Non sono colpevoli. Questo il verdetto della Cassazione che ha annullato la sentenza della Corte d’Appello per un veterinario e tre ex dipendenti dell’allevamento Green Hill di Montichiari (Brescia), dove fino al 2012 vennero allevati Beagle destinati alla vivisezione. Si tratta degli effetti di un filone del processo che aveva accusato oltre a loro anche un altro medico, la cui posizione però venne stralciata nel 2018.
In quell’anno il gip del tribunale di Brescia assolse sia i due veterinari (che vennero accusati a vario titolo di maltrattamenti, uccisione, omessa denuncia e falso in atto pubblico) sia i tre dipendenti accusati di falsa testimonianza. Ma nel 2018 il verdetto cambiò proprio con la sentenza d’appello: la posizione di solo uno dei due veterinari fu cancellata e l’altro fu condannato a tre anni. I tre ex dipendenti, invece, vennero condannati a un anno e quattro mesi.
La vicenda di Green Hill ormai da nove anni è nelle pagine della storia degli animalisti italiani. Nel luglio 2013 venne approvata dalla Camera, in via definitiva, la legge che recepiva la norma europea per restringere la vivisezione, vietando in particolare in tutta Italia l’allevamento di cani, gatti e primati non umani destinati alla sperimentazione. Questa disposizione permise la chiusura definitiva dell’allevamento. Ma questa storia iniziò da una denuncia e da un sequestro.
Il blitz e il sequestro di 9 anni fa
A luglio 2012 il Corpo forestale dello Stato e gli agenti della Digos sequestrarono l’azienda di Montichiari, attiva dalla metà degli anni Ottanta, sulla base di un esposto che partì da Legambiente. Nella struttura venivano allevati circa 2500 cani destinati alla sperimentazione. Nel decreto di sequestro il pm ipotizzò l’uso non solo a fini scientifici ma anche per ricerche legate alla cosmesi, non in linea con quanto previsto dalla legge. Questo venne immediatamente rigettato dall’azienda che definì l’accusa infondata. Nel decreto di sequestro si puntò il dito anche sulle condizioni di custodia dei Beagle: gli animali, infatti, venivano tenuti in gabbie e non liberi.
Molte le proteste davanti all’allevamento nei giorni e nei mesi prima del sequestro, diverse delle quali vennero realizzate in diverse città. Tra queste iniziative, anche il blitz che fu fatto il 28 aprile 2012 e che portò alla liberazione di diversi cani. Quell'episodio causò 12 arresti (poi revocati dal riesame) e un filone processuale che nel 2020 arrivò in Corte d’Appello di Brescia con l'assoluzione di tutti. Quel 28 aprile tra i Beagle liberati ci fu anche Vita, una cucciola (morta nel 2019) che divenne il simbolo della lotta animalista: la sua immagine mentre veniva passata di mano tra il filo spinato fece il giro del mondo.
All’epoca la vicenda di Green Hill suscitò particolarmente clamore, tanto che intervenne anche l’attrice francese Brigitte Bardot, profonda animalista. «Non abbiamo il diritto di abbandonare migliaia di cani all’inferno, povere cavie sacrificate per una scienza senza coscienza», disse.
Il procedimento penale principale, invece, si concluse nel 2017 con la conferma da parte della Cassazione della condanna a un anno e sei mesi per il veterinario e il co-gestore della struttura e a un anno per il direttore dell’allevamento. I reati che erano stati contestati erano quelli di maltrattamento e uccisione di animali. Stando al verdetto 10163, i cani venivano sottoposti a comportamenti «insopportabili» per le loro caratteristiche etologiche e ad eutanasie per «patologie modeste». I Beagle, secondo gli Ermellini, erano stati privati dei loro «pattern comportamentali» e venivano sottoposti ad alcune pratiche come la tatuatura con aghi o il sanguinamento delle unghie che venivano tagliate fino alla base.