Alla siccità che in questi mesi sta mettendo in ginocchio l’Italia, minacciando interi ecosistemi, si aggiunge un altro problema di altrettanto complessa risoluzione: quello della presenza di specie esotiche e invasive. È quanto sta succedendo nella laguna di Caorle, in Veneto, dove i pescatori hanno lasciato l’allarme per la presenza di due specie in particolare: le noci di mare, originarie dell’Atlantico, e i granchi blu reali o granchi azzurri, anche questa una specie autoctona delle coste atlantiche.
Entrambe le specie causano gravi danni agli ecosistemi che invadono. Il granchio blu, che ormai da diversi anni è stato avvistato nel Mediterraneo, rappresenta una minaccia per le specie autoctone perché è onnivoro e anche molto invasivo: si nutre di tutto ciò che riesce a catturare, dalle vongole alle cozze ai piccoli pesci passando per le piante acquatiche. Le sue grandi chele, inoltre, distruggono le reti da pesca, con pesanti ripercussioni anche sul comparto.
Le noci di mare (Mnemiopsis leidyi) appartengono invece alla famiglia degli ctenofori, sono piccoli predatori dal corpo trasparente che assomigliano a meduse, ma privi di cellule urticanti. Non rappresentano un pericolo per l’uomo, ma sono un vero e proprio flagello per le acque che colonizzano. Sono infatti predatori voraci che si nutrono di zooplancton e inghiottono prede fino ai 10 mm di dimensione, «cosa che lo rende potenzialmente molto pericoloso – sottolinea il museo di Storia Naturale di Venezia, che da anni ne studia il comportamento – in particolare durante i bloom invasivi, per la capacità di impattare anche pesantemente sulla consistenza delle fasi larvali di molte specie ittiche».
Le noci di mare insomma si nutrono delle larve di molti pesci autoctoni, limitandone la riproduzione e la proliferazione. Sono capaci di sopportare variazioni termiche comprese fra 6 e 31 gradi, e una salinità fra il 3% e il 38%, il che significa che possono colonizzare sia ambienti oceanici sia quelli costieri e di laguna. È una specie ermafrodita, ed è in grado di autofecondarsi, così come le stesse larve possono divenire fertili e riproduttive. Gli adulti possono produrre fino a 8.000 uova durante la fase riproduttiva.
Sempre il museo di Storia Naturale di Venezia spiega che la specie era originariamente diffusa lungo le coste Atlantiche delle Americhe, e che è giunta probabilmente con le acque di zavorra di navi da carico in Mar Nero verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso, «dove si è diffuso a livello invasivo creando una notevole flessione di numerose specie ittiche di interesse alieutico. Si è successivamente espansa nel mare di Azov, nel Mar Caspio e nel Mediterraneo nord orientale, Mar Egeo e coste turche. Nei primi anni del 2000 è comparsa nel Mar Baltico, mentre alcuni esemplari sono stati avvistati nel 2005 a Pirano al largo delle coste croate del golfo di Venezia e nell’estate del 2009 nel Tirreno, nello Ionio e lungo le coste liguri. Fra la fine di luglio e l’inizio di agosto del 2016 numerosi esemplari di questa specie sono comparsi lungo le coste del Veneziano, sia in prossimità delle spiagge che al largo, entrando con la marea anche nelle aree più vivificate della laguna fino ai canali principali della città».
Entrambe le specie sono quindi arrivate nel Mediterraneo attraverso le navi cargo, che le hanno trasportate consentendo loro di raggiungere zone molto distanti dai loro habitat naturali. E le soluzioni per eradicarle e ripristinare l’equilibrio non sono molte: in Veneto i pescatori hanno chiesto la possibilità di incrementare la pesca del granchio blu e agevolarne la vendita, mentre per le noci di mare la situazione è più complessa. A comprometterne la sopravvivenza sono infatti le temperature del mare (con l’acqua vicina ai 3 gradi non proliferano), eventualità cui si contrappongono i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale. Hanno però un predatore naturale (contrariamente ai granchi blu), che è lo ctenoforo autoctono Beroe ovata.