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18 Marzo 2024
15:25

Granchi, aragoste, seppie, vongole e pesci provano dolore?

A granchi, aragoste, pesci e altre specie acquatiche non mammifere riserviamo un trattamento particolarmente crudele e poco attento al benessere. Ma quanto soffrono questi animali?

Membro del comitato scientifico di Kodami
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È incontestabile che alle specie acquatiche non mammifere riserviamo un trattamento particolarmente crudele e poco attento al benessere degli animali rispetto ad altre specie.

Le cause sono probabilmente molteplici, ma senza dubbio una di queste è l'evidenza, ben documentata [1], che gli investimenti nella ricerca applicata al benessere animale e alla conservazione sono influenzati anche dal grado di carisma e di simpatia che alcune specie animali provocano rispetto ad altre. Gli allevamenti intensivi per il consumo alimentare o per la produzione di pellicce, ad esempio, suscitano più attivismo di tutta l'industria della pesca.

Gli studi per capire il comportamento dei pesci, e tutto ciò che comporta come l'interazione con l'ambiente circostante, non sono così abbondanti come tra le altre specie terrestri e marine e rappresentano una colossale “patata bollente” tra gli organismi ufficiali che lavorano per la protezione e il benessere degli animali.

Ma ci sono ancora molti dubbi rispetto alla capacità di questi animali di sperimentare dolore. Jeremy Bentham, nel suo testo ottocentesco "Introduzione ai princìpi della morale e della legislazione" scriveva: “La domanda non è: possono ragionare? Né possono parlare? Ma possono soffrire?".

I pesci provano dolore?

Affermare che i pesci non provano dolore per la semplicità della loro struttura cerebrale, come è stato suggerito a volte, è un chiaro esempio di antropomorfizzazione del modo in cui gli altri animali con cui condividiamo il pianeta sperimentano la loro realtà.

Citando una interessante analogia riportata nello studio “I pesci sentono dolore?” [2] condotto da Kenneth Williford e collaboratori dell'Università del Texas: «Sarebbe come concludere che è impossibile che sappiano nuotare perché non hanno gambe e braccia come noi».

Esistono numerose prove che dimostrano che i pesci, come tutti gli altri vertebrati, hanno una percezione abbastanza complessa tale da provare dolore e sofferenza. Detto questo, è fuorviante che non esista un'applicazione internazionale unanime e tassativa che regoli come gestire queste specie destinate al nostro consumo nel processo della loro macellazione in alto mare, dove la maggior parte muore per asfissia o schiacciamento crudele e prolungata.

I cefalopodi soffrono?

Oltre ai pesci, altri animali come i molluschi cefalopodi, con i polpi in testa al loro gruppo, hanno suscitato l'interesse dei neuroscienziati su come sperimentano il dolore.

Nel 2021, la neurobiologa Roby Crook e il suo team della San Francisco State University, sono stati in grado di dimostrare che i polpi non solo provano dolore fisico di fronte a un'aggressione, ma anche emotivo [3]. Una sensazione che è stata a lungo considerata legata alla presenza di neocorteccia, e quindi applicabile solo ai mammiferi, in particolare primati e umani.

Questi affascinanti abitanti del mare sono gli invertebrati più complessi neurologicamente parlando, rivaleggiando, e superando anche, molti dei vertebrati che riteniamo intelligenti. Sappiamo che utilizzano strumenti, che socialmente creano partnership interspecifiche di cooperazione con alcuni pesci, e in uno studio pubblicato sulla rivista iScience [4] Sembra persino che questi molluschi a tre cuori sperimentino qualcosa di simile a un sogno durante il loro riposo.

Nel 2021, un altro studio ha rivelato che le seppie possono superare il "test della caramella" [5], noto anche come "esperimento del marshmallow", inventato dallo psicologo Walter Mischel. Questo test, apparentemente semplice e progettato per i bambini, consiste nel convincere il soggetto che se ritarda il consumo di un dolciume, ne riceverà due o una gratificazione ancora maggiore.

Il dolore nei bivalvi

Molluschi bivalvi come cozze, vongole, cannolicchi e ostriche sono altri protagonisti di questo dibattito in cui ci si chiede se sono in grado di sperimentare ciò che definiamo dolore.

Questi animali presentano un notevole vantaggio per la loro sopravvivenza: una reazione, sia essa innata o appresa dall'esperienza, che impedisce agli animali di mettersi in pericolo e di subire lesioni potenzialmente mortali. Sappiamo infatti che questi animali reagiscono a stimoli nocivi che danneggiano i loro tessuti (ciò che conosciamo come nocicezione [6]) di solito con un ritiro immediato dalla fonte di tale aggressione.

Nonostante questi animali possiedono un sistema nervoso semplice, davanti a queste evidenze i neurobiologi preferiscono procedere con cautela nelle conclusioni dell’assenza di dolore.

Il dolore nei crostacei

Esistono studi promettenti [7], come quello sul granchio di mare comune (Carcinus maenas), in cui i ricercatori hanno osservato che la reazione agli stimoli dolorosi non può essere interpretata semplicemente come un riflesso neurale, poiché si osservano cambiamenti fisiologici e uno stato simile allo stress durante lo sfregamento della zona danneggiata.

Risultati molto simili si ottengono con i gamberetti [8], che rispondono anche accarezzando le loro zone danneggiate e proteggendole contro la parete della vasca dell'acqua negli studi sperimentali.

La controversia legata al dolore provato da questi animali e la crescente tendenza sociale che richiede misure più forti e preventive per il benessere degli animali, ha portato numerosi paesi a introdurre il divieto di cucinare aragoste e granchi vivi gettandoli nell'acqua bollente e il divieto di conservazione su ghiaccio durante il trasporto, la vendita e l’attesa in cucina. Devono invece essere mantenuti in un ambiente acquatico corrispondente al loro elemento naturale.

La sofferenza degli animali destinati agli acquari

Per ultimo, ma non per ordine di importanza, ci chiediamo anche quanto sappiamo della sofferenza, dello stress o delle abilità cognitive nei pesci destinati all'acquario moderno. Tra gli ultimi studi condotti su alcune delle specie presenti negli acquari, i pesci pulitori [9] hanno superato il test dello specchio, il che suggerisce, né più né meno, che godono di autocoscienza. È stato anche dimostrato che altre specie attraversano diversi stati emotivi, tra cui la depressione [10]. I ciclidi [11] hanno personalità individuali e praticano giochi sociali con altri ciclidi. I guppy [12] stabiliscono legami sociali che potremmo interpretare come amicizia con altri esemplari condividendo esperienze comuni.

A che punto siamo con la protezione animale

Occorre risalire al 2018, quando un'organizzazione animalista, Essere Animali [13], ha effettuato una ricerca nell'industria dell'acquacoltura e dell'allevamento ittico per documentare e denunciare le pratiche di crudeltà sugli animali nei confronti delle spigole, orate e trote destinate al consumo umano nel nord Italia.

Fortunatamente, è anche necessario sottolineare che la Commissione europea comincia a mostrare una certa comprensione della necessità di analizzare e legiferare di fronte ai metodi ammessi negli allevamenti continentali per introdurre determinati requisiti di protezione dei pesci durante la macellazione [14].

Dopo aver esaminato in questa pubblicazione l'attuale situazione relativa la questione se i pesci, i molluschi e i crostacei destinati al consumo umano e a fini ornamentali provino dolore e meritino maggiore considerazione nei loro trattamenti durante le attività umane di sfruttamento degli stessi, possiamo affermare che è imperativo che si continui a studiare, al di là degli interessi economici, il grado di consapevolezza di queste specie e della loro capacità di sperimentare dolore, per contribuire alla nostra comprensione della loro sensibilità e agire di conseguenza. D’altra parte è necessario che la popolazione umana si faccia consapevole del “sentire”, in questo caso il dolore e la sofferenza, delle altre specie animali, allontanandoci da una prospettiva umana e riduzionista.

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Laura Arena
Veterinaria esperta in benessere animale
Sono un medico veterinario esperto in comportamento animale, mi occupo principalmente di gestione del randagismo e delle colonie feline, benessere animale e maltrattamento animale con approccio forense. Attualmente lavoro in Italia, Spagna e Serbia.
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