Partiamo dal presupposto che il concetto di maternità e paternità associato a due specie diverse, così come noi umani a volte lo estremizziamo, è forzato e fuori luogo. Possiamo però serenamente affermare che per il cane di famiglia in particolare, animale sociale come noi e con cui conviviamo e ci siamo co evoluti da almeno 30-40 mila anni, esiste un legame di attaccamento cosiddetto "secondario" che può essere parificato a un rapporto genitore-figlio che si manifesta nella relazione che ha con la persona di riferimento.
A dirlo è la scienza: negli ultimi vent'anni finalmente sono stati fatti molti studi sul canis familiaris che ci aiutano sempre di più a conoscere il "miglior amico dell'uomo". Uno recente, in particolare, ha indagato proprio questo aspetto, ovvero se i cani ci vedono come genitori, ed è stato pubblicato sulla rivista Animals-Mdpi. Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori del dipartimento di scienze veterinarie dell'Università di Pisa e su Kodami abbiamo intervistato una delle autrici, Chiara Mariti, che ci ha spiegato che: «Il modello di attaccamento che i cani sviluppano verso la persona di riferimento è come quello dei bimbi verso i genitori o “prestatori di cura”, i cosiddetti caregiver». Non è la prima volta che questo dato emerge, «ma è la prima volta che siamo riusciti a declinare più precisamente i vari generi di legame sottoponendo i cani a test molto simili a quelli usati per gli umani».
Alla domanda se i cani ci vedono come genitori o no, dunque, riteniamo però che bisogna affrontare il tema andando a toccare sia la radice culturale del nostro rapporto con il nostro compagno canino che quella etologica nell'ambito dello sviluppo ontogenico del cane. Ciò va fatto in modo tale da cercare di uscire subito da una sterile polemica e non dimenticare che spesso noi attribuiamo a loro il ruolo sostitutivo di un figlio (o anche di un partner) in una relazione di dipendenza che tocca anche la sfera affettiva. I cani con noi invece creano un legame, appunto, più naturale di attaccamento che prevede nella fase iniziale ("attaccamento primario") il rapporto con la madre naturale e in quella dell'adozione il trasferimento della referenza su un soggetto umano ("attaccamento secondario") che, come un "buon padre di famiglia" o "un genitore sufficientemente buono" come diceva lo psicologo Donald Winnicott nel secolo scorso, dovrebbe essere un punto di riferimento autorevole e non solo un prestatore dei bisogni primari come cibo, cure base… "vitto e alloggio" per semplificare le cose.
I cani ci vedono come genitori o come "padroni"?
In un articolo su Kodami intitolato "Non sono la mamma del mio cane" ho provato a spiegare il modo in cui sarebbe corretto mettere in atto il nostro senso di accudimento nei confronti del cane, specificando che quando diventa l'estremizzazione delle nostre mancanze in altre relazioni con gli esseri umani non ha senso definirci appunto "madri o padri" dei nostri compagni canini. Tante persone, purtroppo, scelgono di vivere con un animale domestico per compensare ciò che non riescono ad ottenere nei rapporti intraspeficici, andando così ad oggettivare il cane sul quale viene scaricato un eccesso di cura e protezione che lede la sua dignità in quanto essere senziente. Per fare un esempio proprio banale: quanti cani di piccola taglia vediamo in giro portati dentro la borsetta come se non sapessero camminare? Ecco, facciamo allora uno sforzo di immaginazione ma con dati scientifici alla mano possiamo insieme ribaltare appunto la prospettiva e chiederci non più come noi vediamo loro o come noi ci sentiamo nei loro confronti, ma come i cani ci vedono.
Un cane, a nostra differenza, non ci chiede di diventare quello che non siamo e non lo fa perché dal suo punto di vista non esiste altro che considerarci e volerci come un punto di riferimento. Sta poi a noi esserlo o meno e dal nostro comportamento deriverà anche lo stile di attaccamento che quel soggetto avrà nell'arco della sua vita nei nostri confronti. Ciò, come sottolineato, accade nel rapporto tra genitori e figli umani e dunque, se abbiamo proprio bisogno di dare un nome a questo ruolo che ci attribuiscono, allora è sicuramente preferibile quello di "genitore" rispetto a "padrone".
E non è una questione di opinioni ma è appunto la ricerca scientifica che ci ha fatto scoprire cosa i nostri amici a quattro zampe pensano di noi. Già nell'articolo citato emerge questo dato: come accade per i "cuccioli d'uomo", la maggioranza dei cani testati ha infatti mostrato di avere nei confronti del proprio pet mate una forma di "attaccamento sicuro", ovvero di provare uno stress gestibile se sottoposto a una separazione dal suo compagno umano in un ambiente sconosciuto per poi tranquillizzarsi appena lo rivede. Nel range di soggetti studiati sono emersi anche profili con "attaccamenti insicuri” e “insicuri evitanti”.
E invece cosa dice l'attuale studio dell'etologia canina se abbiamo con loro, appunto, un atteggiamento da "padroni"? Che il rapporto non è basato sulla fiducia e l'affetto, ma tendenzialmente su una condizione di dipendenza dettata principalmente dalla sopravvivenza, come ha spiegato Luca Spennacchio, istruttore cinofilo e membro del nostro comitato scientifico su Kodami: «Alle volte, se non nella maggior parte dei casi, ciò che dovremmo considerare è il grado di dipendenza forzata nel quale vivono i cani. Di fatto non hanno molta scelta e, alcuni, alla fin fine trovano il modo di adattarsi nonostante tutto.
Come ci vedono i cani
I cani ci osservano e ci giudicano pure e fin quando continueremo a pensare che il concetto di "dominanza" significa interagire con loro non attraverso l'autorevolezza, e dunque l'accreditamento, ma l'autoritarismo accanto avremo un soggetto che nei nostri confronti, al massimo, come unico sentimento proverà paura.
Come ha scritto l'istruttore cinofilo David Morettini su Kodami: «La leadership è una condizione che si ottiene, nella relazione con gli altri, attraverso una miscela d'ingredienti: calma, controllo delle emozioni, coraggio, coerenza, fermezza nelle decisioni, mediazione nelle relazioni sociali, flessibilità. Non una ricetta dunque, ma un insieme di comportamenti da equilibrare insieme al cane che ci vive accanto ogni giorno».
Un cane, insomma, non ha bisogno di un "padrone" ma di un compagno affidabile che può essere appunto sostitutivo della mamma che lo ha generato, a patto che però si comprenda che siamo nell'ambito di una relazione interspecifica necessariamente diversa tra quella che ci può essere tra cane e cane e essere umano ed essere umano. Dunque il modo in cui Fido ci vede dipenderà tantissimo dalla sua personalità sicuramente, dalla sua vita pregressa (nel caso di un cucciolo come ha vissuto le prime fasi di vita con madre e fratelli) e dal contesto in cui vive.
Il tutto, poi, a patto che la sua persona di riferimento abbia competenze adeguate a quello che per un cane di famiglia (il "pet" per capirci) è comunque un adattamento rispetto al suo simile che vive in libertà: ovvero l'adeguarsi gioco forza allo stile di vita della persona o della famiglia di cui fa parte.