I topi e i ratti non sono animali molto amati, anzi diciamo che la maggior parte delle persone nutre un vero e proprio disprezzo nei loro confronti, tanto da volerli far sparire senza troppo preoccuparsi se il modo per arrivare al risultato sia cruento o meno. E sembra essere proprio questo anche l’obiettivo della Nuova Zelanda, che intende liberarsi di tutti quelli presenti sul suo territorio entro il 2050.
Sul perché la Nuova Zelanda abbia deciso di fare la guerra ai ratti non ci sono grossi dubbi: il motivo è uno solo e cioè tutelare le specie autoctone e originarie dell'isola che ora sono messe serio in pericolo dai numerosi roditori. Guardando alla storia, l’isola prima dell’arrivo di umani e roditori, era un’esplosione di biodiversità, ma una volta arrivati ratti e topi sono subito diventati animali infestanti, che hanno preso di mira le uova e gli uccelli che nidificano a terra e si sono moltiplicati a non finire. La loro colonizzazione dell’isola, secondo il Governo, avrebbe spazzato via quasi un terzo delle specie autoctone, tra cui anche i piccoli kiwi, uccelli simbolo della nazione che non volano e depongono le uova a terra.
La certezza della responsabilità di questi roditori, racconta la Bbc, l'ha fornita l'avvento della tecnologia moderna, nello specifico delle telecamere a infrarossi che a partire dagli anni 2000 hanno mostrato le razzie fatte dai ratti di notte. Per questo l’isola ha deciso di dare vita al progetto Predator-Free 2050, un piano molto ambizioso il cui obiettivo è, per dirla semplicemente, eliminare tutti i roditori e le altre specie alloctone che sono arrivate secoli fa sull’isola, salvando così gli uccelli di terra dai loro nuovi predatori. Nato come movimento locale, ha conquistato man mano talmente tanti consensi da arrivare alla fine a ottenere l’appoggio del governo. Il concetto è chiaro: la fauna originaria va protetta e ripristinata, e gli animali invasori dovranno sparire.
Insomma, l’idea di dare la caccia ai topi è un'obiettivo importante per la Nuova Zelanda, tanto che a novembre scorso una scuola di Halfmoon Bay, località di Stewart Island, remota isola all’estremità meridionale del paese dove i topi regnano sovrani, aveva lanciato una gara tra bambini che li avrebbe visto protagonisti di una caccia al topo senza limiti attraverso la sistemazione di trappole, che produsse un bottino da record: circa 600 roditori uccisi nel giro di cento giorni da alunni di al massimo dieci undici anni.
Diciamo che sull'impatto negativo delle specie invasive non ci sono dubbi, tuttavia le opinioni si dividono sempre tra chi vuole spazzare via popolazioni intere di animali e chi, per mitigarne gli effetti dannosi cerca modelli di gestione alternative e meno cruenti. Perché, data per certo l’importanza di preservare la biodiversità e gli equilibri degli ecosistemi, tuttavia l’uccisione o l'eliminazione indiscriminata di intere specie alloctone, soprattutto se comporta sofferenza o violenza gratuita verso gli animali, non trova troppo consenso tra coloro che rispettano tutti gli animali, anche quelli invasivi per colpa dell'uomo.
Vengono talvolta, e dove possibile, preferite soluzioni che tengano conto del benessere degli individui coinvolti, visto che oltretutto queste specie sono state introdotte dall'uomo e che le cause dei problemi ambientali non possono certamente essere attribuite esclusivamente agli animali stessi, ma esclusivamente alle attività umane.