Maltrattati come pochi altri animali al mondo, gli asini da sempre incarnano loro malgrado il concetto stesso di animali da lavoro. Lavoro pesante, soprattutto, visto lo sfruttamento che se ne fa per trasportare oggetti pesantissimi come i materiali da costruzione o i turisti pigri in viaggio che non vogliono arrampicarsi a piedi su salite e scalinate, come ad esempio a Santorini. Non fanno eccezione gli asini di un’area della terra tra le più bistrattate, quel territorio sotto assedio della violenza e della guerra diviso tra Cisgiordania e Israele.
È proprio lì, infatti, che lavora Safe Haven for Donkeys, l’associazione fondata nel 2000 per aiutare le migliaia di asini che sfruttati in maniera massacrante per lavori e trasposti in Israele e nei Territori Palestinesi. Feriti, malnutriti e volte disidratati, abbandonati dai proprietari che non li vogliono più quando non riescono più a trarne vantaggio, questi asini vengono soccorsi dall’associazione grazie ad alcune cliniche mobili che si spostano sul territorio con la guida del dottor Rakan, il veterinario che gli presta le prime cure.
In Israele 180 di questi asini soccorsi negli anni hanno trovato una casa in un rifugio che si è trasformato in un vero e proprio santuario mentre a Nablus, in Cisgiordania, sono ormai una trentina in una struttura che era nata come una clinica di primo soccorso e che lentamente si è trasformata in un rifugio per il quale ora si sta cercando un’area dove costruire una struttura di accoglienza permanente.
«Purtroppo, non possiamo dire sulla situazione degli asini a Gaza -spiega Wendy la portavoce dell’associazione che sottolinea – non siamo mai riusciti ad entrare a Gaza nemmeno in tempi di pace e non per mancanza di tentativi. Ovviamente ora che è una zona di guerra è impossibile». Difficile stabilire anche il numero esatto di animali nella Striscia. «Temo che nessuno dell’associazione sappia quanti asini ci siano a Gaza. O quanti asini ci siano in Cisgiordania, visto che nessuno li ha mai contati, ma devono essere migliaia.
Vengono usati per il trasporto, per portare materiali da costruzione su e giù per le scale, per portare i raccolti dai campi, o dalle montagne, ad esempio come si fa per le olive, e per portare le merci al mercato». Non ha dubbi invece sulla condizione in cui vengono presi in carico. «La maggior parte degli asini che sono arrivati al nostro rifugio a Nablus sono stati portati lì volontariamente. A volte i proprietari li accompagnano per farli curare e poi decidono di non volerli più. A volte portano gli asini al rifugio proprio perché sono indesiderati. A volte il dottor Rakan viene chiamato per gli asini randagi che vagano nel territorio».
Nemmeno nella vicinissima Israele gli asini sembrano passarsela meglio. Anche qui, lo sfruttamento sembra essere all’ordine del giorno. «Nel nostro rifugio in Israele, la situazione è simile. Gli asini sono indesiderati, abbandonati o a volte la polizia o l'esercito ci chiedono di portare in salvo un asino che, ad esempio, è stato attaccato. Attualmente abbiamo circa 180 asini nel nostro santuario in Israele e circa 30 nella clinica in Cisgiordania. Speriamo di trasferire gli asini della Cisgiordania in una nuova casa più grande prima di Natale, poiché la clinica della Cisgiordania è stata progettata solo per essere un ospedale e hanno bisogno di più spazio».
Dopo l’emergenza, dopo la cura e la riabilitazione, cosa ne è di loro? Quale futuro è previsto per questi animali docili e caparbi che fanno della resilienza la loro arma per combattere maltrattamenti e violenze? «A volte riabilitiamo gli asini, ma li affidiamo solo a case dove non devono lavorare. In Israele, ad esempio, abbiamo occasionalmente riaffidato asini a persone che avevano già un asino e volevano un compagno, o magari a uno zoo locale». A volte però il percorso di recupero e reinserimento passa per soluzioni inedite e inaspettate, come quella degli “asini pastore”.
Un “esperimento” che in Cisgiordania ha avuto un discreto successo. «Vagano liberamente nei campi con le greggi di pecore, poiché i predatori come i cani selvatici hanno paura degli asini. È un vantaggio per tutti: l'asino ha un grande campo e molta erba e le pecore del proprietario sono al sicuro – spiega Wendy. – Il dottor Rakan in ogni caso visita e controlla regolarmente tutti gli asini che siamo riusciti a ricollocare in Cisgiordania per assicurarsi che siano ben curati». L’idea degli “asini pastori” è proprio del veterinario che si è accorto che molti predatori, come i cani selvatici, avevano paura degli asini e ha pensato di sfruttare questa loro caratteristica.
«In realtà ha visto un asino che spaventava un cane selvatico e ha deciso di suggerire ad alcuni proprietari di pecore di provare a tenere un asino con le loro pecore per vedere se avrebbe funzionato e, in effetti, l’espediente ha avuto molto successo». Da lì è nata l’idea di utilizzare questo “talento” degli asini per trovare loro un’occupazione una volta guariti. «Ma non tutti gli asini sono adatti: alcuni non vanno d'accordo con le pecore o ne sono spaventati, quindi il dottor Rakan sceglie attentamente l'asino in base al suo temperamento. Viene regolarmente a controllare e se si accorge che la cosa non funziona, si riprende l'asino. Forse altri proprietari di pecore in tutto il mondo fanno lo stesso (in effetti succede in Australia ad esempio), ma sinceramente non lo sappiamo».
Nell’ultimo periodo però il dottor Rakan ha avuto parecchio da fare per un asino in particolare, vittima di episodio di estrema violenza: è stato infatti recuperato con un orecchio talmente bruciato che, per salvarlo, si è resa necessaria l’amputazione del padiglione auricolare. «Chiamato dal suo collega dottor Omran, che con la sua clinica mobile copre l'area della Valle del Giordano, nel centro della Cisgiordania, il dottor è stato avvisato che era stato trovato un asino randagio e che qualcuno aveva deliberatamente appiccato il fuoco bruciandogli un orecchio».
Organizzato il trasporto al centro di soccorso nella città palestinese di Nablus, si è cercato subito di capire la gravità del danno e, soprattutto, se l’asino potesse essere curato o invece addirittura soppresso. «Non abbiamo idea del motivo per cui qualcuno avrebbe fatto questo a un asino e l'autore del reato non è mai stato catturato – aggiunge Wendy. – Quando l'asino è arrivato gli sono stati prescritti antidolorifici e antibiotici molto forti. Con un’ustione così grave vicina proprio all’occhio si temevano anche danni al cervello. Per fortuna invece l'occhio e il cervello erano a posto, ma non c'era modo di salvare l'orecchio, era gravemente ustionato.
E quando l'asino è stato abbastanza forte da affrontare l'operazione, il dottor Rakan ha eseguito un'auriculectomia, cioè la rimozione del padiglione auricolare. Ora l'asino, che nel frattempo è stato chiamato Rakan dal nome del suo soccorritore, si è già adattato bene ad avere un solo orecchio. Il suo udito potrebbe essere leggermente compromesso e probabilmente un po' ovattato da quel lato. Ma per il resto non dovrebbe avere problemi in futuro». In ogni caso Rakan, l’asino, rimarrà a riposo nella nuova casa, senza dover più tornare a lavorare. «Verrà trasferito nel nuovo rifugio in Cisgiordania non appena sarà pronto. Si sta già adattando alla vita con un solo orecchio, anche se comprensibilmente è molto timido, ma sta già mostrando segni di iniziare a fidarsi e ad amare il dottor Rakan, come fanno tutti gli altri asini».
Nel frattempo, l’associazione ha affittato un terreno e sta raccogliendo fondi per i costi di costruzione del rifugio. «Attualmente ogni giorno, nel centro di soccorso di Nablus, in Palestina, circa 30 asini vengono nutriti, spazzolati, amati e curati. Si tratta di animali che sono stati trovati abbandonati – spesso feriti – o salvati da proprietari che non erano in grado di nutrirli o curarli adeguatamente. Il centro era destinato a essere solo un ospedale e quindi l'associazione sta progettando di trasferirli in una nuova e più grande casa dove avranno lo spazio per correre liberamente e dimenticare i maltrattamenti subiti in passato – conclude Wendy. È stato trovato un terreno adatto e per far sì che questo sogno diventi realtà, Safe Haven ha bisogno di raccogliere i fondi per costruire questa casa per sempre, per pagare i costi delle recinzioni, dei ripari, dell'elettricità, dell'approvvigionamento idrico e dell'alloggio per il personale dedicato che si prenderà cura degli asini». Per questo Safe for Haven Donkeys ha aperto anche una raccolta fondi.