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6 Marzo 2023
16:26

I cani di Chernobyl sono una razza unica al mondo: le radiazioni hanno modificato il patrimonio genetico

Lo studio è stato condotto su circa 300 cani che vivono nei pressi del reattore teatro del disastro nel 1986. I risultati hanno dimostrato mutazioni genetiche legate alle radiazioni, e anche all'adattamento a un ambiente così estremo e ostile.

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È uno degli incidenti nucleari più gravi e tristemente noti della storia quello avvenuto a Chernobyl il 26 aprile 1986 e a distanza di quasi 37 anni esperti provenienti da ogni parte del mondo ne stanno ancora studiando le conseguenze. Uno degli ultimi studi pubblicati si è concentrato, in particolare, sui cani di Chernobyl, che a causa delle radiazioni cui sono stati sottoposti sono di fatto diventati una nuova razza geneticamente modificata, non soltanto a causa delle radiazioni ma anche per l’adattamento a condizioni di vita così estreme.

Lo studio è stato condotto su 302 cani che vivono all’interno della cosiddetta “zona di alienazione” di Chernobyl, in cui ancora oggi non è possibile trattenersi per un prolungato periodo di tempo per evitare di soffrire le conseguenze dell’esposizione alle radiazioni.

Si tratta dei discendenti degli animali che nel 1986 restarono nell’area contaminata, abbandonati (forzatamente o meno) dalla popolazione costretta a lasciare in fretta e furia le abitazioni e gli animali domestici a seguito del disastro. I cani sopravvissuti rimasero all’interno della zona di alienazione, di fatto “colonizzandola” e riproducendosi, creando tre popolazioni distinte sottoposte costantemente alle radiazioni.

Dalle informazioni in possesso degli studiosi, le attuali popolazioni discendono infatti dagli animali domestici lasciati da persone fuggite da città come Pripyat, che un tempo ospitava circa 50.000 persone. Dopo l'evacuazione, il Ministero degli affari interni ucraino aveva avviato l'abbattimento degli animali domestici abbandonati per prevenire la potenziale diffusione della contaminazione radioattiva ma alcuni cani riuscirono a fuggire e sono stati in seguito nutriti e accuditi dagli addetti alla pulizia di Chernobyl e, più recentemente, dai turisti.

Lo studio condotto con i volontari che si occupano dei cani

Il gruppo studiosi, avvalendosi della collaborazione dei volontari del Clear Futures Fund, che forniscono assistenza ai cani dell'area, ha dunque deciso di analizzare il dna degli animali per capire le conseguenze che le radiazioni hanno avuto sulla loro salute e sul loro patrimonio genetico.

La Chernobyl Dog Research Initiative è nata nel giugno 2017 in risposta a un sostanziale aumento delle dimensioni della popolazione di cani selvatici, che è stato stimato in oltre 800 individui. Dal 2017 al 2019, tre cliniche che forniscono assistenza veterinaria per cani in libertà all'interno e intorno alla zona di alienazione hanno avviato una raccolta di campioni di sangue, raccogliendo quelli degli esemplari che vivono in libertà a distanza crescente dal reattore.

I volontari hanno raccolto campioni di sangue di circa 300 cani liberi, mettendo a confronto il loro dna con quello di cani che vivono a maggiore distanza da ciò che resta della centrale nucleare e hanno riscontrato come i soggetti di Chernobyl siano geneticamente differenti da ogni altro cane al mondo e abbiano formato tre distinti gruppi che vivono isolati. Non solo: le popolazioni tendono a rimanere nei pressi della zona, senza uscirne e senza mescolarsi a quelle che vivono a qualche decina di chilometri di distanza dal reattore.

I cani di Chernobyl e la tendenza a creare branchi imparentati

Lo studio rappresenta quindi la prima analisi genetica di cani domestici colpiti da un disastro nucleare, e stabilisce che le popolazioni di cani semi-selvatici hanno probabilmente popolato il sito del disastro nucleare di Chernobyl in modo continuativo nei decenni successivi all'incidente. Alcuni cani vivono e si riproducono intorno ad aree altamente contaminate, come l'area di alienazione, costruita per contenere la radioattività del reattore danneggiato e le aree di stoccaggio del combustibile nucleare esaurito. I cani di Chernobyl hanno quindi un’immensa rilevanza scientifica per comprendere l'impatto delle dure condizioni ambientali sulla fauna selvatica e anche sugli esseri umani, in particolare gli effetti sulla salute genetica dell'esposizione a radiazioni a basso dosaggio a lungo termine.

Le analisi genetiche sono state eseguite su tre popolazioni che vivono a distanze variabili dal luogo del disastro: Slavutych (45 km), la città Chernobyl (15 km) e la stessa area di alienazione che comprende cani provenienti da località specifiche all'interno della zona, tra cui la stazione ferroviaria di Semikhody e Pripyat. Il progetto di studio mirava a individuare le differenze tra le popolazioni a livello genetico sulla base alla distanza approssimativa dal luogo del disastro. È emersa in modo evidente la differenziazione genetica delle popolazioni di cani della città di Chernobyl, della zona di alienazione e di Slavutych, con una commistione tra località geograficamente più vicine l'una all'altra (a meno di 5 km di distanza), tra cui Pripyat, la stazione ferroviaria di Semikhody e altre località all'interno della zona di alienazione. Una circostanza prevedibile, tenuto conto della mobilità dei cani liberi ma le analisi di parentela finalizzate a identificare relazioni di primo grado tra cani hanno rivelato che anche all'interno dell'area relativamente piccola più vicina al reattore esistono tre distinti gruppi familiari.

«Coerentemente con studi precedenti, i nostri risultati evidenziano la tendenza dei cani semi-selvatici, proprio come i loro antenati canidi selvatici, a formare branchi di individui imparentati – spiegano i ricercatori, coordinati dalla dottoressa Gabriella Spatola dell’Università del North Carolina – Tuttavia, i nostri risultati rivelano anche che all'interno di questa regione, piccoli gruppi familiari o branchi di cani in libertà coesistono in stretta vicinanza l'uno con l'altro, un fenomeno in contrasto con la natura generalmente territoriale del più vicino antenato del cane domestico, il lupo grigio. I cani in libertà nelle aree urbane tendono ad adattare la loro territorialità e il movimento quotidiano in risposta agli esseri umani nella regione; generalmente, il loro habitat è costituito da un piccolo nucleo dove dormono e da una zona cuscinetto dove cercano cibo. La combinazione dei comportamenti osservati nei cani di Chernobyl e delle loro complesse strutture familiari suggerisce che le popolazioni di cani di Chernobyl violano il presupposto dell'accoppiamento casuale che è inerente a molti modelli genetici di popolazione».

Una ricerca fondamentale per capire la resistenza in condizioni ostili

I dati raccolti hanno soltanto scalfito la superficie delle potenziali scoperte scientifiche legate ai cani di Chernobyl ed è per questo che il gruppo di studio ha in programma di tornare nella zona di alienazione a giugno, vista l’importanza che questi cani hanno per la ricerca scientifica con l’obiettivo di “mappare” il loro dna e condurre quanti più test possibile per capire come e quanto le radiazioni abbiamo prodotto mutazione genetiche. Per farlo sarà necessario confrontare il loro dna con quello delle razze più vicine a loro, visto che le popolazioni si sono sviluppate riproducendosi tra esemplari imparentati, circostanza che porta, necessariamente, a un impoverimento genetico.

«L'abbondanza di popolazioni selvatiche all'interno della zona di alienazione si è sostanzialmente ridotta in seguito all'incidente, e sebbene alcune specie sembrino essersi riprese, probabilmente a causa della mancanza di disturbo antropico, molte altre no – spiegano i ricercatori – Una delle maggiori preoccupazioni è che il continuo inquinamento ambientale, comprese le radiazioni e l'avvelenamento da metalli pesanti, possa aumentare o diminuire la diversità delle specie genetiche. Una maggiore diversità genetica attraverso tassi di mutazione elevati può essere più probabile in ambienti altamente mutagenetici, come quello di Chernobyl o altri luoghi radioattivi sulla Terra. A oggi, nessuno studio genetico sulla popolazione degli organismi di Chernobyl ha incluso mammiferi di grossa taglia come i cani. Pertanto, i mammiferi non umani nella zona sono molto poco studiati, nonostante il loro potenziale per offrire importanti informazioni sulla storia e la sopravvivenza della vita in questo ambiente ostile».

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Andrea Barsanti
Giornalista
Sono nata in Liguria nel 1984, da qualche anno vivo a Roma. Giornalista dal 2012, grazie a Kodami l'amore per gli animali è diventato un lavoro attraverso cui provo a fare la differenza. A ricordarmelo anche Supplì, il gatto con cui condivido la vita. Nel tempo libero tanti libri, qualche viaggio e una continua scoperta di ciò che mi circonda.
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