obiettivo di migliorare il loro benessere – conclude Burani – Ciò che ci auspichiamo è che aiuti anche a superare l'opinione ancora troppo diffusa, che vede noi esseri umani come una specie superiore».