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21 Luglio 2023
12:34

Gli scienziati hanno trovato un nuovo metodo “puzzolente” per studiare i giaguari

Un metodo alternativo che usa la cacca per studiare la biologia e la presenza degli animali selvatici in natura sta aiutando gli zoologi ha conoscere meglio i giaguari del Belize, una delle popolazioni più numerose di felini delle Americhe.

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È davvero molto difficile seguire gli animali selvatici all'interno delle foreste tropicali o equatoriali, visto che di solito la vegetazione copre buona parte del territorio e la maggior parte delle specie sono spesso schive ed elusive. All'interno delle foreste centromeridionali del continente americano è forse persino più complicato districarsi fra i vari settori della foresta, con la fitta vegetazione che impedisce persino di muoversi, per cui è quasi impossibile mantenere il contatto visivo con il tuo obiettivo. E così i ricercatori hanno ideato un nuovo ed innovativo metodo per studiare gli elusivi giaguari.

Da tempo gli scienziati hanno cominciato a sviluppare una serie di nuovi metodi che permettono di rintracciare e seguire gli animali, mantenendo una certa distanza o non sapendo precisamente dove questi si trovano all'interno della foresta. Detta così sembra quasi che gli scienziati stiano seguendo un metodo non molto preciso o efficace, ma in verità sistemi simili hanno già dimostrato di funzionare altrove, per esempio nel cuore della savana africana, dove metodi indiretti di rintracciamento degli animali vengono impiegati da decenni, anche per limitare i costi della ricerca.

Nel Belize, un team di ricercatori guidato dall'Università di Cincinnati ha quindi applicato uno di questi metodi innovativi, tentando di studiare nel lungo periodo la popolazione locale di giaguari (Panthera onca) che abita la fitta foresta del paese, andando così a risolvere un problema che rallentava i ricercatori locali da parecchio tempo. Il metodo utilizzato è inoltre non invasivo e sfrutta le analisi genetiche e isotopiche delle deiezioni degli animali, anche grazie all'aiuto dei cani specializzati nel ritrovamento di feci dei giaguari.

Questo metodo ha inoltre permesso al team di scienziati di scoprire non solo quali altre specie di felini erano presenti nei territori su cui veniva compiuto il monitoraggio, ma anche di individuare i singoli esemplari presenti nel cuore della foresta, delineando così un vero e proprio albero genealogico delle parentele in cui inserire tutti gli individui beccati all'interno della foresta tramite le loro feci.

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Pubblicato sull'European Journal of Wildlife Research, lo studio prodotto tramite questo metodo ha così dimostrato che la combinazione dei dati ottenuti dall'analisi genetica e da quell'isotopica possono fornire un grande aiuto a tutti quegli scienziati impegnanti sul campo nello studio della fauna selvatica. Anche perché l'uso di determinati indicatori molecolari ha fornito indizi ben precisi anche sullo stato di salute degli animali, sulla dimensione della popolazione, sulla sua età media e sull'eventuale presenza di esemplari giovani o cuccioli.

Ciò che rende però davvero conveniente questo metodo rispetto agli altri è che non prevede l'utilizzo trappole o il mantenimento di numerose fototrappole, che con il tempo devono essere sostituite o ricaricate. Analizzando invece la popò dei giaguari e degli altri felini, l'unico "inconveniente" legato al prelievo dei campioni potrebbe essere quello legato alle "puzze" emanate dalle feci, che possono essere molto acide a secondo dell'ultimo pasto compiuto dal predatore. Un problema però facilmente superabile e che anzi accentua ancora di più la precisione dei cani molecolari. 

«È molto importante che tramite questo metodo non siamo costretti ad interagire direttamente con gli animali – ha commento Brooke Crowley, autore principale e professore di geoscienze e antropologia presso l'Università di Cincinnati – I giaguari sono infatti felini molto diffidenti nei confronti degli esseri umani e questo metodo ci permette di studiarli senza trappole o l'impiego di dardi. È vero che seguendo il nostro esempio potresti non vedere mai l'animale, ma puoi così determinare cosa ha mangiato e dove l'ha mangiato».

La zona principalmente analizzata dal team di scienziati coordinati da Crowley appartiene alla Mountain Pine Ridge Forest Reserve, una riserva fra le più grandi dell'America centrale che copre circa 700 chilometri quadrati di foresta, savana, montagne rocciose, caverne e corsi d'acqua, nel cuore del Belize.

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Rintracciare qui gli animali è sempre stato estremamente difficile, tanto che all'inizio del progetto di monitoraggio della popolazione di giaguari erano in molti a pensare, nel team di collaboratori locali, che gli scienziati americani avrebbero fallito, ha affermato Claudia Wultsch, coautrice dello studio e ricercatrice presso la City University di New York, dopo un periodo di apprendistato a Cincinnati. «I giaguari tendono infatti a stare lontani dalle persone, a muoversi velocemente e si trovano in genere in siti remoti. Devi essere estremamente fortunato per vederne uno in natura – ha chiarito la Wultsch, spiegando così perché il loro metodo è molto più efficiente rispetto a quelli tradizionali – Il Belize rimane però un'importante roccaforte per i giaguari, dunque avere informazioni fresche sulla popolazione locale è molto importante per capire lo stato di salute della specie». Soprattutto considerando che alcune aree boschive del Belize sono divenute sempre più frammentate e isolate negli ultimi 50 anni, per colpa dell'eccessivo disboscamento e dell'antropizzazione del territorio e con la costruzione delle strade che mettono in comunicazione le sempre più numerose comunità urbane umane presenti all'interno della foresta.

Non a caso quindi uno degli obiettivi principali della ricerca è stato quello di valutare come si comportano i giaguari in presenza di limitazioni territoriali e delle varie zone in cui l'asfalto ha preso il sopravvento sulla foresta. Con il risultato che ora gli scienziati sono maggiormente consapevoli delle strategie che hanno adottato questi animali per sfuggire agli incendi e al pericolo rappresentato dalle vetture.

I ricercatori hanno per esempio scoperto che alcuni giaguari maschi hanno iniziato a condividere i propri territori e che le giovani femmine seguono principalmente le prede quando queste cominciano a diminuire da alcune zone. Tutti i giaguari sembrano inoltre attraversare le strade solo di notte o in assenza degli esseri umani, cosa che limita l'impatto con le automobili, e quando soffrono la fame possono anche spingersi per chilometri all'interno della selva per catturare prede per loro meno usuali, come i numerosi maiali inselvatichiti che sono stati introdotti dalle popolazioni umane locali.

I giaguari insomma stanno variando la dieta e il loro comportamento per rispondere anche alle avversità che seguono all'arrivo della nostra specie, seppur necessitano ancora di un aiuto fornito dalle preziose riserve naturali. «La cosa interessante è che abbiamo compreso tutto questo studiando qualcosa che i ricercatori del passato (a torto) volutamente ignoravano per via della consistenza non particolarmente piacevole delle feci degli animali selvatici», ha concluso Crowley.

Quanto è preciso però il metodo utilizzato da Crowley e dal suo team? Considerando che secondo alcune stime questi predatori possono spostarsi in un giorno per un range di circa 20 km, gli scienziati hanno sempre valutato quanto sono secche le feci, per capire quanto lontani possono essere gli esemplari che li hanno prodotti. In linea generale gli scienziati ritengono tuttavia che il metodo permetta di rintracciare i giaguari in maniera abbastanza scrupolosa entro la prima settimana di esposizione delle feci all'aria aperta e visto che i cani molecolari sono stati in grado di scovare molteplici campioni appartenenti allo stesso animale, non hanno mai avuto molte difficoltà nello stabilire dove si trovassero gli esemplari. Erano infatti localizzati sempre entro un range ristretto di chilometri dal luogo dell'ultimo ritrovamento delle feci, in un areale avente circa 55 km di diametro.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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