Uno studio condotto da un gruppo di scienziati della Penn's School of Veterinary Medicine di Filadelfia e che è stato pubblicato sulla rivista Prion ha appena dimostrato come alcuni esemplari addestrati di cani potrebbero seriamente contribuire nella lotta contro una pericolosa patologia, che sta colpendo diverse specie di cervidi in America: la malattia da deperimento cronico (CWD), che sta indebolendo molte popolazioni nel nord-est degli Stati Uniti e del Canada.
Per farlo i ricercatori hanno insegnato ai cani a identificare l'odore degli esemplari colpiti da CWD, in maniera tale che i veterinari potessero tramite le loro indicazioni ridurre il range del territorio su cui concentrarsi per poi catturare gli individui effetti. «Eravamo già abbastanza certi che i cani potessero rilevare i composti organici volatili rilasciati dalla malattia nelle feci – ha affermato Amritha Mallikarjun, che è l'autrice principale dello studio – Non solo però abbiamo dimostrato ancora una volta che ciò è possibile, ma abbiamo anche risposto a una seconda domanda più interessante: i cani possono rilevare la malattia in un ambiente di campo simulato?».
I cani utilizzati, infatti, sono riusciti a individuare tramite l'olfatto i soggetti colpiti dalla malattia anche al di fuori del contesto naturale, risultando molto utili anche nei test effettuati negli allevamenti di solito utilizzati per i progetti di ripopolamento oppure in contesti semi urbani. Ciò rende questa soluzione molto pratica per il monitoraggio della fauna selvatica colpita dal morbo rispetto ad altri sistemi più lenti.
Sfortunatamente però la CWD è una malattia non trattabile che colpisce un gran numero di specie. Oltre al cervo rosso (Cervus elaphus), tra le sue vittime si annoverano anche cervi dalla coda bianca (Odocoileus virginianus), cervi muli (Odocoileus hemionus) alci (Alces alces) e renne (Rangifer tarandus). Nella maggioranza dei casi fatale, dolorosa e altamente contagiosa, la malattia può celarsi in un animale infetto anche per due anni prima che si manifestino i sintomi. Per questa ragione, i veterinari necessitavano di disporre un metodo non molto invasivo che potesse aiutarli nell'identificare i capi affetti ed eventualmente ad abbatterli, prima che la malattia si diffonda ulteriromente.
«La sofferenza che provano questi animali sembra essere atroce ed è meglio intercettarli prima che si radunino per la stagione degli amori, in quanto un solo infetto potrebbe diffondere la malattia a decine di altri esemplari», dichiarano gli scienziati. Quali sono però i sintomi principali?
L'animale colpito dalla malattia perde peso e sviluppa parecchi segni neurologici, come difficoltà a camminare, urinare senza controllo e sbavare. Quando comincia a non essere molto lucido, smette anche praticamente di mangiare ed è per questa ragione che questa malattia è molto simile a un deperimento. Ed essendo di origine prionica (come la sindrome della mucca pazza), non esiste antibatterico o antivirus che possa lenire le sue sofferenze.
La CWD è presente in Pennsylvania dal 2012 e per quanto questo stato abbia tentato di tenere sotto controllo la sua diffusione tramite diversi strumenti, la malattia è uscita dai confini nazionali aprendosi una strada verso l'intera regione degli Appalachi e anche oltre. E la situazione non può che peggiorare, visto come è noto che i prioni restano al suolo anche per anni.
Con l'impiego però di cani addestrati a distinguere le feci degli animali positivi alla malattia, il lavoro delle agenzie statali, dei volontari, degli ambientalisti e dei proprietari terrieri verrebbe semplificato, con un grande beneficio per le stesse popolazioni naturali e per quelle d'allevamento che si vedrebbero così tutelate dal propagarsi della malattia all'interno delle mandrie.
Le razze di cani finora utilizzate a questo scopo sono principalmente due: il Labrador Retriever e lo Spitz Finnico. Entrambe si sono dimostrate abili in questo compito e hanno risposto con grande specificità, rilevando la presenza di eventuali feci appartenute a esemplari malati il 90-95% delle volte, a secondo del livello di addestramento. All'inizio però la loro capacità era molto ridotta, allertando solo il 40% dei campioni positivi. Questo induce gli scienziati a credere che l'unica discriminante di questo metodo è il tempo. I cani necessitano infatti di molto tempo per imparare le differenze olfattive fra capi sani e capi malati, ma bisogna anche dire che gli esemplari finora utilizzati non erano stati educati a questo ruolo sin da piccoli.
«Dato il tempo impiegato per addestrare questi cani, per non parlare del fatto che nel nostro studio abbiamo trattato principalmente cani da compagnia e cani da ricerca non addestrati, i nostri risultati sono promettenti – ha affermato Mallikarjun – Mentre andiamo avanti e lavoriamo in questa seconda fase del progetto con cani specificamente addestrati, a partire da quando erano cuccioli, scommetto che i prossimi risultati saranno ancora migliori».
Ovviamente, il team della Penn's School of Veterinary Medicine sta anche collaborando con altri gruppi di studi ed effettuando altri progetti con i cani da rilevamento. Anche perché i cervi non sono gli unici animali sofferenti nel paese e questo metodo potrebbe essere esportato con una certa facilità in tutto il globo, all'occorrenza. «Se siamo in grado di attingere a ciò che abbiamo imparato con la malattia da deperimento cronico e applicarlo ad altri problemi in agricoltura e conservazione, l'utilizzo dei cani potrebbe divenire in breve tempo una risorsa importante, come già è accaduto negli aeroporti (cani antidroga ndr) e nelle squadre di pronto soccorso», chiarisce Cynthia Otto, autrice senior dello studio e direttrice del Working Dog Center, l'ente dell'università di Filadelfia che si è specializzato negli studi cinefili.