Chi di noi non si è mai trovato a utilizzare quelle buffe e simpatiche “vocine infantili” mentre ci rivolgiamo ai nostri amici a quattro zampe? Questa innata propensione degli esseri umani a utilizzare un registro vocale con delle caratteristiche “infantili” rispetto a quelle utilizzate in un contesto fra adulti, la si osserva sia durante l’interazione con gli stessi bambini umani che non sono ancora in grado di parlare (per esempio un genitore che fa la vocina a suo figlio), sia durante l’interazione con i nostri compagni animali (primi su tutti i cani), a dimostrazione di come la plasticità di questo nostro meccanismo venga trasferita anche in contesti inter-specifici, permettendo e caratterizzando l'interazione uomo-animale.
Ma i nostri amici a quattro zampe come percepiscono queste variazioni dell'intonazione della nostra voce? Ascoltare la nostra vocina infantile gli interessa o per loro non fa alcuna differenza? In un nuovo studio pubblicato sulla rivista Communications Biology, un gruppo di ricercatori si sono chiesti proprio se i cani fossero sensibili alle differenze dei vari tipi di intonazione delle voci umane rispetto al tipo di destinatario, come per esempio un adulto, un infante o un cane.
In questo studio, 19 cani appartenenti a vari tipi di razze sono stati quindi sottoposti a un test di risonanza magnetica funzionale, una tecnica che ha permesso di registrare la loro attività cerebrale proprio durante l’esecuzione di alcuni compiti di ascolto, senza che ciò comportasse per loro alcun tipo di problema. In questo test, i cani dovevano semplicemente rilassarsi sul lettino della risonanza magnetica e ascoltare tramite l’ausilio di auricolari, 3 tipi di voci di umani a loro non familiari che colloquiavano rispettivamente con bambini umani, cani e infine con gli adulti, in modo tale da osservare se discriminassero in qualche modo queste voci diverse osservandone direttamente i risultati rilevati da eventuali cambiamenti della loro attività cerebrale.
Dai risultati si è visto come proprio le vocine “infantili” rivolte dagli umani sia agli infanti sia ai i cani – ma non quella rivolta agli adulti -accendessero maggiormente alcune aree cerebrali della loro corteccia uditiva secondaria, un’area importante nell’elaborazione dell’interpretazione dei suoni. In questo modo è stato possibile dimostrare come fosse proprio l’intonazione che caratterizza la “voce infantile” a incuriosirli, eccitarli e a sollecitare il loro interesse fino a descrivere questo fenomeno a livello neuronale, proprio come si osserva nei neonati della nostra specie, suggerendoci dunque che questi ultimi processino e valutino la vocina infantile in maniera paragonabile a ciò che fanno i nostri amici a quattro zampe, un ulteriore esempio di come il cervello dei cani possa funzionare in maniera simile a quello degli infanti umani in alcune interazioni sociali.
Non solo, è emerso anche che nel momento in cui i cani ascoltavano una vocina infantile femminile, l’attivazione di queste aree era addirittura maggiore, suggerendo dunque come il cosiddetto baby talk o “maternese”, ovvero la voce infantile prodotta dalle donne, fosse uno stimolo vocale ancora più forte rispetto agli altri studiati. Insieme, questi risultati mostrano come effettivamente l’intonazione infantile della voce che gli umani utilizzano mentre interagiscono con i loro amici a quattro zampe non sia un esercizio unidirezionale che cade nel vuoto, ma al contrario viene distinto e recepito come stimolo acustico rilevante dei cani, perciò guai a dire che fare la vocina ai nostri cani non abbia senso!
Si può infatti anche supporre come questa interazione vocale faccia parte di un reale sistema di comunicazione che utilizziamo con i nostri amici a quattro zampe e, data la loro propensione a interessarsi spiccatamente alle nostre vocine infantili, ciò può giocare effettivamente un ruolo importante nel permettere interazioni sociali positive legate per esempio al rafforzamento dei nostri legami sociali con loro, dato che questo stesso schema di comunicazione con caratteristiche simili fin a livello cerebrale, lo ritroviamo nel contesto adulto-infante nella nostra specie e sappiamo quanto possa essere importante.
Resta infine da capire se questa predisposizione comportamentale dei cani sia emersa ex-novo durante il processo di domesticazione, oppure se si tratta di un meccanismo con un certo grado di plasticità che era già presente nell’antenato selvatico del cane e che potenzialmente ha giocato, assieme agli altri fattori coinvolti, un ruolo importante nell’instaurare le interazioni uomo-lupo con un ruolo potenzialmente positivo per innescare il processo di domesticazione stesso.