È difficile immaginare i grandi colossi del Mesozoico come dei genitori modello, ma sono ormai numerose le testimonianze fossili che dimostrano come per esempio anche i dinosauri fossero spesso in grado di prendersi cura dei loro piccoli, cure parentali del tutto riconducibili a quelli presenti negli uccelli e nei mammiferi moderni. Costruivano nidi, proteggevano e nutrivano i loro piccoli e vivevano in gruppo, tanto che secondo alcuni paleontologi diverse specie erano persino capaci di insegnare strategia di caccia o di difesa ai loro figli.
Per quanto riguarda invece i loro contemporanei pterosauri la situazione è stata da sempre piuttosto diversa. Innanzitutto perché nel mondo esistono un maggior numero di fossili appartenuti ai dinosauri rispetto a quelli appartenuti ai loro cugini rettili volanti. E in secondo luogo, i paleontologi dispongono di molte meno prove a favore riguardo la presenza di un eventuale comportamento genitoriale da parte di questi animali.
Gli pterosauri sono più difficili da trovare rispetto ai dinosauri e nel corso della ricerca paleontologica gli scienziati hanno avuto maggiore difficoltà nello studiare le strategie riproduttive di queste specie, seppur oggi giorno non manchino prove come uova e siti di nidificazione che offrono comunque preziose informazioni dal punto di vista riproduttivo. Questa almeno è l'opinione di diversi paleontologi che recentemente si sono riuniti in un unico gruppo di ricerca per fare un po' il punto della situazione.
Questi scienziati infatti – provenienti dall' Università College Cork in Irlanda, dell'Università di Nanjing e di Yunnan in Cina e dell'Università di Bristol e del Queen Mary University di Londra – hanno redatto un nuovo studio che prende in considerazione molte delle prove che dimostrano come anche gli pterosauri attuassero comportamenti di cure parentali che comprendessero per esempio la cova al nido e l'accudimento e il nutrimento dei piccoli.
L'articolo è stato pubblicato recentemente sulla prestigiosa rivista Proceedings of The Royal Society B, dando modo così a diversi paleontologi e a tutti gli appassionati di creature mesozoiche di scoprire come anche questi animali – talvolta ritenuti meno interessanti dei veri e propri dinosauri – in realtà condividessero con loro la cura con cui accudivano nei primi mesi i loro piccoli, almeno considerando le specie più grandi e maestose che vissero a cavallo della fine del Giurassico e l'inizio del Cretaceo.
Secondo gli studi effettuati dai ricercatori, infatti, le specie che raggiungevano notevoli dimensioni da adulti – quelle che superavano per esempio anche gli 8 metri di apertura alare – necessitavano di un'infanzia molto lunga rispetto alla media degli altri animali. Un periodo di tempo che veniva trascorso sotto "l'ala protettiva" dei genitori che si assicuravano che i piccoli crescessero in forze e al sicuro. I piccoli pterosauri potevano spesso raggiungere le dimensioni di un piccolo aliante partendo dalla stazza di un carlino entro alcuni mesi dalla nascita e questo implica che i genitori dovevano assicurarsi che i propri piccoli passassero le prima settimane in loro compagnia e al sicuro.
«Quando è partito questo progetto sin da subito ci è stato chiaro quanto fosse difficile – ha affermato Zixiao Yang dell'Università College Cork, che tra l'altro è il primo autore dello studio – Per capire come vivevano gli pterosauri quando erano piccoli avevamo bisogno di esemplari molto giovani, oltre che dei nidi e degli adulti, in modo da poter studiare i loro tassi di crescita. Purtroppo però questi piccoli sono estremamente rari e abbiamo avuto enormi difficoltà per iniziare la ricerca. Fortunatamente, siamo stati in grado di utilizzare alcuni esemplari del tardo Giurassico provenienti dall'Europa e alcuni del Cretaceo ritrovati in Nord America, oltre a un insieme di nuovi reperti trovati in Cina. Misurando i crani, le spine dorsali, le ali e le zampe posteriori di decine di scheletri, spesso scomposti e non in continuità morfologica, siamo stati in grado di testare le differenze nella crescita relativa alle diverse parti del corpo, compiendo così il primo passo del lavoro».
Sfruttando inoltre il test dell'allometria, che prende in considerazione i cambiamenti delle caratteristiche fisiche di seguito allo sviluppo delle dimensioni scheletriche, gli scienziati sono stati in grado di stimare le velocità di crescita durante le varie fasi della vita di questi animali, scoprendo anche quali fossero le differenze morfologiche fra adulti e giovani. In biologia, quando si usa il termine allometria si cerca di definire l'accrescimento relativo, cioè lo sviluppo di un organo espresso in funzione delle dimensioni di tutto il corpo.
«Tutti conosciamo l'allometria nella nostra specie, come nei cuccioli o nei gattini: le loro teste, i loro occhi e le ginocchia sono enormi rispetto al resto del corpo, che d'altronde cresce più velocemente rispetto le estremità, per raggiungere le proporzioni degli adulti – ha dichiarato il dottor Yang. – Lo stesso vale con molti altri animali, inclusi dinosauri e pterosauri. Se infatti i bambini oggi hanno facce carine, con nasi corti, occhi grandi e teste grandi, all'epoca i piccoli pterosauri, delle dimensioni di un uccello, nascevano con grandi ali, braccia e gambe sproporzionate rispetto al busto, che tuttavia erano molto forti. Una prova che i piccoli di pterosauri di questa stazza potevano volare a partire da poche ore dopo dalla nascita e che gran parte del tempo lo passavano a nutrirsi, a sviluppare il torso e ad allungare testa e arti. Man mano che raggiungevano le dimensioni degli adulti, le loro braccia e le gambe infatti mostravano un'allometria negativa, il che significa che gli arti inizialmente erano anche fin troppo grandi e poi crescevano più lentamente rispetto al resto del corpo».
Molto differenti però erano le specie che da adulte presentavano le forme più grandi, talvolta superiori a quelli dei nostri aerei monoposto, che necessitavano quindi di un periodo di accudimento prolungato e di una strategia di sviluppo completamente differente.
Questi pterosauri avevano ossa che mostravano un'allometria positiva durante la crescita, suggerendo un modello di viluppo e uno stile di vita durante l'infanzia molto diverso. «In parole povere, potremmo dire che questi piccoli pterosauri necessitavano di una mamma o di un papà per crescere – chiariscono il professor Xu Xing dell'Università di Yunnan e la professoressa Maria McNamara dell'University College Cork – Ovviamente non sappiamo ancora se le specie di pterosauri più grandi allevavano i loro piccoli in coppia o se era solo un genitore a svolgere quel ruolo, ma è indubbio che i loro piccoli avevano bisogno di cure per sopravvivere durante le prime settimane di vita, visto che (purtroppo per loro) nella maggioranza dei casi erano incapaci al volo e probabilmente inermi nei confronti dei predatori».
Accudire i propri piccoli, ovviamente, aveva un costo considerevole per i genitori, con delle conseguenze dirette legate anche allo stesso numero di uova nelle nidiate, che risultavano più piccole rispetto a quelle delle specie di minore dimensione. Per diventare enormi, gli pterosauri più grandi avevano tuttavia anche un altro problema. Anche se l'allevamento dei piccoli garantiva di avere un maggior successo riproduttivo e di risparmiare energia, invece di produrre delle uova che venivano abbandonate al loro destino, per raggiungere notevoli dimensioni i cuccioli bisognavano molto più tempo per diventare adulti e apprendere le prime nozioni di volo.
Ciò ha comportato che i genitori dovessero spendere molto più tempo nel proteggere i loro piccoli e che dovevano eventualmente mostrargli anche le prime tecniche di volo, con la conseguenza diretta che questi pterosauri avevano meno eventi riproduttivi rispetto alle altre specie durante il corso della loro vita. Un fattore, tuttavia, che veniva controbilanciato in termini evolutivi dal numero di piccoli che per ciascun evento riproduttivo riuscivano a raggiungere l'età adulta.
«Oggi vediamo la stessa cosa negli uccelli e nei mammiferi. Alcuni uccelli volano molto giovani e, naturalmente, alcuni cuccioli di mammiferi come bovini e antilopi sono in piedi il giorno in cui nascono – conclude Yang – Ma questo tipo di comportamento è rischioso per i piccoli delle specie più vulnerabili, perché i loro cuccioli sono spesso goffi e sono facili bersagli per i predatori. Tuttavia, è inoltre costoso anche per la madre avere piccoli di grandi dimensioni con ali o zampe eccessivamente sviluppate al momento della nascita. Quindi, oggi come allora la natura ha provveduto a fornire un limite. Fino alla fine del Giurassico, gli pterosauri erano infatti limitati nella dimensione corporea massima, per via dell'eccessivo consumo di energie che ciascun piccolo pterosauro doveva spendere per divenire adulto. E solo quando il comportamento parentale dei genitori è comparso queste specie hanno seriamente cominciato a raggiungere notevoli dimensioni, precedentemente considerate inverosimili anche solo dal punto di vista energetico».
Quali sono tuttavia le prove che secondo i paleontologi dimostrano l'evoluzione del comportamento parentale in questi animali?
Tanto per cominciare, lo stesso raggiungimento di notevoli dimensioni durante il Cretaceo viene visto un punto a favore di questa teoria. Inoltre, l'aver trovato delle rare colonie con numerosi nidi appartenuti agli pterosauri sul finire del Giurassico e durante l'intero corso del Cretaceo, sostiene l'evoluzione di una strategia comportamentale che ha spinto questi animali a prendersi cura dei loro piccoli, almeno durante le prime fasi della loro vita.
Il ritrovamento dello scheletro di alcuni piccoli delle specie più grandi, infine, da modo di osservare quanto queste creature fossero inabili al volo e indifese senza il contributo dei genitori. Immaginare quindi degli pterosauri pronti ad imbeccare i loro piccoli è possibile, come è facile fantasticare sul modo in cui i piccoli apprendevano l'arte del volo, osservando gli adulti. Ovviamente, in questo caso non si sta parlando di una vera e propria trasmissione culturale, ma di un modo efficiente di imparare un'attività complessa come quella del volo tramite l'osservazione e la simulazione del movimento, che di seguito allo sviluppo completo della ali avrebbe portato i cuccioli a mettere in pratica quello che avevano visto.