Il sole è alto sulle foreste della riserva del Niassa, nel Nord del Mozambico, quando a un certo punto un cacciatore di miele del popolo Yao emette un forte trillo seguito da una specie di grugnito: «brrr-hm». Improvvisamente, un uccello dal colore olivastro sbuca dalla volta verde, risponde con un forte richiamo e inizia a volare di albero in albero seguito dai cacciatori. Di colpo, si ferma su un ramo attendendo con pazienza e gli uomini iniziano a ispezionare con particolare attenzione tutti i fusti degli alberi.
Trovano così una colonia di api nascosta in una cavità e, armati di fuoco, fumo e machete, la stanano per raccogliere il dolce prodotto degli insetti. L'uccello lascia fare a loro il lavoro sporco perché sa che, una volta terminata la raccolta, riceverà in cambio una cospicua porzione della tanto desiderata cera d'api. Quell'uccello brunastro si chiama indicatore maggiore ed è il protagonista di una delle più straordinarie e durature relazioni interspecifiche che siano mai state instaurate tra una specie selvatica e gli esseri umani.
L'uccello che indicava la via del miele
Gli indicatori maggiori (Indicator indicator) – conosciuti anche come uccelli del miele – sono imparentati coi picchi e vivono su una vasta area dell'Africa sub-sahariana. Mangiano solitamente insetti e altri piccoli invertebrati e, come i cuculi, depongono le uova nei nidi di altri uccelli. Quando nascono, i piccoli sono dotati di un particolare uncino sul becco che utilizzano in maniera macabra sia per rompere le uova che ospitano i "fratellastri" sia per uccidere in maniera brutale e mentre sono ancora ciechi e senza piume tutti gli altri piccoli già nati nel nido.
Gli uccelli del miele sono però famosi soprattutto per un'altra abitudine, quella di guidare deliberatamente verso le colonie di api i cacciatori di miele africani, da cui ricevono in cambio la possibilità di banchettare con le larve e la cera, alimenti del tutto fuori dalla portata dei oro becchi. Questa simbiosi di tipo mutualistico, vantaggiosa per entrambe le parti, dura da migliaia e migliaia di anni ma fu solo negli anni 80 che venne descritta in maniera dettagliata per la prima volta, grazie agli studi del naturalista keniota Hussein Adan Isack.
Una simbiosi mutualistica nata all'alba dei tempi
Segnalazioni di questo comportamento tanto sbalorditivo ebbero però una certa attenzione mediatica già nel 1588. Il missionario portoghese João dos Santos si trovava in quello che oggi è il Mozambico dove osservò un piccolo uccello marrone che aveva l'abitudine di entrare nella sua chiesa per becchettare le candele in cera. Nei suoi scritti, il missionario descrisse anche un'altra curiosa abitudine che aveva quell'uccello: conduceva gli uomini verso i nidi delle api, richiamandoli e attirando la loro attenzione volando da un albero all'altro. Una volta arrivati al nido, gli uomini raccoglievano il miele e l'uccello attendeva pazientemente per nutrirsi della cera d'api lasciata dai raccoglitori.
Il sodalizio indicatori-cacciatori di miele è una delle pochissime relazioni interspecifiche del tutto spontanee che siano mai state instaurate tra umani e selvatici liberi. Alcuni ritengono che la co-evoluzione tra indicatori e umani possa essere addirittura iniziata già con i primi rappresentati africani del genere Homo quasi 2 milioni di anni fa. E nel corso di tutto questo tempo, gli uccelli hanno sviluppato richiami, movimenti e posture specifici utilizzati appositamente per indicare la via ai cacciatori, che grazie all'aiuto degli indicatori rendono incredibilmente più efficiente e fruttuosa la raccolta del miele.
Una collaborazione incredibilmente vantaggiosa
Uno studio del 2014 condotto a Nord della Tanzania ha permesso di calcolare che, grazie alle indicazioni degli uccelli, il tasso di ricerca dei cacciatori-raccoglitori del popolo Hadza aumenta addirittura del 560%, portando a una resa significativamente più alta rispetto alle ricerche effettuate senza l'aiuto degli uccelli. I ricercatori hanno anche stimato che ben l'8-10% della dieta complessiva degli Hadza è esclusivamente frutto del lavoro degli indicatori maggiori. Gli uccelli contribuiscono quindi in maniera sostanziale al sostentamento alimentare di questi popoli.
Il mutualismo tra cacciatori e indicatori va però ben oltre la reciproca collaborazione, perché rappresenta anche un rarissimo caso di comunicazione vocale interspecifica e bidirezionale tra umani e selvatici. Gli uccelli non si limitano solamente a guidare gli uomini – come creduto fino a non molto tempo fa – ma sono in grado di comprendere e attribuire un significato specifico ai richiami degli umani finalizzati alla cooperazione. Gli indicatori rispondono infatti in maniera mirata alla "chiamata di caccia", che viene inoltre tramandata di generazione in generazione dai cacciatori di miele.
Un raro caso di comunicazione bidirezionale tra umani e selvatici
Uno studio del 2016 coordinato da Claire Spottiswoode – biologa evoluzionista dell'Università di Cambridge e dell'Università di Cape Town – ha dimostrato che i caratteristici richiami «brrr-hm» dei cacciatori Yao del Mozambico aumentavano la probabilità di ricevere aiuto dagli uccelli dal 33 al 66%, se paragonati ad altri versi e vocalizzazioni usati come confronto. Spottiswoode e colleghi hanno inoltre dimostrato che in seguito alla richiesta d'aiuto, le probabilità dei cacciatori di trovare una colonia di api e il miele aumentava tra il 17 e il 54%.
Questo esempio unico di comunicazione e collaborazione tra umani e animali non è il risultato di particolari forme di addestramento o coercizione ma il frutto di una relazione del tutto spontanea che coinvolge animali selvatici liberi e che con tutta probabilità si è evoluta attraverso la selezione naturale nel corso di centinaia di migliaia di anni. Escludendo i domestici, è davvero difficile riuscire a trovare qualcosa di vagamente simile in tutto il regno animale, soprattutto se si escludono specie altamente sociali come i cetacei.
Una relazione unica che rischia di sparire
Soprattutto in passato una relazione paragonabile a quella con gli uccelli indicatori si era instaurata anche tra i cacciatori di balene e un gruppo di orche che viveva nei pressi del porto di Eden, in Australia. I cetacei collaboravano coi balenieri aiutandoli a catturare le balene, ricevendo così in cambio una parte del bottino. Allo stesso modo è noto già dai tempi di Plinio il Vecchio che alcuni delfini aiutano i pescatori spingendo verso le reti i banchi di pesce. Si tratta però di casi estremamente localizzati e frutto soprattutto delle straordinaria abilità cognitive e sociali dei mammiferi marini.
Relazioni così antiche e profonde come quelle che si sono sviluppate tra gli indicatori e i popoli africani – e che si avvalgono tra l'altro di richiami specifici e compresi da entrambe le parti – sono invece del tutto eccezionali sul nostro Pianeta. Resta, tra l'altro, ancora tantissimo da scoprire su questo rapporto, come per esempio in che modo i giovani uccelli imparano a riconoscere i richiami umani, che variano culturalmente da regione a regione dell'Africa. Bisogna però fare presto, questa collaborazione tanto unica e rara è già svanita in molte zone dell'Africa e resiste solamente in quei posti davvero selvaggi come Niassa che solo il Continente Nero riesce a conservare.